Ho appena ricevuto la mia copia-autore di Languages Go Web: Standard and non-standard languages on the Internet, a cura di Emanuele Miola (Alessandria, Edizioni dell’Orso, pp. 154, € 16, ISBN: 978-88-6274-449-2)! Il volume raccoglie gli atti del Second International Workshop organizzato l’anno scorso a Pavia dal centro LETiSS e dedicato all’argomento di cui sopra. Il mio contributo, Non-standard rules: innovation you cannot find on the Italian Web, si trova alle pagine 141-151, e punta a mostrare come alcuni tratti ortografici “informali” della scrittura su Internet sono fortemente convenzionali, e non autonome invenzioni degli scriventi.
Al di là di questo, comunque, come già durante il convegno, mi fa piacere notare che chi si occupa di questioni italiane mostra ormai una decisa convergenza di opinioni su alcuni punti base. L’italiano di Internet non è una varietà di lingua – è, in un certo senso, qualcosa di meno (o di “diverso”). E la cosa, oltretutto, offre spunti interessanti per una riflessione teorica di più ampia portata: questo è un po’ il succo dell’intervento di Massimo Cerruti e Cristina Onesti, Netspeak: a language variety? Some remarks from an Italian sociolinguistic perspective (pp. 23-39).
Sulla stessa linea si colloca poi anche un altro interessante contributo, ”Wild language” goes Web: new writers and old problems in the elaboration of the written code, di Giuliana Fiorentino (pp. 67-90). Anche qui, la conclusione è in sostanza “that the Internet language is not in reality a variety of the Italian repertoire” (p. 87), e l’argomentazione riconduce i diversi tratti agli esempi storici precedenti – in particolare alla “lingua selvaggia” di cui si parlava negli anni Ottanta. Insomma, questa raccolta mi sembra dia un contributo non da poco al superamento dell’idea di un “italiano digitato” o di un “italiano elettronico” come varietà di lingua.
Sulla stessa linea si colloca poi anche un altro interessante contributo, ”Wild language” goes Web: new writers and old problems in the elaboration of the written code, di Giuliana Fiorentino (pp. 67-90). Anche qui, la conclusione è in sostanza “that the Internet language is not in reality a variety of the Italian repertoire” (p. 87), e l’argomentazione riconduce i diversi tratti agli esempi storici precedenti – in particolare alla “lingua selvaggia” di cui si parlava negli anni Ottanta. Insomma, questa raccolta mi sembra dia un contributo non da poco al superamento dell’idea di un “italiano digitato” o di un “italiano elettronico” come varietà di lingua.