martedì 31 marzo 2009

Baron, Always on

I contributi interessanti sul linguaggio del web si stanno facendo più numerosi. Questo libro è senz'altro un notevole passo avanti, anche se gli argomenti coperti sono tanti (e alcuni già ben noti). Ecco i capitoli:

1. Email to your brain. Il modo in cui gli esseri umani reagiscono alla tecnologia.

2. Language online. Storia della comunicazione elettronica (dai computer ai telefoni cellulari) e definizioni.

3. Controlling the volume. Alcuni dei modi in cui gli esseri umani controllano l'interazione elettronica: segnandosi come "non al computer" con sistemi di messaggeria istantanea, facendo finta di parlare al cellulare quando incontrano qualcuno con cui non vogliono fermarsi, controllando il numero del chiamante prima di rispondere... Componente interessante, ma, direi, marginale; eppure Baron insiste molto su questo aspetto.

4. Are instant messages speech? Qui si entra più sul vivo, con la presentazione di alcune ricerche originali (anche se su campioni minimi). La risposta alla domanda "Speech or writing" è quella ormai ben nota: "Some of both, but not as much speech as we've tended to assume. What's more, gender matters" (p. 70). Ma sull'ultimo punto, il campione è tanto ristretto che, sì, anche se le ragazze scrivono in modo diverso rispetto ai ragazzi... questa è probabilmente una delle tante variazioni presenti (giovani e meno giovani, studenti e lavoratori...).

5. My best day. Un mix di osservazioni linguistiche quantitative e altre più sociologiche sul mondo dei sistemi di messaggi istantanei e di Facebook.

6. Having your say. Blog, YouTube e così via. Tante osservazioni sociologiche e ben poco di interesse linguistico. In un certo senso, le sezioni più interessanti sono quelle che parlano dei talk show alla radio e quelle che cercano di descrivere le motivazioni di chi si esprime in pubblico in questo modo.

7. Going mobile. L'uso dei cellulari... una novità (relativa) per gli Stati Uniti, ma non per noi. Con osservazioni sui modi diversi in cui le varie culture si servono del cellulare. Interessanti i confronti tra SMS e messaggi istantanei.

8. "Whatever". Internet (o altri processi globali) stanno distruggendo il linguaggio? Di sicuro alcuni tratti convenzionali vengono oggi spesso ignorati.

9. Gresham's Ghost. Le trasformazioni della cultura scritta e della lettura.

10. The people we become. Aspetti sociali della comunicazione elettronica e, in particolare, il modo in cui questa facilita il distacco dalla società.

E poi, la bibliografia. Ventun pagine di titoli... e mi verrebbe voglia di leggerli tutti!

Dalrymple, From the Holy Mountain

Ecco un libro che non ha (quasi) nulla a che fare con il linguaggio e con il web, ma che mi è piaciuto molto - come del resto tutti gli altri lavori di Dalrymple.

From the Holy Mountain
racconta un viaggio attraverso le comunità cristiane del Medio oriente, compiuto nel 1994 sulle tracce del Pratum spirituale scritto da Giovanni Mosco agli inizi del VII secolo, subito prima dell'arrivo degli arabi. Niente da dire: Dalrymple è molto bravo a mettere in risalto la continuità storica e le eredità millenarie. Pazienza se ogni tanto si lascia prendere la mano dalla soddisfazione di ritrovare dal gusto per i contrasti, come in questo frammento del dialogo con un frate ortodosso nel monastero di Mar Saba, con vista sulla valle del giudizio universale:

See down there at the bottom? The river? Nowadays it's just the sewage from Jerusalem. But on Judgement Day that's where the River of Blood is going to flow. It's going to be full of Freemasons, whores and heretics: Protestants, Schismatics, Jews, Catholics... More ouzo?

Comunque Dalrymple fa venire voglia anche a un ateo come me di trasferirsi nel deserto a salmodiare in qualche cella... anche in mezzo alla descrizione delle persecuzioni a cui i cristiani mediorientali sono stati sottoposti (un po' da tutti) nel corso dell'ultimo secolo. È un'altra pagina di storia che si sta chiudendo, in nome degli stati nazionali e del monoculturalismo.

lunedì 30 marzo 2009

Le interfacce immaginarie

Oggi ho fatto lezione al corso di Storia dell'informatica parlando di interfacce immaginarie: il modo in cui gli scrittori di fantascienza (e non solo) hanno immaginato i modi per far interagire esseri umani e computer. Naturalmente, mi sono concentrato sui modi in cui l'interazione riguarda linguaggio e scrittura.

La lezione si è conclusa leggendo un curiosissimo esempio di preveggenza: il racconto A logic named Joe pubblicato nel 1946 da William F. Jenkins (più noto come Murray Leinster). Il racconto descrive una rete di personal computer diventata di uso comune nella vita quotidiana, e il quadro è sorprendentemente vicino alla nostra realtà. In rete si trova anche il testo originale del racconto, pubblicato dalla Baen; io ho usato la prima traduzione italiana, comparsa su Gamma nel 1967. Ricordo vagamente di aver letto il racconto nel 1984 o giù di lì, e di non esserne rimasto troppo colpito... Col senno di poi, è stato un errore!

domenica 22 marzo 2009

Simone, La terza fase

Il libro è stimolante ma mi ha deluso: da Raffaele Simone mi aspettavo uno studio più approfondito.

Il libro parte da una domanda importante: "come si conserva e trasmette quel che sappiamo?" (p. X). L'idea di Simone è che rispetto al passato "I saperi che circolano oggi, nella Terza Fase, sono meno articolati, meno sottili, e, addirittura, possono fare a meno di basarsi su formulazioni verbali" (p. XII).

Il primo capitolo è dedicato al rapporto tra vista e udito ("L'ordine dei sensi"). La "visione alfabetica" (ma in realtà Simone parla, senza accorgersene, di "visione data dalla scrittura": possibile anche in sistemi non alfabetici) concilia i due sensi in un'unità superiore.

Poi Simone passa a dire che la "visione alfabetica" è arrivata, dopo secoli di espansione, al momento del declino. "Questo fenomeno non dà manifestazioni dirette e clamorose, ma si lascia osservare solamente attraverso indizi. Uno di questi è costituito dal graduale arrestarsi, in tutto il mondo, del decremento dell'analfabetismo, e, corrispettivamente, dall'enorme aumento della varietà degli stimoli uditivi che veicolano messaggi e della tipologia delle immagini visive" (pp. 21-22).

Davvero? Per quanto riguarda la seconda parte dell'argomento, perché mai la varietà di immagini visive e messaggi dovrebbe, di per sé, andare a detrimento della lettura? Tutti i dati che abbiamo vanno in direzione opposta (v. Morrone e Savioli).

E per quanto riguarda la prima parte, dire che una cosa cresce più lentamente vuol dire che è arrivato il suo declino? Ne dubito. L'accesso a un determinato stile di vita è causa ed effetto di un rapporto diverso con la lettura e il "decremento dell'analfabetismo" mi sembra collegabile più alle dinamiche sociali ed economiche che a qualunque altro fattore. Negli ultimi vent'anni masse immense sono uscite dalla povertà e hanno cominciato a fare lavori che richiedono spesso, tra le altre cose, capacità di lettura; se il processo continuerà, perché non dovrebbero accedere a questo tipo di interazione anche tutti gli esseri umani che ora ne sono esclusi?

Guardare, dice poi Simone, è più facile che leggere. E fin qui tutto bene. Ma siamo sicuri che questo voglia dire che oggi ci sia uno "spostamento" in direzione del guardare o sentire e a danno del leggere? In fin dei conti, su Internet si vedono molti video ma nessuno (o quasi) si mette a guardare video per imparare, per esempio, a programmare in Java - a meno che il video non sia davvero utile! La "facilità" d'uso è importante, ma non è certo l'unico fattore nella scelta degli strumenti o delle attività. Alcune competenze e conoscenze si acquisiscono molto meglio passando dalla lettura; finché queste competenze e conoscenze saranno richieste, e finché praticamente tutti gli abitanti delle società economicamente progredite impareranno a leggere e a scrivere, non vedo come la lettura possa ridursi d'importanza al loro interno.

Per ricostruire il suo schema Simone si basa su un libro di Detti che non ho letto; può darsi che lì ci siano informazioni diverse da quelle che ho io. Ma ne dubito. Simone però non esibisce dubbi. Citando un libro di Sartori (purtroppo non conosco neanche questo... ma, di nuovo, dubito che possa essere una base solida per considerazioni del genere!) arriva a dire che "Oggi è tornata a dominare la visione non-alfabetica, e una varietà di analisi si sono soffermate su questo fatto" (p. 23). "Fatto", nientemeno! Non "ipotesi", o "idea"... fatto.

Eppure di statistiche non c'è traccia. Si può dimostrare che per esempio i giovani italiani hanno meno confidenza con la scrittura o la lettura rispetto ai loro concittadini più anziani? Tutti i dati che abbiamo mostrano il contrario.

Altri punti del libro danno dubbi perfino dal punto di vista scientifico. Alle pp. 30-31 si parla dell'origine del linguaggio ma diverse osservazioni fatte mi lasciano perplesso. Per esempio si dice che per la "nascita della fonazione" "alcuni propongono 25.000, altri 35.000 anni fa, altri date ancora più remote" (p. 31)! Io non ho mai visto stime inferiori ai 30.000 anni e penso che oggi nessuno abbia il coraggio di sostenere che un linguaggio articolato non esistesse nel 23.000 AC! Tra l'altro, si pensa che gli abitanti della Tasmania o delle Andamane possano essere rimasti isolati per 40.000 anni, e loro il linguaggio ce l'hanno... (anche se, a dire il vero, il loro isolamento risale forse a "solo" 12.000 anni fa, con la deglaciazione). Qualcuno avrà fatto anche stime così basse - non pretendo di conoscerle tutte - ma il punto è che il consenso oggi punta a date molto più remote, dai 50-60.000 anni minimo (con l'uscita dei sapiens dall'Africa) fino all'homo erectus, arrivando agli estremi di Alinei (che ritiene che gli attuali gruppi linguistici proseguano le lingue dei gruppi separatisi due milioni di anni fa; ipotesi un po' estrema, ma ammissibile).

Il capitolo 2 del libro è dedicato ai "Destini del parlare", e descrive i pregiudizi contro i linguaggi umani. Interessante, ma unilaterale. Perché non descrivere anche gli elogi della voce, che sono numerosi (a partire, per me, da quelli di Bembo)? Citazione citabile, per me, parlando di chat: "lo scritto e il parlato tendono sempre di più a coincidere o per lo meno a somigliare" (p. 49). Ma no! Si è creato uno spazio intermedio, ma lo scritto-scritto è ben vivo e il fatto che tra i due poli ci siano scalini meno bruschi non vuol affatto dire che uno dei due scompaia.

Eccetera. Nel resto del libro ci sono molte osservazioni interessanti, e alcune interessantissime (come la discussione dei "fenomeni vaghi", p. 125). Ma è il quadro complessivo che, semplicemente, non funziona.

Altra citazione citabile: "la scoperta e la pratica della scrittura devono aver avuto effetto anche sulla strutturazione delle lingue (...) anche la Terza Fase avrà prodotto e starà producendo cambiamenti nell'organizzazione del linguaggio, nella sua qualità e nel suo modo di 'cogliere' le cose" (pp. 123-124). Forse. Di sicuro gli esempi forniti (la posta elettronica e gli SMS hanno modoficato "il concetto stesso di lettera", p. 124) non sono poi così epocali.

Un aspetto da approfondire: il chiacchiericcio. Ebbene sì, la voce ha meno applicazioni pratiche di quanto generalmente si pensi. Personalmente, credo da anni che il vantaggio evolutivo dato dal linguaggio, più che alla trasmissione di dati ("Tre tigri dai denti a sciabola in avvicinamento da nord-est, ma non hanno l'aria affamata...") sia collegabile alla selezione sessuale e al mantenimento dei rapporti sociali ("Sei bellissima, stasera"). L'impiego per la trasmissione di conoscenze è solo uno degli usi del linguaggio, e direi che, per quanto fondamentale, è del tutto minoritario nell'uso quotidiano della lingua... al di fuori dei canali formalizzati di istruzione.

giovedì 19 marzo 2009

Ancora Strabone

Rieccomi alle prese con la Geografia di Strabone. A volte la noncuranza in temi di linguaggio è come minimo sorprendente...

A V, 1, 4 si parla dei veneti e si dice che alcuni li ritengono imparentati con i celti, altri con i paflagoni. Possibile che dal linguaggio non si capisse se erano celti o no?

Sempre a V, 1, 4 si dice che nella Cispadana i celti abitano in pianura e i liguri in montagna. Sarà vero che tutta la pianura era popolata da celti? In fin dei conti, al tempo della romanizzazione i celti erano lì da cinque secoli, e non di più. Avevano del tutto sterminato i residenti primitivi? A V, 1, 10 si dice che celti e liguri in passato occupavano questo territorio "per la maggior parte". E gli altri, chi erano? Liguri, apparentemente, visto che subito dopo si dice che sono rimasti solo loro e i coloni romani (con un po' di umbri e di etruschi). Parlando dei propri tempi, comunque, Strabone dice che tutti gli abitanti ormai erano romani (= cittadini romani, immagino) anche se alcuni continuavano a chiamarsi umbri, etruschi, liguri, insubri e veneti.

V, 2, 9: Falisci era forse una città con una lingua propria (τινὲς δὲ καὶ τοὺς Φαλίσκους πόλιν ἰδιόγλωσσον).

V, 2, 10: gli oschi sono un popolo campano ormai scomparso.

V, 3, 4: gli albani andavano d'accordo con i romani perché parlavano la stessa lingua ed erano latini (ὁμόγλωττοί τε ὄντες καὶ Λατῖνοι).

VI, 1, 3: i lucani, di stirpe sannita, hanno perso del tutto lingua e usanze.

VI, 1, 6: i progenitori dei sanniti, cioè i sabini, usavano generalmente la lingua latina (ἐπὶ πολὺ χρήσασθαι τῇ Λατίνῃ διαλέκτῳ), al punto da chiamare, secondo un'ipotesi, Rhegion (Reggio) la città sede regale.

Da qualche parte si parla dei primi a fare leggi scritte, ma non ritrovo il passo (VI, 1, 9?).

VI, 3, 6: si cita brention come parola in lingua messapica.

VI, 3, 11: gli apuli parlano la stessa lingua (sono ὁμόγλωττοι) dei dauni e dei peucezi, e non si distinguono da loro in nessun modo.

mercoledì 18 marzo 2009

Legger libri su iPhone: prova su strada

Nei primi giorni della settimana sono stato a Bruxelles per la conferenza EMT. Ne ho approfittato per fare una prova su strada: non mi sono portato dietro libri da leggere (beh, uno sì, ma poi non l'ho letto... era presente per sicurezza!) e mi sono caricato invece su iPhone tre saggi pubblicati da Lawrence Lessig con licenza CC.

La prova è stata meno estesa di quel che pensavo, perché, oltre al materiale di preparazione della conferenza, ho letto anche un po' di cose che non c'entravano nulla con l'esperimento, ma che in un modo o nell'altro mi sono capitate tra le mani: l'International Herald Tribune, Newsweek, Metro di Bruxelles, eccetera. Ma alla fine ho visto che avevo fatto fuori 130 pagine di The future of ideas senza particolari inconvenienti.

Certo, ci sono limiti dell'interfaccia. Lessig distribuisce questo libro come Pdf. L'iPhone ha il supporto nativo per Pdf, ma la visualizzazione a pagina intera rende il testo microscopico. Si legge ancora, incredibilmente, ma ci vuole un certo sforzo. Inoltre, se non si compra un costoso estrattore (o Acrobat full) non è facile convertire il Pdf in un formato più maneggevole. La soluzione più semplice è quella di leggere il Pdf in modalità landscape: si vede solo una strisciolina della pagina (ci vogliono tre o quattro schermate per vedere tutto il testo di una pagina), ma la leggibilità è sorprendente.

La soluzione empirica ha però fatto venir fuori un altro problema. Se non si compra AirSharing o un programma simile, caricare file sull'iPhone è piuttosto complesso. Io mi sono semplicemente spedito il file all'indirizzo di posta elettronica che uso per il telefono... e poi l'ho aperto con il programma di posta. Però il lettore di Pdf incorporato, se ho ben visto, non permette di saltare da un punto all'altro del testo se non sfogliando le singole pagine: la cosa si è fatta noiosa molto prima di arrivare a pagina 130. Basta che si debba riavviare il telefono per dover ricominciare da capo.

Questo tra l'altro ha fatto sì che non mi sia nemmeno mai sognato di andare a rivedere cose dette nelle prime pagine, o di andare in avanti a vedere il contenuto delle note. Troppo sforzo! In mancanza di un buon metodo per saltare da una sezione all'altra, gli avanzamenti in leggibilità sembrano utili fino a un certo punto.

venerdì 13 marzo 2009

Oschi alla ribalta

Ogni tanto, a scappatempo, faccio qualche lettura di approfondimento sull'origine dell'italiano. Tassello base è la trasformazione del latino e il suo rapporto con le altre lingue parlate in Italia nell'antichità. Per conoscere la situazione è essenziale leggersi di prima mano storici e geografi antichi... e qualche giorno fa al Libraccio ho trovato l'edizione Bur dei libri V e VI della Geografia di Strabone, quelli dedicati all'Italia. Colto da improvvisa ispirazione, per 5,25 € ho contravvenuto alla mia regola di comprare solo quel che non si trova nelle biblioteche e mi sono lanciato nella lettura.

Naturalmente Strabone non dice molto di interessante sulla situazione linguistica d'Italia, e in alcuni punti le sue lacune sono sorprendenti. Però qualche passo degno di nota c'è. Forse il più interessante riguarda gli oschi, perché parlando della Campania - e, più in dettaglio, della pianura Pomentina - Strabone dice (V, 6, c 233):

τὴν δὲ συνεχῆ ταύτῃ πρότερον Αὔσονες ᾤκουν͵ οἵπερ καὶ τὴν Καμπανίαν εἶχον͵ μετὰ δὲ τούτους Ὄσκοι· καὶ τούτοις δὲ μετῆν τῆς Καμπανίας͵ νῦν δ΄ ἅπαντα Λατίνων ἐστὶ μέχρι Σινοέσσης͵ ὡς εἶπον. ἴδιον δέ τι τοῖς Ὄσκοις καὶ τῷ τῶν Αὐσόνων ἔθνει συμβέβηκε· τῶν μὲν γὰρ Ὄσκων ἐκλελοιπότων ἡ διάλεκτος μένει παρὰ τοῖς Ρωμαίοις͵ ὥστε καὶ ποιήματα σκηνοβατεῖσθαι κατά τινα ἀγῶνα πάτριον καὶ μιμολογεῖσθαι· τῶν δ΄ Αὐσόνων οὐδ΄ ἅπαξ οἰκησάντων ἐπὶ τῇ Σικελικῇ θαλάττῃ͵ τὸ πέλαγος ὅμως Αὐσόνιον καλεῖται.

La traduzione italiana pubblicata dalla Bur, di Anna Maria Biraschi, mi sembra sbagliata su un paio di punti importanti:

Il territorio vicino era abitato in origine dagli Ausoni che occupavano anche la Campania e, dopo, dagli Oschi; a questi apparteneva una parte della Campania, ma ora, come dicevo, appartiene tutta al Lazio fino a Sinuessa. Èavvenuta una cosa singolare riguardo agli Oschi e alla stirpe degli Ausoni: scomparsi gli Oschi, il loro dialetto sopravvive presso i Romani, cosicché vengono messi in scena anche carmi in qualche concorso tradizionale e vengono mimati; inoltre, sebbene gli Ausoni non abbiano mai abitato sul mar di Sicilia, tuttavia il mare viene chiamato Ausonio.

Non ho controllato altre traduzioni o i vocabolari, ma direi che il significato corretto è:

Il territorio vicino era abitato nella parte iniziale (cioè, andando verso l'interno) dagli ausoni, che occupavano anche la Campania, e andando ancora più all'interno dagli oschi. Anche questi avevano una parte della Campania, ma ora tutto il territorio fino a Sinuessa appartiene ai latini, come ho detto. Agli oschi e agli ausoni è successa una cosa simile: scomparsi gli oschi, la loro lingua (διάλεκτος) si mantiene presso i romani, al punto che vengono messi in scena in patria negli agoni poemi e si fanno recite di mimi [qui non sono tanto sicuro dei significati...]: allo stesso modo, anche se gli ausoni non hanno mai abitato sul mar di Sicilia, il mare viene ugualmente chiamato Ausonio.

Differenze importanti: intanto il μετὰ della successione ausoni - oschi secondo me non è temporale, ma spaziale (gli oschi abitavano sulle montagne!). Poi, il parallelismo tra il destino di ausoni e oschi, che sopravvivono solo nelle parole, mi sembra ben più chiaro in una traduzione come quella che ho abbozzato.

Detto questo, il punto fondamentale per me è ovviamente questa sopravvivenza linguistica. Il popolo degli oschi è scomparso: τῶν μὲν γὰρ Ὄσκων ἐκλελοιπότων. Ai tempi di Strabone in Campania ormai c'erano solo latini. Questa è l'idea tradizionale della romanizzazione, e una testimonianza del genere ha un peso enorme. Ma evidentemente i romani si sentivano tanto imparentati con gli oschi da riprenderne la poesia... e del resto, anche negli anni seguenti la tradizione doveva essere forte. Strabone scrive probabilmente prima del 25 d.C. Quasi cinquant'anni dopo, sui muri di Pompei sono presenti numerose scritte in osco, pur essendo Pompei una città sostanzialmente romana. Che cosa significa questo? Sarei tentato di rispondere: che il popolo osco aveva perso unità e tradizioni, ma che gli oschi erano ancora in giro, e il loro linguaggio continuava a essere usato con un certo prestigio.

Decisamente, c'è bisogno di approfondire.

lunedì 9 marzo 2009

Tapscott e Williams, Wikinomics

Decisamente in ritardo, ho letto Wikinomics. Che in sostanza è l'illustrazione, con vari esempi, del concetto per cui non sempre la gelosa custodia delle proprie proprietà intellettuali è la strategia migliore per le aziende. La sezione su Wikipedia è fatta solo di 12 pagine (65-77), ed è un'utile sintesi ma ormai non può più dire nulla di nuovo.

Da notare: alcuni di questi preziosi consigli sono in realtà ben noti da tempo fuori dal mondo di lingua inglese. La descrizione delle aziendine cinesi che a Chongqing producono motociclette (The modular motorcycle gang, pp. 218-224) ricorda molto da vicino quella dei classici distretti industriali italiani.

Insomma, poche novità. E d'altra parte il libro risale al 2006, anche se l'expanded edition è del 2007. Ma devo dire che ritornare su questi concetti è sempre utile, perché ne esce sempre fuori qualche idea nuova, o almeno qualche stimolo nuovo.

venerdì 6 marzo 2009

Confusione su schermo

Sarà un caso? Negli ultimi giorni ho visto diverse riflessioni a proposito del problema della qualità di lettura su schermo, indicata come un non-problema o come un problema relativo a livelli diversi da quelli cui normalmente si pensa.

Il punto di partenza è stato un lungo articolo di John Siracusa su Ars Technica: The once and future e-book: on reading in the digital age. Siracusa dice:

People are clearly willing to read text off screens. Plain, old, often awful screens with tiny, ugly text and large pixels. Vast amounts of text, read over extended periods of time. Up to 40 hours a week at work alone, in the case of most office workers who sit in front of a computer all day. (...) The optical superiority of paper is still very real, but also irrelevant. The minimum quality threshold for extended reading was passed a long, long time ago. (...) I'm not going to tell you that you really do want to read a novel off a screen. I am going to tell you that your reluctance to do so has absolutely nothing to do with the state of screen technology, despite your fervent protestations to the contrary.

Possibile; di sicuro le ricerche su questo settore ci dicono: a. che la gente non legge testi lunghi su schermo; b. che la lettura su schermo è ancora più lenta di quella su carta. Certo, non è facile dimostrare che a. sia davvero causato da b., ma questa, oltre a essere la base per tutti gli addetti ai lavori (me compreso), sembra una supposizione verosimile. L'argomento per cui "stiamo tutti almeno 40 ore a settimana davanti a un computer, quindi è possibile leggere testi al computer" funziona fino a un certo punto: quello che facciamo davanti a un computer di solito è skimming / scanning, e quando abbiamo bisogno di leggere qualcosa di lungo... lo stampiamo.

A margine: Siracusa parla anche del problema per cui un testo elettronico non viene visto come un libro "vero". Il discorso è complementare a quello di Morrone e Savioli di cui ho già parlato: in Italia i lettori di alcuni oggetti-libro, tipo le guide turistiche, non si considerano "lettori" perché la modalità di fruizione è completamente diversa rispetto a quella di un romanzo. Oh, beh. Dobbiamo rassegnarci. Alcune attività di lettura non sono viste come "lettura vera".

In ogni caso, il messaggio di Siracusa è: la gente può già oggi leggere su schermo, basta trovare la formula giusta per raggiungerli, come ha fatto la musica digitale. L'interfaccia ormai non è un problema. Bene, ci crederò quando lo vedrò. Oggi le reti peer-to-peer sono piene di libri "piratati"; ma quante persone leggono libri in questo modo - e quanti studenti "piratano" libri di testo in questo modo? Verosimilmente, percentuali microscopiche, confrontate p. es. con l'ubiquità della musica digitale.

Comunque, il 20 febbraio Cory Doctorow ha pubblicato su Internet Evolution un altro lungo articolo, Media-Morphosis: How the Internet Will Devour, Transform, or Destroy Your Favorite Medium. A pagina 5 parla di "libri" e, evidentemente riprendendo qualcosa dell'articolo di Siracusa (l'aveva citato su BoingBoing), dice:

On the other hand, for many kinds of books -- long-form narratives, for instance -- reading off a screen is a poor substitute for a cheap and easy-to-buy codex. Not because screen quality is insufficient (if it were, we wouldn't all spend every hour that God sends sitting in front of our computers), but because computers are damned distracting.

Entra in gioco il concetto della "distrazione". Ne aveva parlato Joe Clarke nel settembre 2008 in un altro articolo interessante: Unreadable. Ecco i punti chiave:

It is just barely practicable to read a long document on screen if the document is pretty much the only thing on that screen. How often do you see a page like that? Almost never.
A typical commercial site has a ‘content well’ of some sort, but also multiple toolbars; headers and footers; sidebar content; and a search box.

... eccetera. Adesso ho trovato programmi e bookmarklet che si pongono l'obiettivo di fare proprio questo: eliminare le distrazioni, riducendo i testi sul web a formati facilmente leggibili. Il che significa, innanzitutto, togliere il contesto. Menu, pubblicità, barre laterali e così via.

Basement.org propone il bookmarklet Readability. Basta trascinare un link nella colonna dei bookmark e cliccarlo quando si vuole "semplificare" una pagina. Funziona (anche se non sempre)... e mi chiedo come faccia, visto che ridurre i siti web al boilerplate è da tempo un problema della linguistica dei corpora, al punto da produrre iniziative come Cleaneval.

Readability potrebbe poi essere usato in sequenza con Instapaper. E i testi ripuliti potrebbero poi essere piazzati... beh, su un iPhone, immagino!

martedì 3 marzo 2009

Legger libri su iPhone


Alla fine mi sono detto: perché no? Ho parlato male per anni della possibilità di leggere qualunque cosa di esteso su dispositivi elettronici... finché non sono arrivati l'e-ink (che ancora non ho potuto provare) e, più modestamente, gli schermi ad alta densità.

Così ho deciso di verificare di persona, provando a leggere qualche libro su iPhone. La cosa ha anche un'utilità pratica immediata. Quando ero più giovane mi portavo dietro un libro, ovunque andassi, perché "non si sa mai". Da un po' di tempo però ho perso questa sana abitudine... e, come risultato, ogni tanto mi trovo a far la fila in banca o alle Poste con aria un po' smarrita. O meglio, mi trovavo - perché appunto ho cominciato a scaricarmi materiale di lettura su iPhone, e il problema si è risolto.

La prima prova è stata qualche settimana fa con uno dei libri elettronici di Delos Books: Giungla di cemento di Charles Stross. La scelta non è stata felicissima, perché Delos vende i libri come applicazioni autonome sull'App Store. Al primo cambiamento significativo dell'hardware o del software... tanti saluti a Stross, immagino! Per inciso, a Stross avevo fatto un paio di foto simpatiche al Barony Bar di Edimburgo, quando ero stato a trovarlo nell'estate del 2007. E le foto sono andate perse quando ho dovuto ripartizionare il disco rigido del computer... solo quelle di quel giorno, in pratica. Perdere il suo libro sarebbe quindi un altro anello in una misteriosa catena.

Devo ammettere poi che con Giungla di cemento qualche problema l'ho avuto anche ad altri livelli: ormai sono disabituato a leggere traduzioni, e ho poca tolleranza per l'italiano che evidentemente traduce con impaccio un inglese parecchio più brillante. Inoltre, ogni tanto c'era qualche difetto di codifica, con caratteri sbagliati e via dicendo. Ma insomma, tra una coda e l'altra il libro l'ho letto ed effettivamente non mi è pesato. Funziona!

Inebriato dal successo, e inebetito dal diluvio che mi si è scaricato addosso mentre tornavo in bicicletta da via Bargagna, oggi ho fatto qualche altro esperimento più creativo con Stanza. Questo software è più interessante perché digerisce un sacco di formati standard... il che fa ben sperare sulla permanenza dei testi. Inoltre è ben collegato a risorse come il Progetto Gutenberg: con il 3G ho individuato e scaricato in pochi secondi Pride and prejudice. Niente DRM, niente attivazioni - che meraviglia!

Ma se uno vuole testi che non sono inclusi nel Progetto Gutenberg o in uno dei siti direttamente collegati a Stanza? Ho fatto un altro esperimento: dal sito dell'ex Etext Center dell'Università della Virginia ho scaricato la History of the conquest of Mexico di Prescott, che non è inclusa nel Progetto Gutenberg (e che avevo iniziato in italiano durante le vacanze; ma appunto, era una traduzione...). Mi sono salvato il testo in Html sul computer, ho usato il lettore desktop di Stanza per convertirlo in un formato compatibile e poi tramite Wi-Fi l'ho passato a Stanza su iPhone e ho cominciato a leggerlo.

Giudizio sintetico: con Stanza la leggibilità è ottima. Il passaggio da una pagina all'altra è naturale, grazie al touchscreen diviso in tre fasce. I caratteri sono della dimensione giusta per me, senza bisogno di regolazioni, e dopo un po' il lettore sembra scomparire: mi ritrovo concentrato sulla lettura senza distrazioni. Certo, avessi bisogno di lavorare sul libro per uno scopo serio, sospetto che troverei problemi a muovermi tra i capitoli, perché l'interfaccia da questo punto di vista mi sembra molto limitata - ma forse è solo questione di pratica.

Che l'epoca del libro elettronico sia finalmente arrivata?