tag:blogger.com,1999:blog-68315918257717311422024-03-04T09:52:41.901+01:00Linguaggio e scritturaAppunti sul linguaggio e sulla scrittura, con particolare attenzione al linguaggio del web. Un blog di Mirko Tavosanis.Mirko Tavosanishttp://www.blogger.com/profile/06280624719643573178noreply@blogger.comBlogger543125tag:blogger.com,1999:blog-6831591825771731142.post-50573945741320907212024-03-04T09:49:00.008+01:002024-03-04T09:51:52.407+01:00Marzo nelle / per le scuole<div dir="ltr" style="text-align: left;" trbidi="on">
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<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjvpSBkO2KDH-6Ywln8XVNK6hx8ft4-1kXQzbjIibkBILv9Z2RF4rzJBqmsPjVvh-GZhgTZwGpm3dXpGqcqM0I-EVjd3Kc2HIa-2eZ-MaY4hpxYJwq6S7bEssUUZG0X-ekQSnhltUlmZI3HyN0Ie50sJJI5Dxlp4XTh2sr-y1_p0-NP-ZrAo1rDx5PD2DSq/s185/Pianeta%20Galileo.png" style="clear: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="80" data-original-width="185" height="80" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjvpSBkO2KDH-6Ywln8XVNK6hx8ft4-1kXQzbjIibkBILv9Z2RF4rzJBqmsPjVvh-GZhgTZwGpm3dXpGqcqM0I-EVjd3Kc2HIa-2eZ-MaY4hpxYJwq6S7bEssUUZG0X-ekQSnhltUlmZI3HyN0Ie50sJJI5Dxlp4XTh2sr-y1_p0-NP-ZrAo1rDx5PD2DSq/s1600/Pianeta%20Galileo.png" width="185" /></a></div>Non si può dire che l’inverno ripafrattese sia stato freddo… ma è stato comunque un periodo di letargo! Io riparto a marzo, con una serie di incontri per studenti e docenti. Tutti naturalmente dedicati al rapporto tra didattica e Intelligenza artificiale: un tema che in questo periodo – in modo del tutto ragionevole – attira molto l’attenzione in ambito scolastico.
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Innanzitutto, terrò una serie di seminari nelle scuole all’interno dell’iniziativa <i><a href="https://www.consiglio.regione.toscana.it/pianeta-galileo/ ">Pianeta Galileo</a></i> della Regione Toscana. Nell’ordine:
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<li>6 marzo: Liceo della Comunicazione San Bartolomeo a Sansepolcro</li>
<li>12 marzo: ITI G. Marconi a Pontedera </li>
<li>26 marzo: ITS Marchi-Forti a Pescia</li></ul></div>
<div style="line-height: 150%; margin-bottom: 0cm;">
Il pomeriggio del 21 invece sarò a Torino, al Liceo Statale <span style="font-family: "Times New Roman",serif; font-size: 12.0pt; line-height: 150%; mso-ansi-language: IT; mso-bidi-font-size: 11.0pt; mso-bidi-language: AR-SA; mso-fareast-font-family: SimSun; mso-fareast-language: ZH-CN;">“</span>Regina Margherita<span style="font-family: "Times New Roman", serif; font-size: 12pt;">”</span>, per un evento formativo organizzato dai docenti della Rete dei licei economico-sociali della Valle d’Aosta e del Piemonte.</div>
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Mirko Tavosanishttp://www.blogger.com/profile/06280624719643573178noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-6831591825771731142.post-60672439864363469072023-11-21T10:53:00.000+01:002023-11-21T10:53:02.426+01:00IA e diritto d’autore sul sito Treccani<div dir="ltr" style="text-align: left;" trbidi="on">
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<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgAlbA9FTwlD24w0nRc3k1xgafYJzMjbyXB0y40gP4OkrMB43DRkeKRkn4rNb092SMjmDX-MiunJzmVLdIx9kBtGMru8VZGAGxe1E8UyS5nM72GAMsDwkYAOdU-GmZU1Oisi2T1mjV7C2LHtHSRVy8loB0ZtH9WSLiaC_kOcdRJbK_tvfhGcVlXf2oCFLFL/s1034/IA%20e%20diritto%20d'autore.png" imageanchor="1" style="clear: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="974" data-original-width="1034" height="301" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgAlbA9FTwlD24w0nRc3k1xgafYJzMjbyXB0y40gP4OkrMB43DRkeKRkn4rNb092SMjmDX-MiunJzmVLdIx9kBtGMru8VZGAGxe1E8UyS5nM72GAMsDwkYAOdU-GmZU1Oisi2T1mjV7C2LHtHSRVy8loB0ZtH9WSLiaC_kOcdRJbK_tvfhGcVlXf2oCFLFL/s320/IA%20e%20diritto%20d'autore.png" width="320" /></a></div>Sul Magazine Treccani è uscito uno Speciale curato da Marco Brando e dedicato a <i><a href="https://www.treccani.it/magazine/lingua_italiana/speciali/fake_news/">Social network: il controllo dei contenuti tra censura e libertà di espressione</a></i>. All’interno c’è anche un mio contributo, che si intitola <i><a href="https://www.treccani.it/magazine/lingua_italiana/speciali/fake_news/5_Tavosanis.html">Lo “stile” dell’intelligenza artificiale che censura il diritto d’autore</a></i> ma in effetti è soprattutto una presentazione sintetica del rapporto tra sistemi generativi come ChatGPT e il diritto d’autore.</div>
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La questione è strutturale, nel senso che i sistemi generativi attuali si basano sull’elaborazione di raccolte molto ampie di testi scritti da esseri umani, e solo grazie a questa elaborazione possono scrivere testi “nuovi”. Questo modo di lavorare rappresenta una violazione del diritto d’autore? Secondo me, no – perché non c’è un rapporto diretto riconoscibile tra fonti e prodotti, e in fin dei conti le modalità di apprendimento usate dai sistemi generativi appaiono da questo punto di vista paragonabili a quelle usate dagli esseri umani. Personalmente, lavorando con ChatGPT e altri sistemi generativi, nelle risposte a richieste generiche non ho mai avuto l’impressione di stare leggendo i testi di uno specifico autore umano.
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Un problema si crea però senz'altro nel caso di imitazioni dello stile di un autore specifico, cioè le situazioni in cui si chiede per esempio di presentare testi “nello stile di Gadda” (con risultati a volte non disprezzabili). Per la generazione di immagini, in effetti, la questione è centrale e ci sono state numerose rivendicazioni esplicite in proposito. Per le parole, tuttavia, anche le caratteristiche di uno “stile” linguistico specifico rimangono talmente generiche, e le restrizioni poste da una lingua talmente forti, che è difficile considerare la semplice imitazione di uno stile una violazione del diritto d’autore. A differenza dei segni lasciati da una matita o da un pennello, le parole di una lingua sono in sostanza mattoncini preesistenti che possono essere combinati in modi sì originali, ma sottoposti a molti vincoli grammaticali! Tuttavia, è ovvio che proprio la richiesta di scrivere “nello stile di” pone qualche complicazione.
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In sintesi: c’è materia di riflessione per gli avvocati… ma anche per i linguisti.
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Mirko Tavosanishttp://www.blogger.com/profile/06280624719643573178noreply@blogger.com1tag:blogger.com,1999:blog-6831591825771731142.post-85269895980284172102023-11-14T10:10:00.008+01:002023-11-14T10:11:29.181+01:00Gli appuntamenti di novembre<div dir="ltr" style="text-align: left;" trbidi="on">
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<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEh87YtmhC37V1B3FSH0O3f0PDA-vEkOBlgxEe0feytWiQZakzSOM0a5jhopN5uclAxvxHSWG6Y-aPSGGP9ttwrt2rNeZ8SeEjv_FBAgLRQpS3ksZ1cpEq6iHvoc20zqVSzBO4JfsndB5YcAdj-k7xjDWaLwFCq1x1ThxEPrZG9e_qCQ0qC8COpwnGduggL3/s476/covfefe.png" style="clear: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><img alt="Sezione di immagine di Jackson Dame (@jacksondame) ricavata da Arrival e pubblicata su Twitter" border="0" data-original-height="406" data-original-width="476" height="273" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEh87YtmhC37V1B3FSH0O3f0PDA-vEkOBlgxEe0feytWiQZakzSOM0a5jhopN5uclAxvxHSWG6Y-aPSGGP9ttwrt2rNeZ8SeEjv_FBAgLRQpS3ksZ1cpEq6iHvoc20zqVSzBO4JfsndB5YcAdj-k7xjDWaLwFCq1x1ThxEPrZG9e_qCQ0qC8COpwnGduggL3/w320-h273/covfefe.png" title="Sezione di immagine di Jackson Dame (@jacksondame) ricavata da Arrival e pubblicata su Twitter" width="320" /></a></div>Appuntamenti del novembre 2023 (e in parte del dicembre)… Innanzitutto, stasera, martedì 14 novembre, alle 20:30 sarò al <a href="https://www.arsenalecinema.com/">Cinema Arsenale</a> di Pisa dove presenterò assieme a Sergio Giudici il film <i>Arrival</i>. Si tratta di fantascienza e linguistica, quindi mi sento particolarmente a mio agio!
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Sabato 18 novembre, alle 15:30 sarò invece a Padova, in sala Nievo a Palazzo Bo, per parlare de <i>L’influenza dell’intelligenza artificiale nella produzione scritta e orale</i>. L’intervento si inserisce nella IV edizione del <a href="https://www.facebook.com/chiavidivoltafestival">festival <i>Chiavi di volta</i></a>, organizzato dagli Alumni della Scuola galileiana dell’Università di Padova.
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Infine, giovedì 30 novembre e venerdì 1 dicembre parteciperò al <a href="https://site.unibo.it/univers-ita/it/convegno">convegno finale del PRIN UniverS-ITA</a>, PRIN di cui sono uno dei componenti. Il convegno si svolgerà a Bologna e io parteciperò a due interventi nel pomeriggio del 1 dicembre: </div><div style="line-height: 150%; margin-bottom: 0cm;"><ul style="text-align: left;"><li> ore 16:00: <i>Le raccomandazioni per la scrittura universitaria. Manuali, declaratorie, obiettivi formativi</i> (Francesca Gallina, Salvatore Orlando e Mirko Tavosanis) </li></ul><ul style="text-align: left;"><li>ore 16:40: <i>Linee guida per la scrittura universitaria e prototipi per un laboratorio di scrittura</i> (Francesca Gallina, Alessandro Iannella, Salvatore Orlando e Mirko Tavosanis)</li></ul></div>
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Mirko Tavosanishttp://www.blogger.com/profile/06280624719643573178noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-6831591825771731142.post-40566331606322164722023-10-12T09:43:00.002+02:002023-10-12T09:45:52.662+02:00Wu Ming, UFO 78<div dir="ltr" style="text-align: left;" trbidi="on">
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<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgqsSrUWoIHOmorn7t4CfnBcZ4lMX5J30_wOfeLTez1XiFOpdx3AfBwgSh2GSRPEdjuerj49BmzDC4yExFzw83mgHfmrFKL57Pr9Vg7XE4ZbKcar6-X2MRSJiU5eSBhrRmsfxgNgLWJ8meRFu_fwNY7Jjn5YmQbbP3qBUPoe7dGPYlnq-dEgJ259LwGMpmt/s1202/UFO78.jpeg" style="clear: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><img alt="Copertina di UFO 78 dei Wu Ming" border="0" data-original-height="1202" data-original-width="768" height="320" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgqsSrUWoIHOmorn7t4CfnBcZ4lMX5J30_wOfeLTez1XiFOpdx3AfBwgSh2GSRPEdjuerj49BmzDC4yExFzw83mgHfmrFKL57Pr9Vg7XE4ZbKcar6-X2MRSJiU5eSBhrRmsfxgNgLWJ8meRFu_fwNY7Jjn5YmQbbP3qBUPoe7dGPYlnq-dEgJ259LwGMpmt/w204-h320/UFO78.jpeg" title="Copertina di UFO 78 dei Wu Ming" width="204" /></a></div>Quest’estate ho letto con divertimento e soddisfazione <i><a href="https://www.wumingfoundation.com/giap/2022/10/ufo-78-da-oggi-in-libreria/">UFO 78</a></i> dei Wu Ming. Per chi ha ricordi dell’anno 1978, in effetti, credo sia difficile restare indifferenti… non sciupo la sorpresa a nessuno, penso, se dico che uno dei protagonisti del romanzo, Martin Zanka, è una versione alternativa di Peter Kolosimo, impegnato in frequenti discussioni con il suo editore “Pablo Pepper”.
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Dal punto di vista narrativo, la storia parte da un classico antefatto da romanzo giallo: la scomparsa nel 1975 di due ragazzi durante un soggiorno sul monte Quarzerone, in Lunigiana. La gestione di questa componente, soprattutto nella parte finale, non soddisfa del tutto dal punto di vista narrativo. Nella mia prospettiva, però, la cosa è del tutto secondaria. Il motivo di interesse del romanzo sta soprattutto nella sua descrizione a distanza (in prospettiva quasi antropologica) dell’ambiente e del periodo, cioè dell’Italia del 1978.
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Oggi è straniante ripensare a quel remoto passato. Chi l’ha vissuto da bambino, forse è rimasto coinvolto in un’ansia millenarista che pareva confermata dagli eventi. L’avvistamento di UFO era una faccenda quotidiana, e non solo i libri di Peter Kolosimo e le produzioni affini, ma anche i canali istituzionali, dai telegiornali ai film, non facevano che aumentare le aspettative in materia. Per chi dava fiducia ai mezzi di comunicazione dell’epoca (altro che <i>fake news</i>!) era lecito aspettarsi che da un giorno all’altro gli extraterrestri si sarebbero palesati e avrebbero accompagnato l’umanità a un nuovo livello di coscienza. E del resto, anche a un livello più terreno in quell’anno non mancavano i segni della fine del vecchio mondo, in buona parte descritti o accennati nel romanzo: i sommovimenti politi e sociali, la minaccia di guerra nucleare, la diffusione dell’eroina, le tensioni sull’aborto, il rapimento di Moro, la scomparsa in rapida successione di due papi e l’arrivo di un terzo dalla remota Polonia, e così via…
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Alla fine, comunque, la palingenesi non c’è stata. Gradualmente, gli UFO sono scomparsi dai telegiornali della sera e i cambiamenti sociali sono stati gestiti, in positivo e in negativo, secondo modalità non troppo innovative. Certo, il cambiamento consiste soprattutto nel fatto che chi all’epoca era bambino è cresciuto – ma non ha contato solo il livello individuale, perché anche la società è davvero cambiata e ha abbandonato tante vecchie idee; quanto le nuove idee siano migliori è però questione ancora aperta.
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Il ricordo del periodo non mi lascia una vera nostalgia. L’eccitazione del 1978, in fin dei conti, si fondava su ingenuità, errori e conoscenze incomplete. Però qualche risonanza ancora c’è: la possibilità che le cose <i>possano cambiare</i> continua a essere fondamentale, nella mia prospettiva. E nel libro non mancano le parti in grado di attivare queste risonanze. Per esempio, quella in cui gli ufologi torinesi vanno a vedere <i>Incontri ravvicinati del terzo tipo</i> (pp. 28-39); oppure la “Bibliografia selettiva” delle pagine 499-500, con la sua lista di pubblicazioni collegate alle vicende descritte nel romanzo, con una serie di titoli inesistenti nella nostra realtà ma perfettamente realistici e in grado da soli di dare concretezza a un mondo. Insomma, non solo ho letto il romanzo molto volentieri, ma spero di poter tornare prima o poi a leggere qualcosa del genere.
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<i>Wu Ming, </i> UFO 78<i>, Torino, Einaudi, 2022, pp. 606, € 21, ISBN 978-88-06-24891-8. Copia letta come graditissimo prestito.</i>
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Mirko Tavosanishttp://www.blogger.com/profile/06280624719643573178noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-6831591825771731142.post-61870582460431028142023-09-22T09:27:00.006+02:002023-09-22T09:27:53.059+02:00Convegni e presentazioni<div dir="ltr" style="text-align: left;" trbidi="on">
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<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjaScI1O0sSCJvWXaBDnirkTFkwSx7snbSDjRCzL-GCFxo9MAjWT5Mzyx5drf87unXEd6PvbQAVktLRDQxPDs5WCQOHcveUUUJugrqHbPgBI1rKn6NC4rHTn-FQ0eSS2CwtYt5ccQH4V_L7nsjxIyte2muFYikzMnoO5LvNH_Y8zx35YSTf2Inejgt7FKuI/s1008/Festival-treccani-Lecco-Intro.jpg" imageanchor="1" style="clear: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><img alt="Locandina del Festival Treccani della lingua italiana" border="0" data-original-height="1008" data-original-width="929" height="320" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjaScI1O0sSCJvWXaBDnirkTFkwSx7snbSDjRCzL-GCFxo9MAjWT5Mzyx5drf87unXEd6PvbQAVktLRDQxPDs5WCQOHcveUUUJugrqHbPgBI1rKn6NC4rHTn-FQ0eSS2CwtYt5ccQH4V_L7nsjxIyte2muFYikzMnoO5LvNH_Y8zx35YSTf2Inejgt7FKuI/w295-h320/Festival-treccani-Lecco-Intro.jpg" title="Locandina del Festival Treccani della lingua italiana" width="295" /></a></div>Si riparte! Nelle prossime settimane parteciperò a diversi convegni e presentazioni. Tutti più o meno collegati al rapporto tra lingue e intelligenza artificiale.
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Si inizia oggi pomeriggio, 22 settembre, con un intervento all’interno del <a href="https://www.festivaltreccanidellalinguaitaliana.it/lecco-2023/">Festival Treccani della lingua italiana</a>, a Lecco. Questa edizione del festival è dedicata al tema dello stupore, e io parlerò assieme a Giuliana Fiorentino alle 17 sul tema <i>Non solo immagini: stupire con le parole del web 3.0</i>. Non credo però di suscitare stupore in nessuno preavvisando che la mia parte di intervento sarà dedicata soprattutto al modo in cui i sistemi di intelligenza artificiale oggi permettono di ricavare immagini a partire dalle parole – spesso con finalità di stupore!
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Il 28 settembre sarò invece <i>keynote speaker</i> (così si dice…) alla prima conferenza internazionale <i><a href="https://tu-dresden.de/gsw/slk/romanistik/das-institut/Chairs/prof-dr-anna-maria-de-cesare-greenwald/ai-rom-conference-2023#section-1-3">Automated texts In the ROMance languages</a></i> (Ai-ROM) a Dresda. Questa in particolare è la prima conferenza internazionale del suo genere, e mi aspetto di imparare moltissime cose dagli altri interventi! Lato mio, parlerò in italiano a proposito del <i>Valutare i testi generati: contatti e divergenze rispetto alla valutazione dei testi scritti da esseri umani</i>.
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Il 17 ottobre, infine, sarò a Brescia al settimo convegno LES, organizzato dalla rete dei <a href="https://www.liceoeconomicosociale.it/">Licei economico sociali</a>. Il titolo del convegno è <i>Il Liceo della contemporaneità orienta al futuro: Metaverso, Intelligenza artificiale e transizione digitale</i>, e io sono stato invitato a tenere un intervento nella II sessione, dalle 16:15 alle 17:30. Anche qui naturalmente parlerò di intelligenza artificiale. Tuttavia, mi sono riservato ancora un po’ di tempo prima di indicare il titolo esatto del mio intervento: gli sviluppi sono tanto rapidi che, credo, ciò che potrò dire il mese prossimo sarà molto diverso da ciò che potrei dire adesso.
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Mirko Tavosanishttp://www.blogger.com/profile/06280624719643573178noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-6831591825771731142.post-42332694568666748252023-09-15T10:58:00.006+02:002023-09-15T11:07:03.840+02:00Dopo la Presidenza<div dir="ltr" style="text-align: left;" trbidi="on">
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<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEiHm87jT4rOSm_TOsYosV6EMilhEQ0rmD60jR9Kn5wRqesH_2G_duox4iwbAOS-xLD6-OLeifDZ2oObIPYcmOyC1vxKcx8ml_E2mqkIOoZWyqOjHhKWsxJfYehh3EInSY53VgANQoQslI-M2vQyp3Qp46DrvY6CQBdggnbkfWh0_iXHFqGOv1CdJEmxB-n-/s748/Infouma%20settembre%202023.jpg" style="clear: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><img alt="Presentazione di Informatica umanistica - fotografia dalla redazione reti sociali del Dipartimento di Filologia, letteratura e linguistica dell'Università di Pisa" border="0" data-original-height="748" data-original-width="480" height="400" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEiHm87jT4rOSm_TOsYosV6EMilhEQ0rmD60jR9Kn5wRqesH_2G_duox4iwbAOS-xLD6-OLeifDZ2oObIPYcmOyC1vxKcx8ml_E2mqkIOoZWyqOjHhKWsxJfYehh3EInSY53VgANQoQslI-M2vQyp3Qp46DrvY6CQBdggnbkfWh0_iXHFqGOv1CdJEmxB-n-/w257-h400/Infouma%20settembre%202023.jpg" title="Presentazione di Informatica umanistica - fotografia dalla redazione reti sociali del Dipartimento di Filologia, letteratura e linguistica dell'Università di Pisa" width="257" /></a></div>Ieri, 14 settembre 2023, si è concluso il mio mandato triennale di presidente dei Consigli congiunti di Corso di Studio di Informatica umanistica dell’Università di Pisa: in pratica, la presidenza <a href="https://infouma.fileli.unipi.it/">del corso di laurea triennale e di quello magistrale in Informatica umanistica</a>.
</div>
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I corsi di studio in Informatica umanistica hanno una valida e ragionevolissima tradizione: l’alternanza tra presidenti provenienti dall’area umanistica e presidenti provenienti dall’area informatica. La tradizione si era interrotta nel ciclo precedente, che aveva visto la successione di due presidenti provenienti entrambi dall’area umanistica, ma per fortuna adesso è stata recuperata. Il nuovo Presidente è quindi il professor Alessio Malizia, docente presso il Dipartimento di Informatica, cui faccio i migliori auguri per l’attività!
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Guardando invece al passato… l’esperienza è stata tanto affascinante quanto impegnativa. Il fatto che il mio mandato abbia coperto quasi per intero il periodo pandemico ha avuto gli effetti che si possono immaginare. Ringrazio quindi sentitamente tutti quelli che hanno dato un contributo essenziale per il funzionamento dei Corsi di Studio in questi anni: gli studenti e i rappresentanti degli studenti; i colleghi, e in particolare la professoressa Maria Simi, come vicepresidente fino alla sua uscita dai ruoli e per molti importanti contributi anche in seguito; Alessio Malizia, come vicepresidente nell’ultimo anno di mandato; il personale tecnico-amministrativo, e la dottoressa Gloria Penso in particolare. A tutti loro, e ad altri che qui non nomino, vanno i miei calorosissimi ringraziamenti.
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Per quanto riguarda poi la sostanza dei Corsi di Studio, più nelle etichette credo nella realtà in tutta la sua complessità. E in sintesi, al di là dei pur lusinghieri indicatori quantitativi, che possono descrivere solo parzialmente situazioni tanto complesse, mi sembra proprio che i due Corsi di Studio funzionino. Mi sembra poi che nell’interazione tra docenti e studenti, in modo in buona parte indipendente dai progetti di partenza, i corsi abbiano trovato la loro identità. Anzi, per la precisione, due identità diverse, ma entrambe funzionali: una per il Corso di Studio triennale e una per quello magistrale.
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Nel mandato appena concluso ho quindi cercato soprattutto di fare una cosa: interpretare la situazione e venire incontro alle esigenze di studenti e docenti, riducendo le interpretazioni personali al minimo indispensabile. Credo che in un contesto del genere lo spirito di servizio sia la cosa migliore… e spero di aver portato a termine questo incarico in modo decoroso. Le valutazioni sul successo o meno dell’attività devono poi essere lasciate ad altri. A livello personale, però, posso testimoniare senza il minimo dubbio la bellezza di questa esperienza!</div>
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Mirko Tavosanishttp://www.blogger.com/profile/06280624719643573178noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-6831591825771731142.post-24238428118388686972023-06-23T16:31:00.005+02:002023-06-23T16:34:22.083+02:00Donati e altri, A Clinical Tool for Prognosis and Speech Rehabilitation in Dysarthric Patients: The DESIRE Project<div dir="ltr" style="text-align: left;" trbidi="on">
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<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEg0toiG-jPk8ihcVXP1kb9EGfW4h0RSPLadXelNLC9ving373Svd3tdwOwrYA_wsD32nXUiGWN2wrUf7q9QTs2wHmot3Ywui9VznhHz_yyTpEgqqa0bF5SCXu3-t9Dx5iyg55jRiBQ2wNPLkpftLxiJbaAx4MKQQANW3vjNeR014dsr_zyzHJ5FyFW88kDo/s1344/ApplePies%202022.png" style="clear: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><img alt="Copertina di ApplePies 2022" border="0" data-original-height="1344" data-original-width="884" height="320" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEg0toiG-jPk8ihcVXP1kb9EGfW4h0RSPLadXelNLC9ving373Svd3tdwOwrYA_wsD32nXUiGWN2wrUf7q9QTs2wHmot3Ywui9VznhHz_yyTpEgqqa0bF5SCXu3-t9Dx5iyg55jRiBQ2wNPLkpftLxiJbaAx4MKQQANW3vjNeR014dsr_zyzHJ5FyFW88kDo/w210-h320/ApplePies%202022.png" title="Copertina di ApplePies 2022" width="210" /></a></div>Da diversi mesi non aggiorno le presentazioni delle mie pubblicazioni qui sul blog. Finalmente è arrivato il momento di farlo… e sono lieto di iniziare da un lavoro interessante e meritorio, anche se il mio contributo è stato marginale nell’economia compessiva.</div>
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Negli atti della conferenza <a href="https://applepies.eu/">ApplePies</a> (<i>International Conference on Applications in Electronics Pervading Industry, Environment and Society</i>) è infatti uscito un intervento di diversi autori. Più precisamente, l’intervento è uscito negli <a href="https://link.springer.com/book/10.1007/978-3-031-30333-3">atti della conferenza 2022</a> e gli autori sono, nell’ordine di presentazione, Massimiliano Donati, Alessio Bechini, Clelia D’Anna, Bruno Fattori, Martina Olivelli, Susanna Pelagatti, Giulia Ricci, Erika Schirinzi, Gabriele Siciliano, Mirko Tavosanis, Francesca Torri, Nicola Vanello e Luca Fanucci. L’intervento in sé poi si intitola <i><a href="https://link.springer.com/chapter/10.1007/978-3-031-30333-3_52">A Clinical Tool for Prognosis and Speech Rehabilitation in Dysarthric Patients: The DESIRE Project</a></i> ed è stato realizzato nell’ambito di un Progetto di Ricerca di Ateneo (PRA) dell’Università di Pisa.
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Due parole di contesto: la <a href="https://www.treccani.it/enciclopedia/disartria">disartria </a>è un disturbo del linguaggio, dovuto a problemi di movimento che disturba il parlato di chi ne soffre e, a seconda della gravità, può renderlo quasi impossibile da comprendere per chi non conosce bene il paziente. Il gruppo che si è occupato del contributo ha lavorato allo sviluppo di DESIRE, uno strumento che analizza diverse sessioni di lettura in cui i pazienti pronunciano ad alta voce parole specifiche predefinite. Lo strumento è stato pensato per agevolare il controllo della progressione della malattia e i risultati della riabilitazione: elabora infatti una misura che indica quanto la pronuncia del paziente si discosta rispetto alle sessioni precedenti e dalle prestazioni attese.
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Per raggiungere questo risultato, DESIRE valuta il modo in cui i pazienti pronunciano i fonemi e i gruppi di consonanti della lingua italiana, oltre ai tempi di pronuncia delle parole. Il mio lavoro quindi è stato di supervisione degli aspetti linguistici, in supporto a una serie di controlli preliminari svolti da una mia laureanda (poi laureata), Ludovica Corsi. Il mio è stato appunto un contributo modesto, ma mi ha fatto molto piacere poterlo dare in rapporto a una questione medica vicina ad altre che mi coinvolgono direttamente.
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Aggiungo, a monte, che il lavoro di Ludovica Corsi ha chiarito bene quanto il linguaggio disartrico possa essere divergente da quello dell’utente tipico, e quanto ciò limiti l’utilità degli assistenti vocali oggi di uso comune. Anche questa è una direzione in cui sarebbe molto opportuno approfondire gli studi.
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<i> Donati e altri, </i> A Clinical Tool for Prognosis and Speech Rehabilitation in Dysarthric Patients: The DESIRE Project<i>, in </i> International Conference on Applications in Electronics Pervading Industry, Environment and Society<i>, a cura di Riccardo Berta e Alessandro Gloria, Springer, 2023, pp. 380-385, DOI <a href="https://dx.doi.org/10.1007/978-3-031-30333-3_52">https://dx.doi.org/10.1007/978-3-031-30333-3_52</a>, Scopus 2-s2.0-85161416842.</i>
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Mirko Tavosanishttp://www.blogger.com/profile/06280624719643573178noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-6831591825771731142.post-21943753087385449572023-05-02T09:15:00.004+02:002023-05-02T09:17:48.754+02:00Intervento su lingue franche e traduzione automatica<div dir="ltr" style="text-align: left;" trbidi="on">
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<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEh6cHu5AfL3ic_TZJw5869ZvnTdUNlmxxo7Gd_FfuhK-GJyaqFK6VdldgAeNRGML9Pi71qJo1j0isIasc2vxNasWuq3xG08YAvs2IWnE0T9e5ZRBTNeGJyviMteBdAu6acDApzqbkQtxZLHzr9plauPABokQKYfkZutAI63hhOeGA6FSjt6UwI4mGMMaQ/s1098/ConvegnoPerugia2023.png" style="clear: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="1098" data-original-width="774" height="320" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEh6cHu5AfL3ic_TZJw5869ZvnTdUNlmxxo7Gd_FfuhK-GJyaqFK6VdldgAeNRGML9Pi71qJo1j0isIasc2vxNasWuq3xG08YAvs2IWnE0T9e5ZRBTNeGJyviMteBdAu6acDApzqbkQtxZLHzr9plauPABokQKYfkZutAI63hhOeGA6FSjt6UwI4mGMMaQ/s320/ConvegnoPerugia2023.png" width="226" /></a></div>Sono stato invitato alla Scuola Lingue Estere dell’Esercito a Perugia per parlare domani, mercoledì 3 maggio, a proposito di un tema che mi interessa molto: <i>Dalle lingue franche alla traduzione automatica</i>. L’intervento si inserisce nel convegno su <i><a href="https://www.unipg.it/news/vita-accademica?layout=scheda&idNews=3758">La comunicazione dei valori in pace e in guerra</a></i>, organizzato dalla Scuola Lingue Estere dell’Esercito e dall’Università degli Studi di Perugia. Il tema generale, come si vede, è purtroppo di particolare attualità. Spero quindi che il mio intervento – centrato sulla lingua franca storica e sulle lingue franche in generale – possa essere un piccolo ma utile contributo alla riflessione. Durante l’intervento saranno menzionati, tra gli altri, Pietro Della Valle e la moglie Sitti Maani, un giapponese che parlava latino in Persia nel Seicento e i Google Smart Glasses…</div>
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Mirko Tavosanishttp://www.blogger.com/profile/06280624719643573178noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-6831591825771731142.post-83801001976258070312023-03-24T10:28:00.002+01:002023-03-24T10:28:47.482+01:00Tavosanis, Unità e molteplicità nella didattica dell’Informatica umanistica<div dir="ltr" style="text-align: left;" trbidi="on">
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<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjDmLxTipbo8uCs2Yz8GWqRHuWh0LTrMVsCQ0-MZnVigqCaZZTPAK-z6tNb2en6pQTEBAL2bHga0jszAnZN3n_LqU8JaQfoRUxuQDIn6TDa2XeNwnvyckU5BB4IxoNaOgD2Ij9Gm40GJd5aopHFM4giWjzDOsCBo5pQG5793_kKH8lO46gn8jB7uQO2hQ/s1172/pionieri.png" style="clear: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><img alt="Copertina del libro Pionieri tra due culture" border="0" data-original-height="1172" data-original-width="827" height="320" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjDmLxTipbo8uCs2Yz8GWqRHuWh0LTrMVsCQ0-MZnVigqCaZZTPAK-z6tNb2en6pQTEBAL2bHga0jszAnZN3n_LqU8JaQfoRUxuQDIn6TDa2XeNwnvyckU5BB4IxoNaOgD2Ij9Gm40GJd5aopHFM4giWjzDOsCBo5pQG5793_kKH8lO46gn8jB7uQO2hQ/w226-h320/pionieri.png" title="Copertina del libro Pionieri tra due culture" width="226" /></a></div>Sono lieto di aver partecipato a un corposo volume collettivo: <i><a href="https://www.labcd.unipi.it/quaderni-di-cultura-digitale/pionieri-tra-due-culture/">Pionieri tra due culture</a></i>. Si tratta di un libro pubblicato, in occasione del pensionamento, in onore di Maria Simi, già professoressa di Informatica e fondatrice nel 2002, assieme a pochi altri, dei <a href="https://infouma.fileli.unipi.it/">corsi di laurea in Informatica umanistica</a> presso l’Università di Pisa.
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Il libro fa parte dei <a href="https://www.labcd.unipi.it/quaderni-di-cultura-digitale/">Quaderni del Laboratorio di cultura digitale dell<span style="color: black;">’</span>Università di Pisa</a> e include numerosi contributi: alcuni hanno un taglio storico e rievocativo, altri presentano in dettaglio esperienze specifiche riconducibili all’informatica umanistica. Il mio si intitola <i>Unità e molteplicità nella didattica dell’Informatica umanistica</i> ed è, in un certo senso, di taglio istituzionale. Essendo adesso presidente dei corsi di laurea in Informatica umanistica, mi è sembrato infatti opportuno fare una fotografia della situazione e del loro successo.
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Le mie considerazioni, sulla base dei dati, sono che alla fine i corsi di laurea hanno preso assetti molto diversi da quelli per cui erano stati pensati inizialmente. Il corso triennale ha preso una forte connotazione professionalizzante, di preparazione diretta al lavoro; il corso magistrale ha caratteristiche più sperimentali, e include una gamma molto ampia di discipline (e vale la pena di notare che vi si iscrivono soprattutto laureati triennali di area umanistica provenienti da altri corsi di studi, molto più numerosi dei laureati della corrispondente triennale). Entrambi i corsi riscuotono… e spero di non sembrare troppo di parte a dirlo… un notevole successo, nonostante sia molto difficile descrivere le loro caratteristiche in modo unitario.
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Questa forte differenziazione sotto la stessa etichetta può fornire spunto per utili riflessioni a chi cerca di definire che cosa sia oggi l’“informatica umanistica”. Io personalmente, al di là di ogni definizione, apprezzo molto le cose che funzionano e che trovano il loro posto nel mondo; il che, nel caso dei nostri corsi di laurea in Informatica umanistica, è dovuto in buona parte al ventennale lavoro di Maria Simi.
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<i> Mirko Tavosanis, </i> Unità e molteplicità nella didattica dell’Informatica umanistica<i>, in </i>Pionieri tra due culture: Informatica umanistica a Pisa in onore di Maria Simi<i>, a cura di Enrica Salvatori, Susanna Pelagatti e Chiara Mannari, Milano, Simonelli, 2023, pp. 606, € 9,90, ISBN versione Epub 978-88-9320-316-6. Copia ricevuta come autore.</i>
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Mirko Tavosanishttp://www.blogger.com/profile/06280624719643573178noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-6831591825771731142.post-81704745325198363682022-12-29T10:13:00.001+01:002022-12-29T10:13:40.544+01:00Tavosanis, Riformulare fonti in voci di enciclopedia<div dir="ltr" style="text-align: left;" trbidi="on">
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<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEil-0mBCGMwgaRLD3EtP5czdPbGO033JzEK2Gt20q2g8kGnhZ4FmDLNgxTiTQclDNZEZthu2PqoXpQDiOEI57mfJ_LRdAEJNTc-LGmtdHu1CgxV43lgXLzYWZOwXCOtSzoRQXCl7_e6hp-Uq2sKSAO8E9SNqZQ4X8HyF9rU7j9N4B0-YynclqbdxDjMbQ/s890/Dal%20testo%20al%20testo.png" imageanchor="1" style="clear: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><img alt="Copertina di Dal testo al testo" border="0" data-original-height="890" data-original-width="628" height="320" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEil-0mBCGMwgaRLD3EtP5czdPbGO033JzEK2Gt20q2g8kGnhZ4FmDLNgxTiTQclDNZEZthu2PqoXpQDiOEI57mfJ_LRdAEJNTc-LGmtdHu1CgxV43lgXLzYWZOwXCOtSzoRQXCl7_e6hp-Uq2sKSAO8E9SNqZQ4X8HyF9rU7j9N4B0-YynclqbdxDjMbQ/w226-h320/Dal%20testo%20al%20testo.png" title="Copertina di Dal testo al testo" width="226" /></a></div>Il 2022 per me è stato un anno davvero impegnativo – come si vede anche dagli scarsi aggiornamenti su questo blog. Sia le questioni personali sia, soprattutto, il lavoro hanno reso difficile fare qualcosa di più che gestire le urgenze. Adesso però, finalmente, molti traguardi importanti sono stati raggiunti e spero che nei prossimi mesi (o perfino anni?) le cose vadano molto, molto meglio.
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Nell’elenco delle cose che non sono riuscito a fare rientrano anche gli aggiornamenti sulle pubblicazioni. Per questo arrivo solo ora a parlare di un contributo che in effetti è uscito nella prima metà dell’anno: il mio <i>Riformulare fonti in voci di enciclopedia</i>. <a href="https://www.francocesatieditore.com/catalogo/dal-testo-al-testo/">Il libro</a> in cui è uscito presenta gli atti del <a href="http://www.asli-scuola.it/index.php/formazione-docenti/convegni/iii-convegno-asli-scuola">III convegno ASLI Scuola</a>, tenuto nel febbraio 2020: non lo immaginavo, ma per un anno e mezzo per me sarebbe stato l’ultimo convegno in presenza …
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Il contributo, comunque, presenta l’attività generale della riformulazione in rapporto al caso specifico delle voci di Wikipedia. Il passaggio dalla riformulazione scolastica a quella su un sito pubblico mi sembra importante, perché rende necessario affrontare il rapporto con il diritto d’autore e la necessità legale, in diversi contesti, di usare parole proprie per fornire informazioni già presentate da altri. Ciò amplia il panorama rispetto alle pratiche scolastiche, che spesso consistono solo nella riscrittura di un testo in forma più chiara.
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In ogni caso, ciò che emerge è che la riformulazione ha un posto importante ma minoritario nella scrittura di Wikipedia. In una tesi di laurea triennale è stato eseguito il confronto di un campione di voci di Wikipedia in lingua italiana con il testo di 65 fonti su cui si basavano le informazioni presentate nel testo. Dalle 65 fonti si è passati a 52 casi analizzabili (gli altri erano basati su collegamenti non funzionanti, indicazioni impossibili da verificare e simili); e di questi, ben 41 potevano essere considerati rielaborazione completa, senza stretti contatti con il testo di partenza a parte il trasferimento di informazioni. In un caso c’era una citazione letterale, in 6 casi una rielaborazione leggera e in 4 casi una rielaborazione consistente.
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Già questo dato è interessante: alla fine, il canale più importante per il trasferimento di informazioni da un testo all’altro è la rielaborazione personale, non la riformulazione. Come spesso accade, però, la verifica sistematica ha permesso di notare anche altre cose. Ancora più interessante mi sembra infatti un altro punto: il fatto che le fonti citate fossero in grande maggioranza (40 su 65) in lingua diversa dall’italiano. E in effetti, se ci pensiamo bene, su questo non si riflette molto. Oggi la scrittura basata su altre scritture ha spesso alla base un testo in altre lingue – e anche l’insegnamento della scrittura in lingua italiana dovrebbe tener conto di questo fatto, notando che spesso più che riformulare si traduce.
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<i> Mirko Tavosanis, </i> Riformulare fonti in voci di enciclopedia<i>, in </i>Dal testo al testo: lettura, comprensione e produzione<i>, a cura di Claudio Giovanardi, Elisa De Roberto e Andrea Testa, Firenze, Cesati, 2022, pp. 445, , € 36, ISBN 978-88-7667-951-3, pp. 399-408. Copia ricevuta come autore.</i>
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Mirko Tavosanishttp://www.blogger.com/profile/06280624719643573178noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-6831591825771731142.post-75384825948667126642022-08-31T09:48:00.001+02:002022-08-31T09:48:31.014+02:00I prossimi convegni<div dir="ltr" style="text-align: left;" trbidi="on">
<div style="line-height: 150%; margin-bottom: 0cm;"> </div>
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Per la prima volta dal 2020, in queste settimane parteciperò a due convegni in presenza e fuori Pisa. Il primo, addirittura all’estero! Oggi pomeriggio, alle 16:30, parlerò infatti dell’<i>Uso dell’italiano
in Asia nel Seicento</i> attraverso le testimonianze collegate ai viaggi di Giuseppe Maria Sebastiani. Il contesto è il <a href="https://www.silfi.eu/SILFI_2020/">XVI Congresso della Società internazionale di Linguistica e filologia italiana</a>, rinviato per ben due anni e ora finalmente arrivato in porto grazie alla tenacia degli organizzatori.
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Dal 21 al 24 settembre sarò invece a Napoli (e a Procida) per il <a href="https://testievarieta.wordpress.com/">XXI congresso dell’Associazione per la Storia della lingua italiana</a>. Il mio intervento sarà dedicato a presentare <i>Varietà dell’italiano e lingue straniere nella testimonianza di Pietro Della Valle</i>.
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Dopo tanti lavori dedicati a Internet e Wikipedia, passo insomma a parlare di faccende più distanti nel tempo e nello spazio. Ma non per questo meno interessanti - anzi!
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Mirko Tavosanishttp://www.blogger.com/profile/06280624719643573178noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-6831591825771731142.post-18083299739379526882022-07-01T11:08:00.003+02:002022-07-01T11:09:41.083+02:00In memoria di Valerio Evangelisti<div dir="ltr" style="text-align: left;" trbidi="on">
<div style="line-height: 150%; margin-bottom: 0cm;"><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><br /></div><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjuhCgJu9Bir9UTUVGtKr-8HdycPdobFGakxCXLHpkROM7nbV4-_H-tw3VSmLctoqk05Xd6q0jpmEKkGiMmwc_tx0ydkaKSCMhwQLZkzuCJd0yjw6-zR5SDFgRN9CCUO1I7z3-_DKqgW3lpmQKMOdPys19_EfcyOT2EeBCvxQn97izPjAYSxBpw48mWbg/s1180/02_Tavosanis_immagine_articolo.png" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img alt="Illustrazione di Francesco Mattioli" border="0" data-original-height="584" data-original-width="1180" height="198" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjuhCgJu9Bir9UTUVGtKr-8HdycPdobFGakxCXLHpkROM7nbV4-_H-tw3VSmLctoqk05Xd6q0jpmEKkGiMmwc_tx0ydkaKSCMhwQLZkzuCJd0yjw6-zR5SDFgRN9CCUO1I7z3-_DKqgW3lpmQKMOdPys19_EfcyOT2EeBCvxQn97izPjAYSxBpw48mWbg/w400-h198/02_Tavosanis_immagine_articolo.png" title="Illustrazione di Francesco Mattioli" width="400" /></a></div><br /></div>
<div style="line-height: 150%; margin-bottom: 0cm;">
Questa settimana (il 28 giugno) <a href="https://www.treccani.it/magazine/lingua_italiana/">nella sezione <i>Lingua italiana </i>del Magazine Treccani</a> è uscito un mio contributo su <i><a href="https://www.treccani.it/magazine/lingua_italiana/speciali/Evangelisti/2_Tavosanis.html">Evangelisti e la fantascienza</a></i>, o più specificamente sul rapporto tra Valerio Evangelisti e la fantascienza italiana. Il contributo si inserisce in <a href="https://www.treccani.it/magazine/lingua_italiana/speciali/Evangelisti/mainSpeciale.html">uno speciale su Evangelisti</a> curato da Alberto Sebastiani e programmato da tempo. Purtroppo, gli eventi hanno trasformato il lavoro in un omaggio postumo; ma anche in queste tristi circostanze vale la pena tornare indietro con la memoria, e ricordare come sono andate le cose alle origini.</div>
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Mirko Tavosanishttp://www.blogger.com/profile/06280624719643573178noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-6831591825771731142.post-10186723390914171672022-04-12T10:15:00.004+02:002022-04-12T10:17:07.929+02:00Montessori, Come educare il potenziale umano<div dir="ltr" style="text-align: left;" trbidi="on">
<div style="line-height: 150%; margin-bottom: 0cm;"> </div>
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Che cosa strana, il passato! Anche quando si è abituati, è come minimo tanto difficile da capire quanto il presente, e le sorprese non mancano.
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Per esempio, io pensavo di conoscere più o meno le idee e la figura di <a href="https://it.wikipedia.org/wiki/Maria_Montessori">Maria Montessori</a> – di seconda mano. Adesso però, per ragioni esterne, ho letto il suo libro <i>Come educare il potenziale umano</i>. Il libro presenta la traduzione italiana di una serie di conferenze tenute dall’autrice in India nel 1943; non so quanto sia coerente con le altre sue opere, ma da diversi punti di vista ha rappresentato una lettura un po’ sconcertante.
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Le prime pagine vanno avanti abbastanza tranquillamente nel descrivere le esigenze dei bambini oltre i sei anni e il modo per soddisfarle. Certo, sorprendono un po’ i riferimenti continui al Piano Cosmico in cui le esigenze stesse, secondo l’autrice, devono essere inserite, ma tant’è… Una delle idee su cui Maria Montessori insiste di più è l’importanza di integrare la fantasia con l’intelligenza, e questo mi sembra ancora oggi perfettamente condivisibile. In un’epoca in cui mi sembra diffuso il pregiudizio che stimolare l’intelligenza significhi mortificare la fantasia, continua a essere importante ricordarsi che le due facoltà non solo non sono in conflitto ma si rafforzano tra di loro. D’accordo, il quadro psicologico di riferimento per l’autrice è ottocentesco (bergsoniano), ma non è che su questo si siano fatti progressi tali da rendere superate molte osservazioni di buon senso.
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Dopodiché… rinforzare la curiosità del bambino presentando, più che favole, la storia reale dell’universo mi va benissimo. Ma colpisce il modo assolutamente finalistico in cui quest’ultima viene presentata, e che occupa il grosso del libro. L’esposizione sembra una sintesi di appunti di storia preparati dall’autrice per autoconvincersi: l’evoluzione viene presentata come realizzazione dello Scopo della Vita (con le maiuscole), l’impostazione religiosa e finalistica domina e gli organisimi viventi diventano sempre più complessi mentre la razza umana sviluppa civiltà superiori, Atlantide, Poseidonis, gli ariani…
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Certo, una parte di questo straniamento è dovuta al fatto che al momento in cui venivano tenute le conferenze, idee come le differenze evolutive tra le razze umane o l’esistenza di Atlantide erano <i>davvero</i> considerate verità scientifiche. A volte ci scordiamo quanto sono recenti molte delle nostre acquisizioni! Ma il resto dello straniamento è dovuto, direi, a qualcosa di ancora più radicale: alla certezza con cui tutto questo è presentato. La lunga serie di esempi che forma il libro rappresenta, secondo l’autrice, una perfetta realizzazione e illustrazione dei princìpi di base.
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<div style="line-height: 150%; margin-bottom: 0cm;">
Proprio l’abbandono di questa impostazione, che il libro ha in comune ancora con tanta saggistica di oggi, mi sembra indispensabile in qualunque progetto didattico o pedagogico di ampio respiro. Prendere elementi eterogenei, forzarli in uno schema e ignorare i controesempi sembra uno degli errori più gravi che si possano fare. Ormai, temo, sono diventato un po’ rigido su questo punto.
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<div style="line-height: 150%; margin-bottom: 0cm;">
<i>Maria Montessori, </i>Come educare il potenziale umano<i> (traduzione di Letizia Berrini Pajetta di </i>To educate the human potential<i>), Milano, Garzanti, 1970, pp. 181. Letto nella copia della Biblioteca di Filosofia e Storia dell’Università di Pisa.</i>
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Mirko Tavosanishttp://www.blogger.com/profile/06280624719643573178noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-6831591825771731142.post-50253732406621097632022-01-11T10:09:00.002+01:002022-01-11T10:09:49.467+01:00Harris, Beyond the Horizon<div dir="ltr" style="text-align: left;" trbidi="on">
<div style="line-height: 150%; margin-bottom: 0cm;"> </div>
<div style="line-height: 150%; margin-bottom: 0cm;">
<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/a/AVvXsEhf326UMDOn30XSlibvoxhcLwDXQfsp3OAOI0J67hsZvTZxHweVr8sZQYKFxv6HGcCb-YSzynNWBZcptknh5Lp8u3r7ZF2JT-mkNZc7wB3MNJljCL6TcA8VoGT6x0wiwgtGyz1SxM_Dr8vUcsDq50BjF0pKza8tkMDPvklYGjzOpKCcjvfO2D_zqDSMPw=s882" imageanchor="1" style="clear: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><img alt="Copertina di Beyond the Horizon di John Harris" border="0" data-original-height="882" data-original-width="655" height="200" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/a/AVvXsEhf326UMDOn30XSlibvoxhcLwDXQfsp3OAOI0J67hsZvTZxHweVr8sZQYKFxv6HGcCb-YSzynNWBZcptknh5Lp8u3r7ZF2JT-mkNZc7wB3MNJljCL6TcA8VoGT6x0wiwgtGyz1SxM_Dr8vUcsDq50BjF0pKza8tkMDPvklYGjzOpKCcjvfO2D_zqDSMPw=w149-h200" title="Copertina di Beyond the Horizon di John Harris" width="149" /></a></div>C’era un tempo, quando ero bambino e ragazzo, in cui l’illustrazione di fantascienza mi colpiva molto. Le immagini di artisti come Karel Thole, Chris Foss, Michelangelo Miani o Paul Lehr mi lasciavano un’impressione fortissima, specie se collocate sulla copertina di qualche libro o rivista. Il picco, direi, è stato tra 1976 e 1984; dopodiché è cambiato il mondo. E soprattutto, com’è ovvio, sono cambiato io.
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<div style="line-height: 150%; margin-bottom: 0cm;">
Qualche mese fa, durante uno dei periodi di isolamento ho provato a vedere se le sensazioni fossero ancora lì e ho comprato <i><a href="https://titanbooks.com/7143-the-art-of-john-harris-beyond-the-horizon/">Beyond the Horizon</a></i> di <a href="https://en.wikipedia.org/wiki/John_Harris_(artist)">John Harris</a>. È un bel libro d’arte, però, no, le sensazioni non sono ancora lì. Le pennellate indistinte e vagamente alla Turner di questi dipinti sono molto professionali, ma a guardarle non è più il Mirko di qualche decennio fa. </div><div style="line-height: 150%; margin-bottom: 0cm;"><br /></div><div style="line-height: 150%; margin-bottom: 0cm;">Certo, l’impatto visivo resta forte:
</div><div style="line-height: 150%; margin-bottom: 0cm;"><br /></div><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/a/AVvXsEjNe5crQ5A4HQGtvW_2QJdcpot1eR1FPTADetZU9MljZ59CASI3BiwCe6CDH2_AMVer8BH_UuwHI3A4NKMVrOV9AWDZNqRoUQJAufC2o97ZuVzH0Y-Vu3bbE890PIcM9txrcCedgqKoaY_fCkuKtiSlvb1Ba59SorIgfEeHSpRSNYud0ONmKp6J5tkeFA=s4032" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img alt="Harris a doppia pagina" border="0" data-original-height="3024" data-original-width="4032" height="240" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/a/AVvXsEjNe5crQ5A4HQGtvW_2QJdcpot1eR1FPTADetZU9MljZ59CASI3BiwCe6CDH2_AMVer8BH_UuwHI3A4NKMVrOV9AWDZNqRoUQJAufC2o97ZuVzH0Y-Vu3bbE890PIcM9txrcCedgqKoaY_fCkuKtiSlvb1Ba59SorIgfEeHSpRSNYud0ONmKp6J5tkeFA=w320-h240" title="Harris a doppia pagina" width="320" /></a></div><br /><div style="line-height: 150%; margin-bottom: 0cm;">Tuttavia, a parte qualche eccezione, i paesaggi di altri mondi mi lasciano abbastanza indifferente, e i testi di accompagnamento sono in alcuni casi irritanti (e con qualche errore grammaticale). I dipinti più energici mi piacciono, quelli che dovrebbero essere più malinconici mi sembrano di qualità inferiore. L’aspetto più interessante sono forse le scelte cromatiche insolite, con tinte pastello: una buona selezione si può vedere <a href="https://www.alisoneldred.com/john-harris/stock-art-1/science-fiction-and-fantasy-1/">sul sito di Alison Eldred</a>.</div>
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<div style="line-height: 150%; margin-bottom: 0cm;">
Mi ha sorpreso semmai vedere che Harris è attivo nel settore dagli anni Settanta. Non solo non lo ricordavo da quegli anni, ma i dipinti che ha fatto in quel periodo sembrano ancora contemporanei! E, altra sorpresa, Harris ha realizzato opere di buon livello come copertine per romanzi di basso profilo, tipo quelli di Orson Scott Card, o magari decorosi ma marginali, come la serie di <i>Stazione ospedale</i> di James White (sì, c’era un tempo in cui leggevo i romanzi di James White!). Scorrendo i titoli si ha la sensazione di guardare con coerenza le riserve di una squadra, non i giocatori in campo.
</div>
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<div style="line-height: 150%; margin-bottom: 0cm;">
Nel frattempo, poi, sui libri che conosco si sono accumulati quelli di generazioni più recenti – in particolare quelli di John Scalzi, con cui Harris ha evidentemente un rapporto privilegiato. L’esito finale è qualcosa di insolito. Non è un paesaggio sgradevole, ma nemmeno qualcosa che abbia voglia di rivistare troppo.
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<div style="line-height: 150%; margin-bottom: 0cm;">
<i>John Harris, </i>Beyond the Horizon<i>, Londra, Titan Books, 2014, pp. 160, ISBN (edizione tascabile) 978-1-781168424, £ 24,99.</i>
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Mirko Tavosanishttp://www.blogger.com/profile/06280624719643573178noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-6831591825771731142.post-43604498060469652222021-12-24T15:41:00.002+01:002021-12-24T15:41:55.739+01:00Cominetti e Tavosanis, Interferenza della L1 nell’apprendimento degli articoli in italiano L2<div dir="ltr" style="text-align: left;" trbidi="on">
<div style="line-height: 150%; margin-bottom: 0cm;"> </div>
<div style="line-height: 150%; margin-bottom: 0cm;">
<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/a/AVvXsEhetJhD1CAI-JqHBTWF20HGN9YishPoLrTWBY_nImOnl6PQIkGR7RTRBYlheZSzTY5TGzX5tvb2gyf7_MPvGMN7VwIyzuxepyHzrDORLWyMNR_GlNm6nZ2Xnz7uED-SnJ_I5NcrimD5SUw66BOvzxtc0a4Q6gYfAQ1tjGs1YWteexkwC3z1jgxf0AEzBA=s1280" imageanchor="1" style="clear: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><img alt="I due volumi con gli atti del convegno SILFI 2016" border="0" data-original-height="960" data-original-width="1280" height="240" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/a/AVvXsEhetJhD1CAI-JqHBTWF20HGN9YishPoLrTWBY_nImOnl6PQIkGR7RTRBYlheZSzTY5TGzX5tvb2gyf7_MPvGMN7VwIyzuxepyHzrDORLWyMNR_GlNm6nZ2Xnz7uED-SnJ_I5NcrimD5SUw66BOvzxtc0a4Q6gYfAQ1tjGs1YWteexkwC3z1jgxf0AEzBA=w320-h240" title="I due volumi con gli atti del convegno SILFI 2016" width="320" /></a></div>Sono finalmente usciti due volumi che presentano una selezione di contributi basati sugli interventi tenuti al convegno SILFI di Madrid. Il percorso senz’altro non è stato facile, visto che <a href="https://linguaggiodelweb.blogspot.com/2016/04/silfi-madrid.html">il convegno si è svolto nel 2016</a> – ma sono molto contento che sia giunto a termine!
</div>
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<div style="line-height: 150%; margin-bottom: 0cm;">
Di sicuro, il prodotto finale è imponente: per quanto si tratti di una selezione, si concretizza appunto a due volumi che arrivano in totale quasi a milletrecento pagine. All’interno si trova anche un contributo scritto da Federica Cominetti e da me: <i><a href="https://www.academia.edu/64905703/Interferenza_della_L1_nell_apprendimento_degli_articoli_in_italiano_L2_una_ricerca_sul_corpus_ICoN">Interferenza della L1 nell’apprendimento degli articoli in italiano L2: una ricerca sul corpus ICoN</a></i>. Spero che molte delle cose dette lì possano ancora essere utili!
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<div style="line-height: 150%; margin-bottom: 0cm;">
Il nostro testo include una presentazione del <a href="http://corpusicon.fileli.unipi.it/">Corpus ICoN</a>, che però al momento della consegna del contributo era ancora in uno stato provvisorio: la presentazione definitiva è quindi quella pubblicata nel 2018 <a href="https://linguaggiodelweb.blogspot.com/2018/05/cominetti-e-tavosanis-icon-corpus-of.html">in un altro intervento di cui ho già parlato</a>. Quella uscita ora, più che una presentazione istituzionale, è comunque soprattutto una ricerca sull’interferenza del sistema degli articoli della L1 nell’apprendimento degli articoli in italiano L2, e in quanto tale mi sembra non sia invecchiata.
</div>
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<div style="line-height: 150%; margin-bottom: 0cm;">
L’analisi presentata, qualitativa e quantitativa, si concentra sugli errori nell’uso degli articoli in quattro sottocorpora estratti dal corpus ICoN. I quattro sottocorpora scelti comprendono testi di italiano L2 scritti da parlanti nativi di due lingue dotate di articoli (inglese e tedesco) e di due lingue prive di articoli (russo e ceco). A questi viene affiancato un sottocorpus realizzato da parlanti nativi di spagnolo.
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<div style="line-height: 150%; margin-bottom: 0cm;">
In sintesi, l’analisi degli errori mostra che l’esistenza di un sistema di articoli in L1 è correlata nel corpus a un uso più corretto degli articoli in italiano L2, con un effetto di interferenza positiva. Tuttavia, questa considerazione è valida solo per errori legati alle regole d’uso degli articoli, e non per le regole fonomorfologiche. La frequenza degli errori fonomorfologici nei sottocorpora sembra infatti indipendente dalla presenza o assenza di articoli nella L1. In altri termini, anche se chi ha come madrelingua il russo (senza articoli) commette più errori rispetto a chi ha come madrelingua il tedesco (con articoli) nel decidere quando l’articolo va usato e quando no, le differenze scompaiono al momento di decidere se l’articolo deve essere <i>il</i> o <i>lo</i>, eccetera. Ecco alcuni esempi di errore fonomorfologico ricavati dal corpus:
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<div style="line-height: 150%; margin-bottom: 0cm;"><ul style="text-align: left;"><li>
L1 ceco: E <i>lo</i> terzo tipo dello spirito esprime la totalità infinita e racchiude la filosofia, la religione e l'arte.</li><li>
L1 russo: Tra <i>i</i> scrittori italiani attivi nel periodo del secondo dopoguerra si ascrive l'operato di Elsa Morante.
</li><li>L1 tedesco: Così nel 1612 l'Accademia della Crusca sviluppò un vocabolario delle parole <i>dei</i> scrittori.</li><li>L1 inglese: Clodoveo, invece, implorando il Dio <i>degli</i> Cristiani sul campo di battaglia vide i suoi nemici scappare.</li></ul></div>
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<div style="line-height: 150%; margin-bottom: 0cm;">
Più in dettaglio, il contributo ipotizza che gli errori d’uso commessi da anglofoni e germanofoni si spieghino in parte con l’interferenza negativa, dovuta alla non perfetta sovrapponibilità dei sistemi di articoli delle due lingue con quello dell'italiano.
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<div style="line-height: 150%; margin-bottom: 0cm;">
<i>Federica Cominetti e Mirko Tavosanis, </i> Interferenza della L1 nell’apprendimento degli articoli in italiano L2: una ricerca sul corpus ICoN<i>, in </i>Acquisizione e didattica dell’italiano: riflessioni linguistiche, nuovi apprendenti e uno sguardo al passato<i>, a cura di Margarita Borreguero Zuloaga, Berlino, Peter Lang, 2021, 2 volumi, pp. 1252, ISBN 978-3-631-75782-6, pp. 97-119. Copia ricevuta come autore.</i>
</div>
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Mirko Tavosanishttp://www.blogger.com/profile/06280624719643573178noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-6831591825771731142.post-33557815066662550512021-11-17T09:11:00.000+01:002021-11-17T09:11:48.402+01:00I convegni di novembre<div dir="ltr" style="text-align: left;" trbidi="on">
<div style="line-height: 150%; margin-bottom: 0cm;"> </div>
<div style="line-height: 150%; margin-bottom: 0cm;">
<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhcnI_9UKeQTu7aoXXvhgmBnZDnYPQWKuKyrovpn0O1ts6upo4J5F377Oh1TIEId7C7tdiEellc7PROrLTZr9SScNRE2oIwjvCOb49AR5XzC0NIJu5kDNtGsMxzRhtc9ppchErGV4UX-d9u/s363/Logo+GISCEL.PNG" imageanchor="1" style="clear: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><img alt="Logo del convegno GISCEL" border="0" data-original-height="297" data-original-width="363" height="262" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhcnI_9UKeQTu7aoXXvhgmBnZDnYPQWKuKyrovpn0O1ts6upo4J5F377Oh1TIEId7C7tdiEellc7PROrLTZr9SScNRE2oIwjvCOb49AR5XzC0NIJu5kDNtGsMxzRhtc9ppchErGV4UX-d9u/w320-h262/Logo+GISCEL.PNG" title="Logo del convegno GISCEL" width="320" /></a></div>In una specie di parziale ritorno alla normalità, questa settimana parteciperò a due convegni. Sono per me i primi, dal marzo del 2020, e purtroppo, nonostante l’impegno degli organizzatori, si tengono entrambi a distanza. Ma sono comunque un’ottima occasione per riprendere anche questo genere di attività.
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<div style="line-height: 150%; margin-bottom: 0cm;">
All’università di Milano sono stato invitato a parlare al convegno <i>La didattica delle lingue e il Companion Volume: il testo, i descrittori, gli ambienti digitali telematici, le pratiche e le esperienze</i>, organizzato dal <a href="https://www.unimi.it/it/studiare/competenze-linguistiche">Centro linguistico d’Ateneo SLAM</a>. Oggi, 17 novembre 2021, nella sessione che inizia alle 11:15 farò quindi un intervento su <i>Esperienze multimodali per la didattica del lessico</i>, parlando soprattutto dei corsi online di Comprensione del testo che ho sviluppato e gestito dal 2018 per l’Università di Pisa.
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<div style="line-height: 150%; margin-bottom: 0cm;">
Domani inizierà invece a Locarno il <a href="https://giscel2020.supsi.ch/">XXI Convegno Nazionale GISCEL</a>, dedicato a <i>La scrittura nel terzo millennio</i>. Lì interverrò venerdì 19 alle 11:40 parlando de <i>Gli usi pratici della scrittura e la didattica della scrittura</i>: una riflessione basata sull’analisi di tutti i manuali di scrittura universitaria pubblicati in Italia dal Duemila a oggi. L’analisi è stata svolta all’interno del <a href="https://site.unibo.it/univers-ita/it">PRIN UniverS-ITA</a>, e spero offra diversi spunti interessanti.
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<div style="line-height: 150%; margin-bottom: 0cm;">
Poi, appunto, speriamo di poter tornare presto a fare queste cose anche in presenza…
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<div style="line-height: 150%; margin-bottom: 0cm;">
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</div>
</div>
Mirko Tavosanishttp://www.blogger.com/profile/06280624719643573178noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-6831591825771731142.post-490811998337178732021-10-19T11:52:00.001+02:002021-10-19T11:52:10.135+02:00Pieraccini, AI Assistants<div dir="ltr" style="text-align: left;" trbidi="on">
<div style="line-height: 150%; margin-bottom: 0cm;"><br /></div>
<div style="line-height: 150%; margin-bottom: 0cm;">
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<div style="line-height: 150%; margin-bottom: 0cm;">
<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhiBbyj0ieG5dsmECHl2JTl2zdO50Ex5G7huokXJsWcPauFfIL8SKovcsap-QBpSc6oNGPp3pcgmCMBBN-lp2spQ0MlnSJN8Qb68pE7ykzaFlBHTvUQF29ZAyCAVYso1jK_dFWQ72nTnD4W/s500/AI+Assistants.jpg" imageanchor="1" style="clear: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><img alt="Copertina di Roberto Pieraccini, AI Assistants" border="0" data-original-height="500" data-original-width="357" height="320" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhiBbyj0ieG5dsmECHl2JTl2zdO50Ex5G7huokXJsWcPauFfIL8SKovcsap-QBpSc6oNGPp3pcgmCMBBN-lp2spQ0MlnSJN8Qb68pE7ykzaFlBHTvUQF29ZAyCAVYso1jK_dFWQ72nTnD4W/w228-h320/AI+Assistants.jpg" title="Copertina di Roberto Pieraccini, AI Assistants" width="228" /></a></div>A parer mio, i moderni assistenti digitali sono prodotti di estremo interesse per la linguistica e potrebbero avere sviluppi rivoluzionari in particolare nell’insegnamento delle lingue. Quasi quattro anni fa (!) ne avevo parlato nel mio <i><a href="https://linguaggiodelweb.blogspot.com/2018/01/tavosanis-lingue-e-intelligenza.html">Lingue e intelligenza artificiale</a></i>, ma negli anni seguenti lo sviluppo è stato notevolissimo. Tanto per dirne una, quando il mio libro è uscito non erano ancora arrivati in Italia gli altoparlanti intelligenti, come i sistemi Alexa di Amazon e Google Home, e i sistemi di dialogo in commercio avevano appena iniziato a mantenere il contesto della conversazione…
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Eppure, nonostante gli sviluppi e le promesse, le pubblicazioni in proposito sono state ben poche. Solo negli ultimi mesi sono finalmente comparsi alcuni libri che descrivono in modo sistematico i moderni assistenti digitali, che fino a oggi erano descritti in sostanza solo dalle pubblicazioni specialistiche (con molte informazioni rimaste implicite nelle conoscenze dei ricercatori) o da istruzioni per l’uso come quelle di Dialogflow.
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Del secondo di questi libri, <i>Hey, Cyba!</i>, conto di parlare più avanti. Qui invece vorrei parlare di <i><a href="http://interfaccevocali.blogspot.com/2016/02/pieraccini-voice-in-machine.html">AI Assistants</a></i>, che, firmato da Roberto Pieraccini per la collana Essential Knowledge del MIT, finalmente descrive in modo sistematico il funzionamento degli assistenti digitali moderni.
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Da un certo punto di vista il libro può essere considerato un’appendice o una continuazione dell’ottimo <i><a href="http://interfaccevocali.blogspot.com/2016/02/pieraccini-voice-in-machine.html">The Voice in the Machine</a></i> dello stesso autore. Buona parte dello spazio, in effetti, è dedicata, più che agli assistenti digitali in sé, ai loro prerequisiti, cioè allo sviluppo delle tecnologie vocali dal dopoguerra a oggi. Questa storia era già stata raccontata in dettaglio appunto da <i>The Voice in the Machine</i>, ma la sovrapposizione tra i due libri è più ridotta di quanto si potrebbe immaginare: l’autore ha trattato il tema in modo nuovo. E soprattutto, queste informazioni sono importanti per comprendere molti aspetti del funzionamento degli assistenti digitali.
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Una simile scelta fa sì che le caratteristiche specifiche degli assistenti digitali in quanto tali siano presentate solo nei due ultimi capitoli: il sesto, dedicato a <i>The Dialog Manager</i>, e il settimo, <i>Interacting with an Assistant</i>. Chi si sente già preparato sui modelli di Markov nascosti o sulle difficoltà connesse alla generazione del parlato potrebbe quindi essere tentato di saltare direttamente a questi… ma credo che sarebbe un peccato, perché la descrizione delle fasi precedenti è comunque interessante in questa nuova prospettiva.
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Inoltre, molte delle informazioni presentate sono sì diffuse nell’ambiente, ma poco formalizzate e descritte. Questo fa sì che il testo fornisca informazioni difficilissime da ricostruire per gli esterni, come questa descrizione dello stato dell’arte per la gestione di pronomi e frasi incomplete:
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<div style="line-height: 150%; margin-bottom: 0cm;"><span style="font-size: x-small;">
Modern assistants are able to manage referential pronouns and incomplete sentences (called elliptical sentences) based on algorithms that unravel the structure of each query, determine whether the query is incomplete and missing elements such as the specific subject or intent, and try to answer it by resolving the missing elements with the right information. Those algorithms are based on a mix of language rules and the results of data analysis on large corpora of queries done in the past and aggregated over all the users (p. 169).
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In questo punto, e in molti altri, non ci sono rinvii a fonti di informazione specifiche, e la cosa non mi sorprende. Dove si dovrebbero trovare, del resto?
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In quanto alle modalità di esposizione, sono fondamentalmente non tecniche (e corrette e approfondite per quanto riguarda le componenti linguistiche). Tuttavia, come già succedeva in <i>The Voice in the Machine</i>, in alcuni punti sono molto sintetiche: nelle parti più tecniche è difficile che il lettore non informato possa comprendere tutto ciò che viene detto.
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L’esposizione arriva però anche al personale nell’ultimo capitolo. Pieraccini, viareggino, laureato in
Ingegneria a Pisa, ha lavorato a Torino al CSELT per poi spostarsi oltreoceano ai mitici Bell Labs e da lì a molte delle principali aziende del settore, avendo occasione di contribuire in prima persona a molti degli sviluppi descritti qui (adesso è Director of Engineering per Google Assistant a Zurigo). Uno di questi contributi ha riguardato lo sviluppo del “robot sociale” Jibo, che ha avuto una storia complessa e ha lasciato un segno importante, apparentemente, sia nella comunità degli sviluppatori sia tra gli utenti. Le pagine dedicate a questo argomento, oltre a essere tra le più interessanti nella mia prospettiva, mostrano un coinvolgimento non superficiale.
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In definitiva: il libro è caldamente raccomandato a chiunque sia interessato a questi argomenti.
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<i>Roberto Pieraccini, </i>AI Assistants<i>, Cambridge (Massachusetts), MIT Press, 2021, pp. 288 (edizione tascabile), ISBN (edizione tascabile) 978-0-26254255-5, letto nell’edizione Kindle, ASIN B08PY9X5YF, € 10,99.</i>
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Mirko Tavosanishttp://www.blogger.com/profile/06280624719643573178noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-6831591825771731142.post-54978659212070508922021-10-11T10:00:00.000+02:002021-10-12T09:54:38.496+02:00Rothman, Brokering Empire
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<i><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjyk7eiBME9ZyGwLK16AqlrZ3j5K6IIQ5MQQCga52G2KxGsKSOjKBmwVe3S9EgJHwqsljj5vOUsAieT4puxwnjGx8GqeTi0Juo1izhGi0_rj0jts9TsdWQRpgtRsmuS8Ols-HgprtxfcmJZ/s500/Rothman.jpg" style="clear: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><img alt="Copertina di Brokering Empire" border="0" data-original-height="500" data-original-width="330" height="320" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjyk7eiBME9ZyGwLK16AqlrZ3j5K6IIQ5MQQCga52G2KxGsKSOjKBmwVe3S9EgJHwqsljj5vOUsAieT4puxwnjGx8GqeTi0Juo1izhGi0_rj0jts9TsdWQRpgtRsmuS8Ols-HgprtxfcmJZ/w211-h320/Rothman.jpg" title="Copertina di Brokering Empire" width="211" /></a></div><a href="https://www.cornellpress.cornell.edu/book/9780801479960/brokering-empire/#bookTabs=1">Brokering Empire</a></i> di E. Natalie Rothman è un libro che nasconde molti contenuti interessanti dietro un titolo poco trasparente. Il sottotitolo resta sul vago, ma precisa un po’ meglio i contenuti: “Trans-Imperial Subjects between Venice and Istanbul”. All’interno non si parla infatti di mediazione (o “brokeraggio”?) di imperi, ma più modestamente di alcuni esempi dei diversi modi in cui a Venezia, tra Cinque e Seicento, venivano gestite diverse categorie di “stranieri”. Il libro si divide in quattro sezioni, di estensione grosso modo equivalente:</div>
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<div style="line-height: 150%; margin-bottom: 0cm;"><ul style="text-align: left;"><li><i>
Mediation</i>: la gestione della mediazione commerciale a Venezia, in particolare dopo che nel 1503 era stata istituita la gilda dei sensali, che assegnò a cento cittadini veneziani il monopolio di queste attività a Rialto – creando anche il problema di distinguere, cosa non facile, tra gli stranieri che svolgevano normali attività di supporto ai connazionali e quelli che provavano davvero a fare da mediatori professionisti.</li><li><i>
Conversion</i>: i processi di conversione al cattolicesimo visti attraverso la Pia Casa dei Catecumeni. Le modalità di questi processi erano molto diverse a seconda che i convertiti fossero ebrei (spesso residenti da tempo in città, ben integrati e padroni della lingua) e musulmani (spesso presenti come schiavi); l’autrice nota però che, anche se a volte la conversione consentiva un miglioramento delle condizioni di vita, il ruolo sociale del convertito restava di regola immutato, così come le sue reti di relazioni.</li><li><i>
Translation</i>: l’istutizione dei dragomanni pubblici a Venezia e i modi in cui la loro attività veniva definita (ne parlo più in dettaglio più sotto).</li><li><i>
Articulation</i>: i vari modi per caratterizzare gli stranieri a Venezia (anche ai fini del pagamento delle tasse sui dragomanni) e in particolare l’ambiguità dell’etichetta di “levantini”, che si riferiva a referenti anche molto diversi fra loro.</li></ul></div>
<div style="line-height: 150%; margin-bottom: 0cm;">Il libro è molto interessante anche se, come si vede fin dai titoli, spesso nasconde concetti semplici e intuitivi dietro a giochini di parole di vario genere: una moda della saggistica statunitense che, con un po’ di fortuna, prima o poi passerà. Un’altra caratteristica, connessa, è la tendenza a complicare la spiegazione di cose del tutto evidenti. Per esempio, un paragrafo dedicato ai diversi modi in cui in quel periodo venivano considerate le conversioni religiose si intitola “Peregrinations in space-time” (!, p. 96). All’interno vengono presentati due diversi modi di motivare e presentare la conversione al cattolicesimo: come una questione di cambiamento di comportamenti, spesso condizionati dalle necessità esterne, per chi veniva dall’Islam, o come una questione di sviluppo di una convinzione interiore per chi veniva dal protestantesimo. La differenza non è certo difficile da descrivere o capire, ma per “elucidarla” (“to elucidate”), l’autrice ricorre al concetto di cronotopo introdotto da Bachtin (p. 97). Il concetto, com’è ovvio, non aggiunge assolutamente <i>nulla</i> alla descrizione della situazione e non aiuta affatto a capirla: è un puro sfoggio di erudizione, nemmeno troppo appropriato visto che il concetto originale di Bachtin si riferiva alle opere letterarie.
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<div style="line-height: 150%; margin-bottom: 0cm;">
Un altro limite da tener presente è la comprensione delle fonti italiane, basata su trascrizioni non impeccabili e ogni tanto con veri e propri errori nel testo o nella traduzione. Certo, il senso di regola è presentato correttamente, ma in alcuni casi gli errori portano a fraintendimenti significativi. Per esempio, nella traduzione di una petizione della gilda dei sensali al Senato veneziano del 1587 si dice che gli ebrei “daily devour the blood” (p. 80), e l’autrice la commenta menzionando “Overtones of blood libel”. In effetti, in questa forma, sembra che ci sia un collegamento diretto con la tradizione del “blood libel”, nota in italiano come “accusa del sangue” (la leggenda, a diffusione europea, secondo cui gli ebrei uccidevano i bambini cristiani per berne ritualmente il sangue). Il testo originale italiano, presentato in nota, contiene invece, sia pure espresso in modi che richiamano la tradizione antiebraica, un più pragmatico lamento dei sensali nei confronti della concorrenza economica degli ebrei, “quali quotidianamente <i>ci</i> divorano il sangue”.
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<div style="line-height: 150%; margin-bottom: 0cm;">
Una volta detto che il testo richiede qualche cautela, va però aggiunto che già la prospettiva da cui è scritto aiuta a correggere le deformazioni della tradizione italiana. L’autrice per esempio, fin dal titolo, inquadra quello di Venezia come un “impero veneziano”, contrapposto all’“impero ottomano”. La definizione è del tutto corretta: in Oriente, nel Medioevo e per tutta l’età moderna, fino all’inizio dell’età contemporanea, i veneziani avevano un vero e proprio impero coloniale (anche se di estensione relativamente ridotta). La resistenza italiana a vedere le cose in questo modo è tale che per esempio perfino uno specialista come Francesco Bruni ha potuto caratterizzare l’espansione dell’italiano all’estero come quella di “una lingua senza impero”. In realtà, l’impero c’era, e per buona parte dell’età moderna la sua esistenza influenzò certamente la diffusione della lingua in Oriente – in positivo e in negativo.
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<div style="line-height: 150%; margin-bottom: 0cm;">
Soprattutto, poi, il libro ha un fondamento solido: la ricerca in diversi archivi veneziani per testimoniare i processi descritti.
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<div style="line-height: 150%; margin-bottom: 0cm;">
Dalla mia prospettiva, linguistica, le informazioni più importanti sono forse quelle riferite ai dragomanni, cioè gli interpreti, e in particolare a quelli che ricoprivano la carica di “dragomanno pubblico”, istituita sul modello di quanto avveniva alla corte ottomana. In pratica, questi dragomanni furono figure “trans-imperiali”, che si muovevano con un certo agio tra i territori veneziani e quelli ottomani. L’autrice descrive in dettaglio la situazione dei nove dragomanni pubblici nominati a Venezia tra il 1534 e il 1701 (tabella riportata a p. 183, da confrontare con quella fornita da Cristina Muru a p. 153 nel suo <i>La variazione linguistica nelle pratiche scrittorie dei Dragomanni</i>, pubbilcato nel 2016):</div>
<div style="line-height: 150%; margin-bottom: 0cm;"><ul style="text-align: left;"><li>
Girolamo Civran </li><li>Michiel Membré </li><li>Andrea Negroni </li><li>Giacomo de Nores </li><li>Francesco Scaramelli </li><li>Pietro Fortis </li><li>Giacomo Fortis</li></ul></div>
<div style="line-height: 150%; margin-bottom: 0cm;">
Tutti, a parte Scaramelli, erano nati all’estero (tre a Cipro quando era ancora veneziana, tre a Istanbul) e non erano cittadini veneziani al momento di entrare in servizio. In aggiunta alla conoscenza delle lingue (tra cui la più importante era di gran lunga il turco) avevano però solide reti di relazioni sia a Venezia sia nell’Impero ottomano, e in questo senso possono essere descritti come personaggi “trans-imperiali”.</div><div style="line-height: 150%; margin-bottom: 0cm;"><br /></div><div style="line-height: 150%; margin-bottom: 0cm;">Dal punto di vista linguistico è poi per me interessante vedere quanto poco numerose fossero, perfino a Venezia, le persone capaci di parlare lingue orientali. Giacomo de Nores, nel 1594, nella sua petizione per ottenere l’incarico di dragomanno dichiarava che gli era “facilissimo il leggere, il scrivere, il compore et tradure” in turco, ma aggiungeva di avere “altrotanta cognitione della lingua Araba, et della Persiana da me solo forsi non da altri in questa Città intesa” (p. 261). L’osservazione, verosimilmente, non sarà stata disinteressata o del tutto oggettiva, ma mi sembra comunque significativa.</div>
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<div style="line-height: 150%; margin-bottom: 0cm;">
L’attività dei dragomanni si collega poi ai tempi di Michiel Membré a quella dei sensali, perché, in aggiunta ai servigi per lo stato, a loro viene assegnato il ruolo di assistere i mercanti stranieri nelle trattative. Veniva infatti dato per scontato che questi ultimi, non conoscendo la lingua e le usanze del posto, venissero facilmente raggirati da sensali e mercanti locali. Ma vale la pena riportare qui per intero la sintesi fornita da E. Natalie Rothman (pp. 169-170):
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<div style="line-height: 150%; margin-bottom: 0cm;"><span style="font-size: x-small;">
Alongside the institutionalization of the office of dragoman attached to the Venetian bailo’s house in Istanbul and the office of chancellery interpreter in the maritime colonies, by the early sixteenth century we see the emergence of the office of Public Dragoman in Venice proper, a position unparalleled in other Italian states. This institution combined the diplomatic functions of the Ottoman Grand Dragoman with the mercantile duties of the bailo’s dragomans (who, in addition to their involvement in diplomatic negotiations were charged with assisting Venetian merchants in Istanbul in their dealings with local merchants and Ottoman magistracies). Unlike the interpreters employed in the Venetian colonial administration, Public Dragomans mediated not between the rulers and the ruled but between government officials and Ottoman and Safavid sojourners, both diplomatic envoys and merchants. Thus, whereas in the Ottoman context dragomans dealt with both subject populations and foreign dignitaries of all provenances, in Venice they dealt primarily with foreigners. Moreover, their position was unique in Venice as well because the only specialized full-time interpreters on record in the Venetian chancellery during this period were for Turkish and Greek. [in nota, rinvio a uno studio di Neff] The very association of the presumed foreignness of Ottoman sojourners with special linguistic needs thus became institutionalized in Venice in ways that the foreignness of the subjects of other neighboring states was not. [in nota: With Latin and Italian the dominant languages of European diplomacy well into the seventeenth century, the Venetian government had only limited use for translation and interpretation to and from most other vernacular languages. Sanuto’s rare references to a chancellery secretary providing translations for German documents sent by the emperor or offering simultaneous interpretation to Russian or Hungarian emissaries confirm the sense that, by and large, Venetian use of interpreters for languages other than Turkish was unusual. On the dominance of Latin and Italian in the linguistic training of Renaissance diplomats, see Roland (1999, 44).]
</span></div><span style="font-size: x-small;">
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</span><div style="line-height: 150%; margin-bottom: 0cm;"><span style="font-size: x-small;">
The duties of the Public Dragoman in Venice were multiple: to translate official letters sent to the doge by the sultan, as well as internal Ottoman correspondence intercepted by the Venetians; to accompany Ottoman dignitaries on official audiences and produce authoritative reports on such occasions; to travel to the Venetian-Ottoman borderlands to negotiate in border disputes; and most, frequently, to assist Ottoman and Safavid merchants in Venice in their interactions with often less-than-scrupulous merchants and commercial brokers. The Public Dragoman’s Position can thus be summarized as two-pronged; he was a civil servant, expected to keep tabs on Ottoman and Safavid foreigners and report on their whereabouts to his patrician employers, the Senate and the Board of Trade; at the same time, he was charged with safeguarding Ottoman merchants’ interests under the assumption that they were vulnerable and in need of special protection due to their lack of connections in the city.
</span></div>
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<div style="line-height: 150%; margin-bottom: 0cm;">
L’attività dei dragomanni veniva compensata attraverso la tassa del terzo sui compensi dei sensali, e ciò generava anche reazioni: particolarmente istruttiva è quella dei mercanti armeni, che nel 1650 chiesero di essere esentati dal coinvolgimento del dragomanno nei loro affari perché dichiaravano di essere tutti in grado di parlar bene l’italiano (il caso è descritto nella quarta sezione, alle pp. 196-197). Viceversa, nel caso di molte altre nazioni – tra cui a volte, sorprendentemente, i greci – le necessità di supporto linguistico erano dichiarate in modo esplicito. Tutte informazioni che è importante tener presente guardando alla situazione dell’italiano nel Mediterraneo.
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<div style="line-height: 150%; margin-bottom: 0cm;">
<i>E. Nathalie Rothman, </i>Brokering Empire. Trans-Imperial Subjects between Venice and Istanbul<i>, Ithaca, Cornell University Press, pp. 538, ISBN 978-0-8014-7996-0. Letto nella copia della Biblioteca Centrale dell’Università di Bologna – Campus di Forlì e Cesena, ricevuta per prestito interbibliotecario.</i>
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<div style="line-height: 150%; margin-bottom: 0cm;">
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Mirko Tavosanishttp://www.blogger.com/profile/06280624719643573178noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-6831591825771731142.post-53577220588929713132021-09-30T10:03:00.004+02:002021-09-30T10:11:20.071+02:00Tavosanis, L’ideologia linguistica e le pratiche di Wikipedia in lingua italiana<div dir="ltr" style="text-align: left;" trbidi="on">
<div style="line-height: 150%; margin-bottom: 0cm;"><br /></div>
<div style="line-height: 150%; margin-bottom: 0cm;"> </div><div style="line-height: 150%; margin-bottom: 0cm;"><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjS2D33JjODd3GcoiQIyCTni675kKcpx6QCAIdj4m38xgo8zP_zTH9WAeayK23gcP94BfzqW3_U-f_PR2kEwY2kKVasjwcV2dXy13O5QmEr00WPd7DZhVO4lT7r1lOpGtDT9Gi7D1ffSak7/s2048/Ideologia+linguistica.jpg" imageanchor="1" style="clear: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><img alt="Copertina di Le ideologie linguistiche" border="0" data-original-height="2048" data-original-width="1443" height="320" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjS2D33JjODd3GcoiQIyCTni675kKcpx6QCAIdj4m38xgo8zP_zTH9WAeayK23gcP94BfzqW3_U-f_PR2kEwY2kKVasjwcV2dXy13O5QmEr00WPd7DZhVO4lT7r1lOpGtDT9Gi7D1ffSak7/w225-h320/Ideologia+linguistica.jpg" title="Copertina di Le ideologie linguistiche" width="225" /></a></div>Un nuovo contributo sul rapporto tra Wikipedia e la lingua italiana? Ebbene, sì… prosegue la serie di lavori che sto dedicando, da diverse angolazioni, a questo argomento. Negli ultimi anni ne sono usciti diversi, e un altro ancora è in corso di stampa.
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<div style="line-height: 150%; margin-bottom: 0cm;">
Questo ultimo arrivato si intitola comunque <i><a href="https://www.academia.edu/54181652/L_ideologia_linguistica_e_le_pratiche_di_Wikipedia_in_lingua_italiana">L’ideologia linguistca e le pratiche di Wikipedia in lingua italiana</a></i> e dal punto di vista editoriale si colloca all’interno di un interessantissimo e corposo volume trilingue: <i><a href="https://www.peterlang.com/document/1137131">Le ideologie linguistiche: lingue e dialetti nei media vecchi e nuovi / Les idéologies linguistiques : langues et dialectes dans les médias traditionnels et nouveaux / Ideologías lingüísticas: lenguas y dialectos en los medios de comunicacion antiguos y nuevos</a></i>. Il volume, curato da Ana Pano Alamán, Fabio Ruggiano e Olivia Walsh, contiene una selezione di contributi presentati durante il convegno ILPE 4 a Messina: evento di cui ho <a href="https://linguaggiodelweb.blogspot.com/2019/10/convegno-ilpe-messina.html">uno splendido ricordo</a>, fin dal viaggio di arrivo!
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<div style="line-height: 150%; margin-bottom: 0cm;">
Come dice il titolo, il mio contributo è dedicato a presentare l’ideologia linguistica, implicita ed esplicita, di Wikipedia in lingua italiana, e le pratiche connesse. È un caso specifico di ideologia linguistica che mi sembra molto interessante, per varie ragioni. La più importante tra queste è, direi, il fatto che su Wikipedia una comunità composta sostanzialmente da non specialisti deve gestire questioni linguistiche complesse, spesso attraverso discussioni pubbliche. Ne risulta una serie di posizioni in gran parte di buon senso, anche se non sempre documentate o portate al livello ottimale di approfondimento.
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<div style="line-height: 150%; margin-bottom: 0cm;">
Questa ideologia si manifesta innanzitutto nelle norme esplicite, codificate nel <i><a href="https://it.wikipedia.org/wiki/Aiuto:Manuale_di_stile">Manuale di stile</a></i> di Wikipedia e in una moltitudine (o pulviscolo) di pagine di presentazione e di aiuto. Non sempre però le norme esplicite sono rispettate – secondo uno schema che su Wikipedia si ripresenta anche in molti altri ambiti. Esiste infatti un buon numero di norme implicite, che sembrano assimilate dai collaboratori più assidui soprattutto attraverso una lunga procedura di apprendistato.
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<div style="line-height: 150%; margin-bottom: 0cm;">
In quanto alla sostanza, le soluzioni adottate nel loro assieme non presentano sorprese: sono legate al normale uso dell’italiano in ambito editoriale e scolastico. Presentano però alcune caratteristiche peculiari e una logica propria, che mi sembra interessante vedere in dettaglio. La gestione che ne risulta è molto sofisticata, ma al tempo stesso è condizionata dalla resistenza a fare riferimento esplicito a criteri già sviluppati all’esterno della comunità.
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<div style="line-height: 150%; margin-bottom: 0cm;">
<i>Mirko Tavosanis, </i>L’ideologia linguistica e le pratiche di Wikipedia in lingua italiana<i>, in </i>Le ideologie linguistiche: lingue e dialetti nei media vecchi e nuovi / Les idéologies linguistiques : langues et dialectes dans les médias traditionnels et nouveaux / Ideologías lingüísticas: lenguas y dialectos en los medios de comunicacion antiguos y nuevos<i>, a cura di Ana Pano Alamán, Fabio Ruggiano e Olivia Walsh, Berlino, Peter Lang, 2021, pp. 505, ISBN 978-3-631-83717-7, pp. 413-434. Copia ricevuta come autore.</i>
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Mirko Tavosanishttp://www.blogger.com/profile/06280624719643573178noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-6831591825771731142.post-43136965168660848692021-08-24T11:47:00.000+02:002021-08-24T11:47:02.260+02:00Fatland, Sovietistan<div dir="ltr" style="text-align: left;" trbidi="on">
<div style="line-height: 150%; margin-bottom: 0cm;"><br /></div>
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</div>
<div style="line-height: 150%; margin-bottom: 0cm;">
<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhm4a4U5ka1Ymcfw7ZSsX34760gjudZdyp1H9MfRZvhR8zhgXqB9YZz1Jo6wM_URbS04UibssqNlvUbRhYDf5iMhifMqdaJGx7uUs7yRFwSHtjygd-zt47NY2nh0IQs0ZFfd8rg62Ap0Cnn/s567/sovietistan.jpg" imageanchor="1" style="clear: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><img alt="Copertina di Sovietistan di Erika Fatland" border="0" data-original-height="567" data-original-width="369" height="320" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhm4a4U5ka1Ymcfw7ZSsX34760gjudZdyp1H9MfRZvhR8zhgXqB9YZz1Jo6wM_URbS04UibssqNlvUbRhYDf5iMhifMqdaJGx7uUs7yRFwSHtjygd-zt47NY2nh0IQs0ZFfd8rg62Ap0Cnn/w208-h320/sovietistan.jpg" title="Copertina di Sovietistan di Erika Fatland" width="208" /></a></div>Dicevo di testo e immagini… un genere in cui la scelta mi sembra abbastanza libera è quello delle relazioni di viaggio.
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Un esempio interessante è un libro che ho ricevuto come graditissimo regalo: <i><a href="https://www.marsilioeditori.it/lista-autori/scheda-libro/2970282/sovietistan">Sovietistan</a></i>, della norvegese Erika Fatland. Pubblicato in edizione originale nel 2014, il libro è il resoconto, come dice il sottotitolo di “Un viaggio in Asia Centrale”, tra le repubbliche ex sovietiche dell’area. Area in cui ho avuto anch’io occasione di andare, anche se meno sistematicamente, e che non sono riuscito a raccontare qui... posso comunque confrontare le mie esperienze con quelle descritte nell’ultima sezione del libro, che riguarda l’<a href="https://linguaggiodelweb.blogspot.com/2018/04/le-lingue-delluzbekistan.html">Uzbekistan</a> (Nukus, Khiva, Bukhara, Samarcanda e Tashkent: pp. 425-518), mentre l’unico posto che ho visitato in Kazakistan, Shymkent, è sì menzionato anche qui, ma senza dettagli (alle pp. 178-180).
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Il libro è bello, e si legge di corsa. Strutturalmente, ha le caratteristiche di una raccolta di articoli di giornale (anche se non mi pare che i contributi siano stati inizialmente pubblicati in quella forma). I capitoli iniziano quindi spesso con un attacco <i>in medias res</i> senza informazioni di contesto, per disorientare il lettore e attirare la sua curiosità immediata. La tecnica funziona, a parere di molti, negli articoli di giornale o simili; io ne sono un po’ meno convinto per quanto riguarda appunto i capitoli di un libro: nel caso di classici come <i><a href="https://linguaggiodelweb.blogspot.com/2011/09/malaparte-kaputt-e-lalfabetizzazione.html">Kaputt</a></i> di Malaparte, per esempio, le soluzioni non sono altrettanto estreme.
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I temi sono di conseguenza variatissimi, dalla storia dell’allestimento del Museo Savickij di Nukus (pp. 451-461) fino alle pratiche di falconeria turistica in Kirghizistan (pp. 375-385). Le visite usbeche riguardano una successione di mete turistiche ovvie (e l’Uzbekistan che ho conosciuto io è molto diverso: decisamente più vitale e spontaneo di quello descritto qui), mentre la sezione sul Turkmenistan descrive un luogo che ben pochi visitatori hanno visto. Soprattutto, c’è molta attenzione alla vita delle donne, con tutte le difficoltà che si possono incontrare in ambienti come quelli descritti!
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In un racconto del genere, che ruolo possono avere le immagini? In questo libro non ce ne sono. O meglio, ci sono diverse cartine (una dell’area e una per ognuna delle cinque repubbliche attraversate), ma il livello di dettaglio è minimo. Anzi, in alcuni casi i caratteri dei pochi nomi presenti sulle cartine sono così piccoli da essere indecifrabili – specie quelli presentati in corsivo – e la disposizione a doppia pagina rende illeggibile ciò che si trova proprio sulla cucitura. Ma se ci fossero per esempio fotografie di buona qualità, il racconto ne uscirebbe migliorato o peggiorato?
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Innanzitutto, non sembra opportuno, anche per ragioni di sicurezza, pubblicare per esempio la foto di Bekdury, una guida che esprime opinioni non del tutto positive sul regime del Turkmenistan (pp. 81-82); o quelle delle donne kirghise rapite e costrette a sposarsi che raccontano la propria storia in uno dei capitoli più drammatici e dolorosi (pp. 361-373). E in generale, in molti casi scattare foto distrugge la naturalezza di un dialogo. Il libro è bello e funziona in quanto tale. Non ha bisogno di immagini per raccontare la propria storia.
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Credo però comunque che vedere qualche faccia e qualche luogo farebbe bene. Le parole sono potenti, ma anche le immagini lo sono. Nei racconti di viaggio che ho fatto, anche su questo blog, io ho sempre cercato di integrare i due canali usando le immagini soprattutto per dare la percezione generale di un ambiente. Una specie di ancora per l’immaginazione, insomma. Non è l’unica soluzione possibile, ma è quella che mi sembra più naturale.
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<i>Erika Fatland, </i>Sovietistan. Un viaggio in Asia Centrale.<i>, Marsilio, Venezia e Milano, Feltrinelli, 2019, pp. 538, ISBN 978-88-297-0282-4 (traduzione di Eva Kampmann di </i>Sovjetistan. En reise gjennom Turkmenistan, Kasakhstan, Tadsjikistan, Kirgisistan og Usbekistan<i>, 2014). Ricevuto in regalo.</i>
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Mirko Tavosanishttp://www.blogger.com/profile/06280624719643573178noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-6831591825771731142.post-13922154968600455772021-08-10T12:01:00.000+02:002021-08-10T12:01:02.129+02:00Sobel e Andrewes, The Illustrated Longitude<div dir="ltr" style="text-align: left;" trbidi="on">
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<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgf10anpZ9BZPBE1fOs7eNqxey7Vzg43oje8dpNqUT3Mnnbdb3Z5W86XS2Z8druzAPYWu4_vGRXsF6zDGKkT8ZEot66Xkiaz2SbVyxDE-u4-D6-Y9IJrzkyd_VNkSU16HyGw3sh9gQsfzE4/s293/Illustrated+Longitude.jpg" imageanchor="1" style="clear: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><img alt="Copertina di The Illustrated Longitude di Dava Sobel e William J. H. Andrewes" border="0" data-original-height="293" data-original-width="260" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgf10anpZ9BZPBE1fOs7eNqxey7Vzg43oje8dpNqUT3Mnnbdb3Z5W86XS2Z8druzAPYWu4_vGRXsF6zDGKkT8ZEot66Xkiaz2SbVyxDE-u4-D6-Y9IJrzkyd_VNkSU16HyGw3sh9gQsfzE4/s16000/Illustrated+Longitude.jpg" title="Copertina di The Illustrated Longitude di Dava Sobel e William J. H. Andrewes" /></a></div>Tornando al rapporto tra testo e immagine… nei mesi scorsi ho letto anche <i>The Illustrated Longitude</i> di Dava Sobel e William J. H. Andrews. Il titolo e il doppio nome degli autori richiedono una spiegazione. <i>The Illustrated Longitude</i> è infatti la versione illustrata del libro <i>Longitude</i> (senza illustrazioni) di Dana Sobel, che ottenne una discreta popolarità al momento della sua uscita, nel 1995. La versione illustrata è stata pubblicata nel 1998, con la collaborazione di William J. H. Andrews e l’aggiunta di 180 immagini (questo è il numero dichiarato; non le ho contate, anche perché alcune sono presentate in varianti o duplicate, ma mi fido).
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La pubblicazione di una versione illustrata ha senso. Non sono rari i casi in cui un testo praticamente <i>chiede</i> di avere immagini; eppure, le convenzioni editoriali e i problemi di costo e/o gestione dei diritti connessi fanno sì che molti testi abbiano meno immagini di quelle che molti lettori riterrebbero necessarie. E a monte, gli autori spesso non hanno cultura delle immagini, non sanno come fare a cercarle o sceglierle o riprodurle – e soprattutto, come usarle… Su problemi simili ragiono spesso a proposito di voci di Wikipedia. Nei prossimi giorni parlerò poi forse di un altro libro che non ha immagini ma che ne avrebbe vistosamente bisogno. Intanto, notiamo che, mentre si realizzano spesso edizioni di lusso con illustrazioni, casi come quello di <i>Longitude</i>, in cui le immagini sarebbero state necessarie fin dall’inizio, sono relativamente rari. Il testo di partenza, se ben capisco, includeva addirittura il confronto dettagliato di due ritratti di John Harrison… senza riprodurli. Un bell’atto di fede nel potere descrittivo delle parole – ma perché arrivare a questi punti?
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Comunque, in entrambe le versioni <i>Longitude</i> racconta una storia interessantissima: quella dei tentativi di trovare un modo affidabile per determinare la longitudine. In un’era di GPS nei telefoni è difficile immaginarselo, ma fino alla fine del Settecento non esisteva un metodo affidabile per determinare la longitudine di una nave (o di un qualunque punto sul pianeta). Determinare la latitudine era relativamente semplice… bastava e basta misurare con precisione l’altezza del Sole nel punto più alto del suo percorso, a mezzogiorno… ma per la longitudine non esisteva nulla di equivalente.
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Con questo rompicapo si misurarono alcuni dei principali matematici e astronomi dell’età moderna, da Galileo a Flamsteed. Tuttavia, una vera soluzione pratica arrivò solo nel Settecento, e da una via inaspettata: non attraverso calcoli matematici sui movimenti celesti (che comunque furono perfezionati in contemporanea), ma con la realizzazione di orologi tanto precisi e affidabili da permettere di capire con sicurezza quanto la nave si era allontanata dal meridiano di riferimento. A sviluppare simili meccanismi fu l’inglese John Harrison a metà Settecento, con un’impresa che richiese lunghi anni di lavoro – e anni ancora più lunghi per far riconoscere la bontà del sistema e ottenere la ricompensa messa in palio dal governo britannico per chi avesse risolto il problema della longitudine.</div>
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Ora, nel raccontare questa storia affascinante, Dana Sobel si concentra soprattutto sulle vicende umane… anche con diverse libertà rispetto a ricostruzioni storiche rigorose (per esempio, nel raccontare alle pp. 15-17 il disastro navale delle isole Scilly del 1707 vengono riportate come verità storie di dubbia origine). In fin dei conti, si tratta di un testo divulgativo, non di una sintesi scientifica! E qui le parole sono sufficienti.
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<table cellpadding="0" cellspacing="0" class="tr-caption-container" style="float: left;"><tbody><tr><td style="text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgZwSp4flwhZxoaZmz-ISAyWa0-iArPi7xwrSPegq4B6Ck6Ud6eE9ZPm-t2V26HsPjz9siSl1rJoWNDHY5e3uj32VPRHGP9YJT6fN-D473ygipNF3er9R9masMkfTeXPylISNwr_0ooligc/s2048/H-4.jpeg" imageanchor="1" style="clear: left; margin-bottom: 1em; margin-left: auto; margin-right: auto;"><img alt="L’orologio H-4 di Harrison, a p. 131" border="0" data-original-height="2048" data-original-width="1685" height="320" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgZwSp4flwhZxoaZmz-ISAyWa0-iArPi7xwrSPegq4B6Ck6Ud6eE9ZPm-t2V26HsPjz9siSl1rJoWNDHY5e3uj32VPRHGP9YJT6fN-D473ygipNF3er9R9masMkfTeXPylISNwr_0ooligc/w263-h320/H-4.jpeg" title="L’orologio H-4 di Harrison, a p. 131" width="263" /></a></td></tr><tr><td class="tr-caption" style="text-align: center;"><br />L’orologio H-4 di Harrison, a p. 131.</td></tr></tbody></table><br />Anche la parte sui più antichi tentativi astronomici di risolvere il problema mi sembra funzionale. La spiegazione dei ragionamenti di Galileo e di Roemer, per esempio, mi sembra ben comprensibile per molti lettori senza bisogno di immagini (anche se indubbiamente le immagini aiutano).
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Il racconto invece diventa meno chiaro quando si inizia a parlare di meccanica, e in particolare degli orologi di Harrison. Qui le indicazioni sono spesso tanto generiche da generare un po’ di frustrazione. Per esempio, a p. 86 si citano due importanti innovazioni di Harrison, il pendolo a griglia e lo scappamento a cavalletta. Solo per la prima, però, viene data una spiegazione minimamente approfondita. Per la seconda viene fornito un testo che spiega l’origine del nome ma che non chiarisce assolutamente niente del modo in cui funzionava il meccanismo:
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<div style="line-height: 150%; margin-bottom: 0cm;"><span style="font-size: x-small;">
The grasshopper escapement – the part that counted the heartbeats of the clock’s pacemaker – took its name from the motion of its crisscrossed components. These kicked like the hind legs of a leaping insect, quietly and without the friction that bedeviled existing escapement design (p. 88).
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<div style="line-height: 150%; margin-bottom: 0cm;">
Oppure, il funzionamento del quadrante di Hadley viene descritto in questo modo:
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<div style="line-height: 150%; margin-bottom: 0cm;"><span style="font-size: x-small;">
thanks to a trick done with paired mirrors, the new reflecting quadrant allowed direct measurement of the elevation of two celestial bodies, as well as the distances between them. Even if the ship pitched and rolled, the objects in the navigator’s sights retained their relative positions vis-à-vis one another (p. 109).
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<div style="line-height: 150%; margin-bottom: 0cm;">
Tutto bene, ma in che cosa consisteva il <i>trick</i>? Non viene fornita nessuna informazione. Certo, gli autori di un libro possono scegliere il livello di approfondimento che desiderano – ma in questo caso si ha la sensazione che manchi proprio qualcosa di centrale.
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E qui entrano in gioco le immagini. Io farei rientrare quelle dell’edizione illustrata in tre tipologie diverse:</div>
<div style="line-height: 150%; margin-bottom: 0cm; text-align: left;"><ol style="text-align: left;"><li>Immagini quasi solo ornamentali (come la statua di Atlante al Rockefeller Center a New York a p. viii) </li><li>Immagini, e sono la maggioranza, che <i>corredano</i> il testo mostrando visivamente protagonisti, luoghi, eventi e oggetti descritti a parole (come il capolavoro di Harrison, l’orologio H-4 del 1759, presentato a dimensioni naturali a p. 131); va aggiunto che le didascalie, realizzate da Andrewes, includono spesso spiegazioni aggiuntive articolate e complesse </li><li>Immagini (inclusi grafici e simili) che, anche in questo caso con l’assistenza delle didascalie, <i>aggiungono al testo informazioni e spiegazioni del tutto assenti nell’originale</i> (come il diagramma presentato a p. 88, che mostra appunto l’aspetto e il funzionamento dello scappamento a cavalletta - anche se nemmeno questa illustrazione riesce a far capire fino in fondo il modo in cui funziona il meccanismo).</li></ol></div>
<div style="line-height: 150%; margin-bottom: 0cm;">
La selezione delle immagini è comunque, nel suo complesso, impressionante per estensione e qualità. Di sicuro, il testo che ne viene fuori è molto più completo e più soddisfacente della presentazione fatta solo a parole.
</div><div style="line-height: 150%; margin-bottom: 0cm;"><br /></div><table align="center" cellpadding="0" cellspacing="0" class="tr-caption-container" style="margin-left: auto; margin-right: auto;"><tbody><tr><td style="text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEh4o30kHSTe-aLdiFrTNdqztiK_QnzO_2QFgakCh7Aq4WBWICUhMAhQ5L9NzShbBqF14ocbzjarhNX_QMdAsyVOhyfURDHA6kVHaCYIqakN0L8Pdyl5nzdDg5TjTabWxQhRmZdmCQ401-Vt/s2048/Cavalletta.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: auto; margin-right: auto;"><img alt="Il diagramma di p. 88 che illustra il funzionamento dello scappamento a cavalletta" border="0" data-original-height="1043" data-original-width="2048" height="163" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEh4o30kHSTe-aLdiFrTNdqztiK_QnzO_2QFgakCh7Aq4WBWICUhMAhQ5L9NzShbBqF14ocbzjarhNX_QMdAsyVOhyfURDHA6kVHaCYIqakN0L8Pdyl5nzdDg5TjTabWxQhRmZdmCQ401-Vt/w320-h163/Cavalletta.jpg" title="Il diagramma di p. 88 che illustra il funzionamento dello scappamento a cavalletta" width="320" /></a></td></tr><tr><td class="tr-caption" style="text-align: center;"><br />Il diagramma di p. 88 che illustra il funzionamento dello scappamento a cavalletta.</td></tr></tbody></table><div style="line-height: 150%; margin-bottom: 0cm;"> </div>
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Tuttavia, a parte alcune immagini schematiche realizzate appositamente, l’apparato iconografico privilegia di gran lunga l’effetto estetico rispetto alla chiarezza. Per esempio, ci sono fotografie che presentano oggetti complessi, ma senza evidenziazioni, indicazioni, frecce che indichino i componenti e così via. Quindi, per esempio, a p. 104 una foto dell’orologio H-2 di Harrison viene accompagnata da una didascalia che dice: “This side view of H-2 shows the remontoire, a device that Harrison designed to provide a more constant source of power to the escapment”. Sì, ma non solo il lettore non viene informato del modo in cui funziona esattamente il <i>remontoire</i>, ma non ha nemmeno modo di capire quale parte del complesso meccanismo in foto è il <i>remontoire</i>. Qualcuno lo può capire da questa foto?
</div><div style="line-height: 150%; margin-bottom: 0cm;"><br /></div><table align="center" cellpadding="0" cellspacing="0" class="tr-caption-container" style="margin-left: auto; margin-right: auto;"><tbody><tr><td style="text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjcmaAEQtlAVwRcNFfR7Os8bgE0ZL7Fth6Zf4YKZLBUT4ZoT5nPyzIvVAdLEFU_H-WpMmPYUOE-SN1jULuNRfCSErdP5J7pqsHdAIWr2ODu_EDFeSZZ2Kx55cHrbgtwEaJB9WqUb9_Rjnsa/s1599/Remontoire.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: auto; margin-right: auto;"><img alt="L'orologio H-2 presentato a p. 104" border="0" data-original-height="1599" data-original-width="843" height="320" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjcmaAEQtlAVwRcNFfR7Os8bgE0ZL7Fth6Zf4YKZLBUT4ZoT5nPyzIvVAdLEFU_H-WpMmPYUOE-SN1jULuNRfCSErdP5J7pqsHdAIWr2ODu_EDFeSZZ2Kx55cHrbgtwEaJB9WqUb9_Rjnsa/w169-h320/Remontoire.jpg" title="L'orologio H-2 presentato a p. 104" width="169" /></a></td></tr><tr><td class="tr-caption" style="text-align: center;"><br />L<span style="text-align: left;">’</span>orologio H-2 presentato a p. 104.</td></tr></tbody></table><div style="line-height: 150%; margin-bottom: 0cm;"><br /></div>
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Oppure: alla p. 139 si presenta un diagramma d’epoca che descrive il transito di Venere davanti al Sole, ma la didascalia che lo spiega è presentata, per ragioni estetiche, a p. 138, cosa che rende difficile seguire con l’occhio il collegamento tra un elemento del diagramma e la spiegazione – e, soprattutto, le dimensioni della riproduzione sono tali da rendere troppo piccole (almeno per me) le lettere che indicano i punti di riferimento in una parte dello schema.
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Insomma, sia il testo sia le immagini si fermano all’inizio di un lungo percorso di spiegazione. In parte la cosa è inevitabile (le questioni trattate sono spesso complesse). Tuttavia, in molti punti sarebbe stato non solo possibile, ma facile, fare diversamente. Un libro divulgativo illustrato può essere più approfondito di così, senza alienare il pubblico cui si rivolge? Io darei una risposta positiva e avrei spinto il punto di equilibrio diversi passi più in là.
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<i> <span itemprop="name">Dava Sobel</span> e <span itemprop="name">William J. H. Andrewes</span>, </i>The Illustrated Longitude. The True Story of a Lone Genius Who Solved the Greatest Scientific Problem of His Time<i>, <span itemprop="place">New York</span>, Walker and Company, 1998, ISBN 0-8027-1344-0, pp. 216. Comprato usato (copia già delle Josephine Community Libraries di <span itemprop="place">Grants Pass, Oregon</span>.</i>
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Mirko Tavosanishttp://www.blogger.com/profile/06280624719643573178noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-6831591825771731142.post-82911569973210815742021-08-05T11:52:00.001+02:002021-08-05T11:52:17.136+02:00Ágoston, Guns for the Sultan<div dir="ltr" style="text-align: left;" trbidi="on">
<div style="line-height: 150%; margin-bottom: 0cm;"><br /></div>
<div style="line-height: 150%; margin-bottom: 0cm;"><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgUdZrQYuVY5VdKqetzKgzrgzDi4g2kC7f-50UzYAG63R9-xO4PTuUefBtaDHR-PSf_eWhCgXDJmtCLUb7PzxyDW1nh8ZI2MAiUBDoj_E7DGQ4FrUojZSplTQkJwZfJEqcBTRI5mYWj2XqU/s686/Agoston.PNG" style="clear: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="686" data-original-width="454" height="320" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgUdZrQYuVY5VdKqetzKgzrgzDi4g2kC7f-50UzYAG63R9-xO4PTuUefBtaDHR-PSf_eWhCgXDJmtCLUb7PzxyDW1nh8ZI2MAiUBDoj_E7DGQ4FrUojZSplTQkJwZfJEqcBTRI5mYWj2XqU/s320/Agoston.PNG" width="212" /></a></div><div style="line-height: 150%; margin-bottom: 0cm;">Dopo il libro di <span itemprop="name">Andrade</span> <a href="https://linguaggiodelweb.blogspot.com/2021/07/andrade-gunpowder-age.html">di cui ho parlato la settimana scorsa</a> ho letto anche <i>Guns for the Sultan</i> di <span itemprop="name">Gábor Ágoston</span>. Sottotitolo: <i>Military Power and the Weapons Industry in the Ottoman Empire</i>. Lettura interessante e con un risvolto linguistico preciso.
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<div style="line-height: 150%; margin-bottom: 0cm;">
Anche questo libro (uscito nel 2005) si colloca nel filone di studi storici che collocano molto tardi la “<a href="https://linguaggiodelweb.blogspot.com/2011/07/pomeranz-great-divergence.html">grande divergenza</a>” tra Europa e resto del mondo. Lo fa però da un’angolazione particolare, in quanto è ben noto che, sul piano militare, l’Impero Ottomano è stato sempre in grado di confrontarsi con le potenze europee. Per tre secoli, in sostanza, vincendo: dalla conquista dei Dardanelli fino alla sconfitta alle porte di Vienna, nel 1683. E poi, per due secoli e mezzo, perdendo… ma non senza numerosi momenti di successo, fino alle disastrose sconfitte inflitte all’Impero Britannico nel corso della Prima guerra mondiale.
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<div style="line-height: 150%; margin-bottom: 0cm;">
In ogni caso, per il periodo che oggi mi interessa di più, cioè il Seicento, sul piano militare gli ottomani si mostrarono di regola superiori agli europei. Un po’ per la loro capacità organizzativa e logistica, e un po’ anche per l’uso esperto delle armi da fuoco. Ciononostante, la storiografia è stata costellata di <br />tentativi di ridimensionare queste capacità, assegnando agli ottomani un ruolo minore, arretrato, non innovativo.
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A queste posizioni Ágoston oppone lo studio delle fonti ottomane, da cui escono i dati numerici per 31 tabelle inserite nel testo e 69 collocate in appendice. Gli argomenti coperti sono molto vari: stime sulle produzioni annuali di salnitro e polvere da sparo, sul numero dei giannizzeri in servizio, sulla produzione di singole fonderie di cannoni… Una ricostruzione quantitativa così dettagliata smentisce, secondo l’autore, diverse leggende: che l’Impero Ottomano non fosse in grado per esempio di produrre al proprio interno armi in quantità sufficiente ai propri bisogni; che le armi ottomane fossero di scarsa qualità; che i processi lavorativi fossero meno efficienti di quelli europei; e così via. In particolare, fino al Seicento il complesso militar-industriale ottomano se la giocava alla pari con quello veneziano – a sua volta, probabilmente il più efficiente d’Europa.
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Mi interessano molto anche le osservazioni di Ágoston sugli errori di prospettiva generati dall’uso come unica fonte delle relazioni di viaggio d’epoca. Nelle parole dell’autore, “assumptions regarding Ottoman weapons technology have been based on random and often atypical evidence without respect for chronology”, cosa avvenuta “Following contemporary narrative sources’ obsession with giant Ottoman cannons” (p. 61). In altre parole, i viaggiatori europei rimanevano colpiti dai pezzi di artiglieria di maggiori dimensioni. Dai loro racconti passò agli storici l’idea, ripresa anche da Carlo Maria Cipolla, che gli ottomani in fatto di artiglieria fossero afflitti da gigantismo, e che impiegassero le loro risorse in armi enormi ma poco pratiche, a differenza di quel che accadeva in Europa. Esaminando la produzione degli arsenali, Ágoston mostra che non era così e che la distribuzione di armi di vario calibro non era probabilmente molto diversa da quella europea (capitolo 6).
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Tuttavia, è anche certo che il trasferimento di informazioni tecniche andava in una direzione sola: non ci sono innovazioni tecnologiche ottomane che siano arrivate in Europa, perché non c’erano alla base. E lo testimonia, appunto, anche il fattore linguistico: “many of the gun names in the Empire derived from European types of guns, an apparent sign of acculturation”, anche se “Ottoma pieces differed from guns of similar names, and these differences seem to have been more profound than dissimilarities among European guns of the same kind” (p. 64): quest’ultimo punto a testimonianza che un po’ di differenziazione c’era (l’autore insiste per esempio sulla minor standardizzazione dei calibri ottomani rispetto a quelli europei).
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<div style="line-height: 150%; margin-bottom: 0cm;">
In pratica, i nomi normalmente dati ai pezzi di artiglieria più grandi, genericamente chiamati <i>kale-kob</i> (dal persiano <i>qal’eh-kub</i>, ‘distruttori di castelli’: p. 73), erano (con numerose varianti): <i>şayka</i>, <i>balyemez</i>, <i>bacaluşka</i>, <i>canon</i> (p. 74). Tra questi, <i>şayka</i> viene dalla parola “slava” <i>chaika</i>, ‘gabbiano’ (p. 75); <i>balyemez</i> è parola di origine incerta (p. 77); e gli altri due sono “europeismi” di varia trafila (pp. 79-81; su questi si può vedere anche il famoso lavoro dei Kahane sulla “lingua franca”, che con la lingua franca non ha a che fare, ma con gli italianismi sì…).
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<div style="line-height: 150%; margin-bottom: 0cm;">
I pazzi di artiglieria di medio e piccolo calibro erano invece <i>kolunburna</i>, <i>darbzen</i>, <i>şâhî</i>. I più piccoli in assoluto erano <i>saçma</i>, <i>eynek</i>, <i>prangıs</i>, <i>misket</i> e <i>şakaloz</i>. Il celebre moschetto dei giannizzeri era invece chiamato <i>tüfenk</i>. Ágoston non fornisce informazioni su tutte queste parole, ma dal punto di vista linguistico è ovvio il rapporto di <i>kolunburna</i> con l’europeismo <i>colubrina</i>, mentre <i>şakaloz</i> deriva dall’ungherese <i>szakállas</i> (p. 87). Viceversa, è altrettanto ovvio che nessuna parola turca è entrata nell’italiano (o in altre lingue romanze).
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<div style="line-height: 150%; margin-bottom: 0cm;">
Basandosi anche su queste osservazioni, Ágoston nota che la parità tecnologica ottomana si basava in sostanza su un flusso unidirezionale:
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<div style="line-height: 150%; margin-bottom: 0cm;"><span style="font-size: x-small;">
For the most part European-Ottoman military acculturation involved European military experts who sold their expertise to the Ottomans and not vice versa. Linguistic evidence also supports this observation: Ottoman names for weapons and ships often come from Greek or from western languages, suggesting that ordnance and naval technology primarily flowed from Byzantium and Europe to the Ottomans. The Ottomans thus do not differ from their opponents in the use of foreigners. Where they do differ is that their indigenous experts do not seem to have been in much demand in the West (p. 193; Ágoston nota che gli specialisti ottomani erano comunque molto richiesti nel Medio oriente e in generale in Asia).
</span></div>
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<div style="line-height: 150%; margin-bottom: 0cm;">
La parità ottomana non era quindi basata sulla superiorità tecnica in questo specifico settore, ma sull’efficienza in altre aree. Ágoston si allontana esplicitamente sia dal determinismo tecnologico sia dall’idea che la tecnologia fosse irrilevante (p. 190): per gli ottomani, disporre di armi e munizioni di qualità mediamente simile a quella europea, anche con i ritardi dovuti ai tempi del trasferimento tecnologico, era evidentemente sufficiente. La fine della superiorità ottomana a fine Seicento viene quindi attribuita non all’adozione europea di baionette e moschetti a pietra focaia, ma al fatto che nel frattempo gli stati europei erano finalmente divenuti capaci di mettere in campo eserciti comparabili a quelli ottomani, rifornirsi di armi senza problemi, e in generale avevano rinforzato “production capacity, finance, bureucracy, scientific engineering and state patronage” (p. 201). E anche così, all’inizio del Settecento gli ottomani riuscirono rapidamente a riorganizzarsi e a ritornare a vincere… fino all’ascesa della Russia a metà secolo.
</div>
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<div style="line-height: 150%; margin-bottom: 0cm;">
<i> <span itemprop="name">Gábor Ágoston </span>, </i>Guns for the Sultan. Military Power and the Weapos Industry in the Ottoman Empire<i>, <span itemprop="place">Cambridge (UK)</span>, Cambridge University Press, 2016, ISBN 978-0-521-60391-1, pp. xvii + 277. Letto nella copia della Biblioteca di Filosofia e Storia dell’Università di <span itemprop="place">Pisa</span>.</i>
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<div style="line-height: 150%; margin-bottom: 0cm;">
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</div>Mirko Tavosanishttp://www.blogger.com/profile/06280624719643573178noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-6831591825771731142.post-31032729967200473592021-07-29T11:46:00.004+02:002021-07-30T09:34:03.651+02:00Andrade, The Gunpowder Age<div dir="ltr" style="text-align: left;" trbidi="on">
<div style="line-height: 150%; margin-bottom: 0cm;"> </div><div style="line-height: 150%; margin-bottom: 0cm;">
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<div style="line-height: 150%; margin-bottom: 0cm;">
<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEheB3UfAoaEu9K9QEIFm7Muy2DUWxr4MduptJHlG7KpSWAowG9EfEVCXoYHtwaY78GiNlshHJprMTMvtX3lbXmkv4YeV4BxIgiy8LRzInS9sjt99YWjAyYbnCQkI7v33jKc1oE5Dr6OmcaT/s1019/Andrade.PNG" style="clear: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><img alt="Copertina di Tonio Andrade, The Gunpowder Age" border="0" data-original-height="1019" data-original-width="671" height="320" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEheB3UfAoaEu9K9QEIFm7Muy2DUWxr4MduptJHlG7KpSWAowG9EfEVCXoYHtwaY78GiNlshHJprMTMvtX3lbXmkv4YeV4BxIgiy8LRzInS9sjt99YWjAyYbnCQkI7v33jKc1oE5Dr6OmcaT/w211-h320/Andrade.PNG" title="Copertina di Tonio Andrade, The Gunpowder Age" width="211" /></a></div>Il libro di <span itemprop="name">Tonio Andrade</span> <i><a href="https://press.princeton.edu/books/paperback/9780691178141/the-gunpowder-age">The Gunpowder Age</a></i> sembra a prima vista molto lontano dai miei interessi normali: la scrittura, la linguistica italiana, la comunicazione elettronica … In realtà, però, si incrocia con alcuni lavori in corso per diversi aspetti importanti: l’importanza della narrazione nella presentazione di informazioni, il rapporto tra testo e immagine, i rapporti tra <span itemprop="place">Asia</span> ed <span itemprop="place">Europa</span> nel Seicento… Per questo motivo ho preso appunti diffusi. </div>
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<div style="line-height: 150%; margin-bottom: 0cm;">Il libro racconta la diffusione della polvere da sparo confrontando ciò che avvenne in <span itemprop="place">Cina</span> e in <span itemprop="place">Europa</span> durante il periodo in cui questa tecnologia fu importante, dal Medioevo all’Ottocento. Potrebbe sembrare un argomento logoro! Ma la realtà è che questa storia ancora oggi viene spesso raccontata ripetendo luoghi comuni vecchi di secoli e approssimazioni. Rivedere il quadro a mente fresca è importante e permette anche di ripensare situazioni simili.</div></div>
<h4 style="line-height: 150%; margin-bottom: 0cm; text-align: left;">
La scelta degli argomenti e la narrazione</h4> <div style="line-height: 150%; margin-bottom: 0cm;">La storia della polvere da sparo viene raccontata da Andrade in ordine cronologico, partendo dalla sua invenzione in Cina. Il racconto descrive poi la diffusione di questa tecnologia in <span itemprop="place">Europa</span> dopo il 1320 e l’arco cronologico si chiude con una specie di rimpatrio: il primo confronto diretto tra gli armamenti cinesi e i loro discendenti europei due secoli più tardi, a partire dal 1511, con l’arrivo dei portoghesi in <span itemprop="place">Oriente</span>. Da qui in poi la trattazione diventa molto più selettiva: non ha più scala globale ma si concentra sulle occasioni di conflitto tra europei e cinesi, mostrando come a un’epoca di conflitti in condizione di “parità” nel Seicento facesse seguito un lungo periodo di pace nel Settecento. Dopodiché, alla riapertura delle ostilità nell’Ottocento, la superiorità occidentale nell’uso degli armamenti era divenuta schiacciante e – fino a oggi – incolmabile.</div>
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<div style="line-height: 150%; margin-bottom: 0cm;">
Dei dettagli di contenuto parlerò più avanti. Diciamo però subito che questa impostazione ha l’enorme vantaggio di permettere un racconto coerente, in ordine sostanzialmente cronologico, al servizio dell’argomentazione dell’autore. I diversi capitoli trattano argomenti molto diversi tra di loro, ma sono ben inseriti in un percorso narrativo compatto che, penso, piacerebbe molto a chi come <span itemprop="name">Gino Roncaglia</span> insiste molto sull’importanza della complessità nell’<a href="https://www.laterza.it/scheda-libro/?isbn=9788858142165">età della frammentazione</a>. </div>
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<div style="line-height: 150%; margin-bottom: 0cm;">
La quarta di copertina del libro riporta un entusiastico giudizio di <span itemprop="name">Jared Diamond</span>, che definisce l’opera “as exciting, dramatic, and engaging as a novel”. Smorzerei un pochino i toni, ma sottoscriverei la sostanza. Anche se una buona revisione potrebbe togliere alcune ripetizioni e alcuni effetti retorici un po’ troppo facili, è vero che la struttura data al libro consente di leggerlo “come un romanzo”.</div>
<h4 style="line-height: 150%; margin-bottom: 0cm; text-align: left;">
I contenuti in dettaglio
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<div style="line-height: 150%; margin-bottom: 0cm;">
Come anticipato, il libro parte dalle origini, raccontando ciò che si sa sullo sviluppo, graduale e lento, della polvere da sparo in <span itemprop="place">Cina</span>, incluse le sue applicazioni militari. E qui, i nomi in uso oggi ingannano, suggerendo una continuità che non esiste. Per esempio, poiché le prime formulazioni avevano dei tempi di combustione relativamente lunghi, la polvere da sparo degli esordi veniva di regola usata come semplice sostanza incendiaria, non come esplosivo.
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<div style="line-height: 150%; margin-bottom: 0cm;">
Agli inizi del XII secolo le guerre tra i Song e i Jin portarono però allo sviluppo di armi più efficienti, incluse le famose “lance di fuoco” e le bombe in ferro. Nemmeno queste erano però simili alle armi da fuoco in senso moderno. Le “lance di fuoco”, per esempio, usate da <span itemprop="name">Chen Gui</span> durante l’assedio di <span itemprop="place">De’an</span> nel 1132 (pp. 35-39), erano lance a cui venga agganciato un tubo con polvere da sparo. All’accensione, dal tubo usciva una fiammata che in alcuni casi veniva usata anche per scagliare pietre, con forza ridotta a distanze non tanto grandi (più che vere pallottole, le pietre erano “coviativi”, secondo una definizione di <span itemprop="name">Joseph Needham</span>: p. 51).
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<div style="line-height: 150%; margin-bottom: 0cm;">
Il passo successivo fu quello di usare canne in metallo, in cui potevano essere infilati proiettili di diametro simile a quello dell’apertura. Questa soluzione permetteva di trasferire molta più energia al proiettile, e il meccanismo inizia ad assomigliare alle armi dei secoli successivi. Il primo esemplare databile con sicurezza di un’arma da fuoco in metallo risale al 1298 ed è stato trovato nelle rovine di <span itemprop="place">Xanadu</span>, ma altri reperti potrebbero essere anteriori di alcuni decenni (p. 53). Alla metà del Trecento, i Ming usavano regolarmente armi da fuoco di questo tipo, relativamente piccole e concepite solo per l’uso contro la fanteria.</div>
<br />
<div style="line-height: 150%; margin-bottom: 0cm;">
In parallelo, però, negli anni Venti del Trecento, le armi da fuoco erano già arrivate in <span itemprop="place">Europa</span>, in forme inizialmente simili a quelle cinesi. La rapidità di questa diffusione, molto superiore a quella di tecnologie come la bussola o la carta, colpisce, così come colpisce il fatto che le altre civiltà asiatiche non vedessero niente di simile. La situazione è sorprendentemente simile a quella della stampa, centocinquant’anni più tardi, e in entrambi i casi rimane la vaga possibilità che quelle europee siano state invenzioni del tutto indipendenti: ma su questi argomenti fa ancora testo <a href="https://linguaggiodelweb.blogspot.com/2013/09/tsien-paper-and-printing.html"><i>Paper and printing</i> di Tsien Tsuen-Hsuin</a>. </div><div style="line-height: 150%; margin-bottom: 0cm;"><span itemprop="name"><br /></span></div><div style="line-height: 150%; margin-bottom: 0cm;">Comunque, non è chiarissimo che aspetto avessero le prime armi da fuoco europee: i primi esemplari conservati risalgono a fine Trecento, le descrizioni a parole (come quella di Petrarca citata da Andrade) sono confuse e i disegni pochi. Apparentemente, erano attrezzi simili a quelli cinesi: “cannoncini” di piccole dimensioni, simili a pentole robuste, oppure armi collocate su pali e simili alle “lance di fuoco”.</div>
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<div style="line-height: 150%; margin-bottom: 0cm;">
In Europa però a questo punto ci fu un’evoluzione rapida, che portò alla nascita di armi di grandi dimensioni: una vera artiglieria, molto diversa da tutto ciò che era stato creato in Cina. A stimolare la trasformazione, secondo <span itemprop="name">Andrade</span>, fu un fattore esterno. Le città e le fortezze cinesi avevano mura di terra, robustissime, e a nessuna persona ragionevole poteva venire in mente di sviluppare armi da fuoco capaci di abbatterle. In Europa però le mura erano sottili… come quelle che a <span itemprop="place">Pisa</span> devo attraversare ogni giorno per andare in Dipartimento. Ciò rendeva concepibile sviluppare armi in grado di abbattere le mura, oltre che uccidere gli esseri umani, e nella ricostruzione di <span itemprop="name">Andrade</span> ciò è appunto quanto accadde a fine Trecento nel ducato di <span itemprop="place">Borgogna</span> (p. 88). Lo sviluppo successivo fu rapido: attorno al 1480 i grossi cannoni europei – e turchi – avevano già preso l’aspetto che conservarono fino all’Ottocento: armi con canne molto lunghe rispetto al diametro della bocca, che sparavano proiettili in ferro (p. 105).
</div>
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<div style="line-height: 150%; margin-bottom: 0cm;">
Questi cannoni “classici” (p. 106) si rivelarono efficienti nel fare a pezzi non solo le vecchie fortezze (come in <span itemprop="place">Italia</span> mostrò bene l’arrivo di <span itemprop="name">Enrico VIII</span>) ma anche, imbarcati dai portoghesi, le navi nemiche. I cinesi, nel frattempo, non avevano sviluppato nulla di simile. Per questa divergenza, in aggiunta alla diversa natura delle difese, <span itemprop="name">Andrade</span> propone una spiegazione semplice. La seconda metà del Quattrocento era stata infatti un periodo relativamente pacifico per la <span itemprop="place">Cina</span> (e, aggiungo, per l’<span itemprop="place">Italia</span>), ma non per l’<span itemprop="place">Europa settentrionale</span>. Lì i conflitti avevano dato la spinta giusta al momento giusto.
</div>
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<div style="line-height: 150%; margin-bottom: 0cm;">I frutti della divergenza divennero valutabili nel più concreto dei modi nel giro di pochi decenni: nel 1511 gli europei, e più precisamente i portoghesi, arrivarono per la prima volta in <span itemprop="place">Cina</span> via mare, portandosi dietro appunto i cannoni “classici”. L’accoglienza cinese fu assai più interessata di quanto oggi tipicamente si ritiene: i cannoni europei furono subito individuati come una novità di rilievo, degna di imitazione. Nel 1521, grazie alla propria artiglieria, una piccola flotta portoghese ottenne un’insperata vittoria su una più numerosa flotta cinese nell’<span itemprop="place">estuario del Fiume delle Perle</span>. Già nel 1522, però, i cinesi ottennero una rivincita, anche grazie alle proprie armi da fuoco rapidamente migliorate (pp. 124-131).</div>
<br />
<div style="line-height: 150%; margin-bottom: 0cm;">
Questi episodi introducono la terza parte del libro, <i>An Age of Parity</i>. Il titolo stesso fa capire che <span itemprop="name">Andrade condivide un’idea presentata da diversi storici contemporanei</span>, tra cui il <span itemprop="name">Pomeranz</span> <a href="https://linguaggiodelweb.blogspot.com/2011/07/pomeranz-great-divergence.html">di cui parlavo giusto dieci anni fa</a>. In sostanza, la superiorità europea di questo periodo sarebbe un’illusione ottica creata dal senno di poi: fino al Settecento, le grandi società dell’<span itemprop="place">Asia</span> si misuravano alla pari con gli europei. E, avendo letto negli ultimi anni un bel po’ di relazioni di viaggio del periodo, anch’io mi sento propenso a concordare.
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<div style="line-height: 150%; margin-bottom: 0cm;">
In ogni caso, i luoghi comuni sul disinteresse dello stato cinese per gli sviluppi tecnologici sembrano, appunto, solo luoghi comuni. L’uso delle fonti cinesi, e in particolare delle storie Ming, mostra che i primi scontri armati produssero un vivo interesse dei letterati verso le novità occidentali. Un alto funzionario confuciano, <span itemprop="name">Wang Hong</span>, per esempio, propose immediatamente di usare i cannoni di modello portoghese per difendere la Grande Muraglia (p. 136). In poco tempo, “The Frankish cannon was, in effect, nativized to <span itemprop="place">China</span>, and (…) the term <i>folangji</i>, or ‘Frankish cannon,’ remained in use, a testament to Confucian bureucrats’ willingness to adopt foreign technologies” (p. 143).
</div>
<br />
<div style="line-height: 150%; margin-bottom: 0cm;">
A questo punto inizia uno dei blocchi più consistenti del libro, in cui l’autore lascia da parte l’artiglieria e si dedica alle armi da fuoco individuali. Il capitolo 11 spiega il modo in cui, in fanteria, le armi da fuoco divennero particolarmente efficienti quando fu trovato il modo per impiegarle nel “fuoco di fila”. In altri termini, quando i soldati, invece di sparare tutti assieme con le armi individuali e poi passare un tempo lunghissimo a ricaricare, venivano divisi in file che si davano il cambio, con un gruppo che sparava mentre altri gruppi ricaricavano. Questo evitava lunghe pause nel fuoco e permetteva quindi di tenere a distanza i nemici. In <span itemprop="place">Europa</span>, la tecnica venne apparentemente sviluppata nel corso del Cinquecento e nel corso della guerra dei Trent’anni contribuì alla fine del predominio dei <i>tercios</i> spagnoli <a href="https://linguaggiodelweb.blogspot.com/2021/06/bru-los-tercios.html">di cui ho parlato il mese scorso</a>; ma in <span itemprop="place">Cina</span> era stata sviluppata già prima della diffusione delle armi da fuoco, per il tiro con balestre, e fu facile adattare il modello all’uso del moschetto moderno.
</div><div style="line-height: 150%; margin-bottom: 0cm;"><br /></div><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEid8dlVZzuMwh9almbOSgY6OnT_Ndctrm1wq7Y7siMGMLHmDcnN1IH3rlAXX4XSonFBCsSs26wGJtEqUOeqluq1vp3U9kgLHEKH0yzUV386tOi3LnnVWqx7lqhnvKUETttAtcxxUPeixi15/s686/1639_Ming_musketry_volley_formation.jpg" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="686" data-original-width="465" height="320" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEid8dlVZzuMwh9almbOSgY6OnT_Ndctrm1wq7Y7siMGMLHmDcnN1IH3rlAXX4XSonFBCsSs26wGJtEqUOeqluq1vp3U9kgLHEKH0yzUV386tOi3LnnVWqx7lqhnvKUETttAtcxxUPeixi15/s320/1639_Ming_musketry_volley_formation.jpg" width="217" /></a></div><div style="line-height: 150%; margin-bottom: 0cm;"><br /></div><div style="line-height: 150%; margin-bottom: 0cm;"><br /></div><div style="line-height: 150%; margin-bottom: 0cm; text-align: center;"><a href="https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=53346381">Il fuoco di fila dei moschettieri Ming</a>, di Yprpyqp - Opera propria, dal manuale di Bi Maokang, 1639, CC BY-SA 4.0, </div> <br />
<div style="line-height: 150%; margin-bottom: 0cm;">
In ogni caso, nel Seicento cinesi, giapponesi e coreani adottarono entusiasticamente prima l’archibugio e poi il moschetto di tipo europeo (il <span itemprop="place">Giappone</span> poi proibì le armi da fuoco nella lunga pace dei Tokugawa). Per tutto il Seicento, questo produsse una parità militare con gli occidentali, che potevano contare su due soli vantaggi tecnologici privi di equivalenti asiatici: le navi da guerra (capitolo 14) e le fortezze di tipo italiano (capitolo 15), quasi impossibili da attaccare per un nemico impreparato. Gli scontri potevano quindi finire in un modo o nell’altro: se i cinesi si dimostrarono incapaci di tener i russi lontani dai propri confini, riuscirono però a riprendere <span itemprop="place">Taiwan</span> agli olandesi nel 1662.
</div>
<br />
<div style="line-height: 150%; margin-bottom: 0cm;">
La parità venne poi persa, gradualmente, nel Settecento. Per quale ragione? Secondo <span itemprop="name">Andrade</span>, di nuovo la più semplice: mentre gli europei continuarono a combattere tra di loro per tutto il secolo, in <span itemprop="place">Cina</span> e in <span itemprop="place">Giappone</span> ci furono lunghissimi periodi di pace. In particolare, durante la lunga pace dei Qing, tra il 1760 e il 1839, gli eserciti cinesi persero per mancanza di allenamento e motivazione quasi tutta la loro capacità bellica: gli esercizi rimanevano puramente formali e le spade arrugginivano nei foderi. Durante la Prima guerra dell’oppio il dislivello divenne quindi evidente in tutta la sua drammaticità: questo è il tema della quarta parte del libro, <i>The Great Military Divergence</i> (che ricollega la questione militare a quella della “grande divergenza” in generale).
</div>
<br />
<div style="line-height: 150%; margin-bottom: 0cm;">
Cosa interessante, <span itemprop="name">Andrade</span> attribuisce buona parte della divergenza, già nel Settecento, non solo allo sviluppo sociale e tecnologico ma anche a quello scientifico. In connessione con tutto il resto, certo… ma vale la pena citare qui le conclusioni dell’autore:
</div>
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<div style="line-height: 150%; margin-bottom: 0cm;"><span style="font-size: x-small;">
I came to believe during the writing of this book that one extra-military factor in particular played a vital role in the Great Military Divergence. I used to teach, in my lectures in Chinese history, that arguments about a lack of Chinese science in the Ming and Qing period were overwrought, that indigenous discourses such as the <i>kaozheng</i> school of evidentiary research were analogous to Western science, and that people have been too quick to discount the many writings on nature within the sea of Chinese thought. Certainly there’s still a tendency to underrate the dynamism of intellectual life in Late Imperial China, but today I find myself agreeing with <span itemprop="place">China</span> specialist <span itemprop="name">Mark Elvin</span>, who writes of his own conversion to the view that “something dramatic” was happening in <span itemprop="place">Europe</span> in the seventeenth century (p. 303).
</span></div>
<br />
<div style="line-height: 150%; margin-bottom: 0cm;">
Qui non posso che concordare anch’io, forse anche per amor di patria: la scienza galileiana non aveva semplicemente equivalenti nel mondo! E dal punto di vista pratico, leggiucchiando in giro, diventa evidente quanto i miglioramenti graduali ma sistematici nelle tecniche delle armi da fuoco e nel modo di adoperarle si accumularono in questo periodo, anche se visivamente l’aspetto esterno delle armi cambiò poco. Il pendolo balistico inventato nella prima metà del Settecento da <span itemprop="name">Benjamin Robins</span> permise per la prima volta di calcolare con precisione la velocità dei proiettili d’artiglieria e di individuare il ruolo della resistenza dell’aria, portando alla realizzazione di armi molto più pratiche e precise. Da metà Settecento, innovazioni razionali come le <a href="https://it.wikipedia.org/wiki/Carronata">carronate</a> diedero il via a una rincorsa alle prestazioni che oggi può risultare invisibile a chi oggi vede nei cortili dei musei pezzi apparentemente tutti simili gli uni agli altri. Pur cambiando poco all’esterno, i cannoni divennero più maneggevoli, si misero a sparare con più efficienza e si fecero molto più micidiali. Nelle parole di <span itemprop="name">Andrade</span>:
</div>
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<div style="line-height: 150%; margin-bottom: 0cm;"><span style="font-size: x-small;">
The British artillerists who fought in the Opium War were able to use ballistics models that took into account the expansion of gas in the gunpowder reaction, the loss of pressure due to the leaking of gas through touchholes and past projectiles, and the effects of wind resistance. The Qing gunners had no such resources (p. 251).
</span></div>
<br />
<div style="line-height: 150%; margin-bottom: 0cm;">Questo significava, in pratica, che i britannici potevano affondare navi, demolire forti e sterminare la fanteria nemica da lontano e in tutta calma. A Ningbo, un centinaio di inglesi riuscì a respingere un attacco di migliaia di soldati Qing, sterminandoli.</div><div style="line-height: 150%; margin-bottom: 0cm;"><br /></div><div style="line-height: 150%; margin-bottom: 0cm;">Lo shock della Prima guerra dell’oppio portò, beninteso, a un notevole investimento cinese nell’acquisizione dei sistemi europei: cannoni, navi a vapore, nuove tecniche di addestramento. Alla fine dell’Ottocento, la <span itemprop="place">Cina</span> si era da molti punti di vista più “occidentalizzata” del <span itemprop="place">Giappone</span>. Ma le circostanze erano critiche: dalla prima alla seconda guerra dell’oppio, dalla ribellione dei Tai Ping fino a quella dei Boxer, la storia cinese fu una catena di catastrofi ben oltre l’uscita di scena della polvere da sparo come arma da guerra, sostituita da prodotti più efficienti. </div>
<h4 style="line-height: 150%; margin-bottom: 0cm; text-align: left;">
Testo e immagini
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<div style="line-height: 150%; margin-bottom: 0cm;">Il libro di <span itemprop="name">Andrade</span> include molte immagini al servizio del testo: fotografie, ma anche miniature e disegni d’epoca, europei e cinesi. L’importanza di queste immagini per la chiarezza dell’esposizione è evidente. Le illustrazioni delle pagine 80 e 81, per esempio, mostrano rispettivamente una foto del trecentesco cannone di <span itemprop="place">Loshult</span> e una miniatura quattrocentesca di un’arma da fuoco europea simile alle “lance di fuoco”. Queste riproduzioni fanno capire con assoluta chiarezza quanto le armi da fuoco europee del Medioevo fossero diverse da quelle dei periodi successivi, e dall’immaginario comune. Descrivere le stesse differenze a parole, con la stessa incisività, è davvero difficile!
</div>
<br />
<div style="line-height: 150%; margin-bottom: 0cm;">
Inoltre, le immagini stesse sono fonti primarie. Per esempio, parlando del “fuoco di fila”, le semplici testimonianze scritte d’epoca rendono in diverse occasioni impossibile capire se ciò di cui si parla era un vero “fuoco di fila” o no. Viceversa, lo schema di movimento fornito in una lettera di <span itemprop="name">Gugliemo di Nassau</span> a suo cugino <span itemprop="name">Maurizio</span> nel 1594 presenta con chiarezza la tecnica sperimentale descritta nel testo, permettendo di capire che si tratta di un vero “fuoco di fila”. Le immagini che descrivono il comportamento dei balestrieri e moschettieri Ming nel <i>Jun qi tu shuo</i> di <span itemprop="name">Bi Maokang</span> sono altrettanto importanti nel mostrare che la tecnica descritta era un vero “fuoco di fila”. E così via.
</div>
<br />
<div style="line-height: 150%; margin-bottom: 0cm;">
Chi poi è interessato ad approfondire questo specifico problema dal punto di vista tecnico può farlo per esempio sulla voce di Wikipedia in lingua inglese dedicata al <a href="https://en.wikipedia.org/wiki/Volley_fire">fuoco di fila</a>, che si basa quasi per intero appunto su questo libro, riproducendo molte delle immagini chiave (su Wikipedia in lingua italiana non esiste nemmeno una voce dedicata al “fuoco di fila”, e in generale tutte le voci su argomenti simili sono di scarsa qualità).</div>
<h4 style="line-height: 150%; margin-bottom: 0cm; text-align: left;">
Il messaggio finale
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In sintesi, mi sono sentito in estrema sintonia con l’impostazione di questo libro. Il senno di poi inganna. Le grandi generalizzazioni ingannano. Le storie che tutti conoscono non sempre sono quelle corrette. E dettagli in apparenza secondari possono cambiare completamente l’utilità di una tecnologia o la situazione sociale.
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Il senno di poi inganna soprattutto nel Seicento: un’epoca in cui il mondo era già connesso, ma in modo parziale e senza centri di dominio assoluto. Questo è ciò che rende il periodo particolarmente interessante oggi… e, come spero di mostrare nel prossimo futuro, è qualcosa di cui si deve tener conto anche parlando delle lingue in generale, e della lingua italiana in particolare.
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<i> <span itemprop="name">Tonio Andrade</span>, </i>The Gunpowder Age. China, Military Innovation, and the Rise of the West in World History<i>, <span itemprop="place">Princeton</span>, Princeton University Press, 2016, ISBN 978-0-691-13597-7, pp. ix + 432. Letto nella copia della Biblioteca di Economia dell’Università di <span itemprop="place">Pisa</span>.</i>
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</div>Mirko Tavosanishttp://www.blogger.com/profile/06280624719643573178noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-6831591825771731142.post-222018766532561682021-06-19T11:54:00.000+02:002021-06-19T11:54:01.215+02:00Bru, Los tercios<div dir="ltr" style="text-align: left;" trbidi="on">
<div style="line-height: 150%; margin-bottom: 0cm;"><br /></div>
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<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgU-kGSy2JChiyQn8XZME62W4gwKwpoPfB_u7X_h7hx_wM2SaTXlbpJRa1KqnUVla2_fQDW44YVc0gcY9wkvneP89tFDv96yO63_f5YG4Z8AmOsicBVeP5-lyPCSH8bSQqD0goKVROJCekd/s2048/Bergen+Op+Zoom.jpeg" imageanchor="1" style="clear: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><img alt="Lo scontro di Bergen op Zoom (Bru, Los tercios, p. 116)" border="0" data-original-height="1368" data-original-width="2048" height="268" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgU-kGSy2JChiyQn8XZME62W4gwKwpoPfB_u7X_h7hx_wM2SaTXlbpJRa1KqnUVla2_fQDW44YVc0gcY9wkvneP89tFDv96yO63_f5YG4Z8AmOsicBVeP5-lyPCSH8bSQqD0goKVROJCekd/w400-h268/Bergen+Op+Zoom.jpeg" title="Lo scontro di Bergen op Zoom (Bru, Los tercios, p. 116)" width="400" /></a></div><div style="line-height: 150%; margin-bottom: 0cm;">Avevo detto diversi mesi fa che volevo parlare di alcune interazioni tra scrittura e immagine. Anche quel proposito, come tanti altri nell’ultimo anno e mezzo, è poi rimasto sospeso, per la situazione ben nota a tutti. A me è andata meglio che a molti altri, certo... ma di sicuro, fino a oggi sono riuscito a malapena a gestire le emergenze di lavoro, e anche la carta si è accumulata.
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Iniziando a fare ordine, da una pila di fogli ho estratto un libro fotografico che ho comprato giusto un anno fa, appena è uscito: <i><a href="https://www.despertaferro-ediciones.com/revistas/numero/los-tercios-jordi-bru/">Los tercios</a></i> di <span itemprop="name">Jordi Bru</span> e <span itemprop="name">Àlex Claramunt</span>. L’argomento può lasciare qualche dubbio. Com’è possibile, in effetti, che esista un libro fotografico sui <i><a href="https://it.wikipedia.org/wiki/Tercio">tercios</a></i>? Chi è in grado di ricollegare il nome a qualcosa (non molti, credo, in <span itemprop="place">Italia</span>) sa che i <i>tercios</i> erano unità militari dell’esercito imperiale e spagnolo dell’età moderna. In quanto tali, presero forma tra Quattro e Cinquecento basandosi, oltre che sul professionismo, su un’innovativa combinazione di <a href="https://it.wikipedia.org/wiki/Picca">picche </a>e di armi da fuoco. Il sistema trionfò alla <span itemprop="place"><a href="https://it.wikipedia.org/wiki/Battaglia_della_Bicocca">Bicocca</a></span> e a <span itemprop="place"><a href="https://it.wikipedia.org/wiki/Battaglia_di_Pavia_(1525)">Pavia</a></span>, e per più di un secolo i <i>tercios</i> dominarono i campi di battaglia europei. Entrarono in (lenta) crisi solo dopo <span itemprop="place"><a href="https://it.wikipedia.org/wiki/Battaglia_di_Rocroi">Rocroi</a></span>, nel 1643, con graduale la messa a punto della tecnica di fuoco di fila con il <a href="https://it.wikipedia.org/wiki/Moschetto">moschetto</a> e la sostituzione delle picche con baionette: gli ultimi reparti organizzati nel modo tradizionale furono sciolti agli inizi del Settecento.
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Come si fa allora a realizzare un libro fotografico a proposito di una struttura militare scomparsa da secoli? Un film storico potrebbe permettersi un cospicuo investimento in costumi e comparse, ma i libri non hanno accesso a bilanci simili. <span itemprop="name">Jordi Bru </span> ha invece fatto ricorso a due risorse: i rievocatori storici e Photoshop.
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</div><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjSrgxSmDVbGvCF9tradUPoUZ1wX_zIEZQgh1OzH8Ei7BzmqmZxua6HW0vwGkwwHGXCrmJ3-iF0GFNQGpa9fPgg_J-SZRmhmwO77YKZLa360103KzrrMsJ9xJtdbGitxS4nPGuG-w-jJVoi/s2928/Moschettieri.jpeg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img alt="Moschettieri (Bru, Los tercios, p. 12)" border="0" data-original-height="1074" data-original-width="2928" height="146" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjSrgxSmDVbGvCF9tradUPoUZ1wX_zIEZQgh1OzH8Ei7BzmqmZxua6HW0vwGkwwHGXCrmJ3-iF0GFNQGpa9fPgg_J-SZRmhmwO77YKZLa360103KzrrMsJ9xJtdbGitxS4nPGuG-w-jJVoi/w400-h146/Moschettieri.jpeg" title="Moschettieri (Bru, Los tercios, p. 12)" width="400" /></a></div><div style="line-height: 150%; margin-bottom: 0cm;"><br /></div><div style="line-height: 150%; margin-bottom: 0cm;">
<div style="line-height: 150%; margin-bottom: 0cm;">Il primo aspetto è quello più spettacolare. In <span itemprop="place">Europa</span> oggi sono numerose le rievocazioni storiche di alto profilo, e molte di esse riguardano il Seicento. Le foto del libro sono state quindi scattate durante rievocazioni tenute in varie località della <span itemprop="place">Spagna</span> e, soprattutto, durante la biennale <i>Slag am Grolle</i> di <span itemprop="place">Groenlo</span> in <span itemprop="place">Olanda</span>, che rievoca uno scontro del 1627 (l’edizione che avrebbe dovuto tenersi nel 2021 è stata rinviata all’ottobre 2022 a causa della pandemia; <span itemprop="name">Bru</span> si è potuto però basare su quelle del 2017 e del 2019). <span itemprop="name">Bru</span>, la cui attività si può seguire <a href="https://www.instagram.com/jordi_bru_fotografo/" rel="nofollow">anche su Instagram</a>, ha consolidato un rapporto con queste manifestazioni e oggi realizza regolarmente, vedo, immagini e manifesti – per loro e per le forze armate spagnole. </div>
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L’altro aspetto è Photoshop. La procedura con cui le immagini vengono ritoccate, riempite di personaggi e rese più drammatiche è descritta in dettaglio alle pp. 138-140, che mostrano i sei stadi attraverso cui <span itemprop="name">Bru</span> è arrivato all’immagine riportata qui. Il lavoro non è sempre perfetto (per esempio, i piedi dei soldati in marcia nell’immagine presentata alle pp. 74-75 sono ben poco integrati con lo sfondo originale), ma il risultato è comunque singolare e di forte impatto. Il modello più diretto sono le scene di battaglia della pittura moderna, a cominciare da quelle di <span itemprop="name"><a href="https://it.wikipedia.org/wiki/Augusto_Ferrer-Dalmau">Augusto Ferrer-Dalmau</a></span> (la scena di <span itemprop="place">Rocroi</span> presentata nel libro alle pp. 132-133 è direttamente modellata sul dipinto <i><a href="https://it.wikipedia.org/wiki/Augusto_Ferrer-Dalmau#/media/File:Rocroi,_el_%C3%BAltimo_tercio,_por_Augusto_Ferrer-Dalmau.jpg">Rocroi, el último tercio</a></i>, per esempio), che a loro volta si portano dietro una storia plurisecolare.
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In totale, il volume include 27 immagini che presentano in toni drammatici vari periodi della storia dei <i>tercios</i> e varie attività. Ogni immagine è accompagnata da qualche pagina di commento di <span itemprop="name">Àlex Claramunt</span>: testi un po’ dispersivi e frammentati, ma che comunque forniscono un contesto a quelle che altrimenti sarebbero immagini scollegate.
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Come mai un lavoro del genere, al di là anche delle piccole imperfezioni, colpisce e coinvolge? Difficile dirlo. Per me, però, direi che, semplicemente, le foto avvicinano molto più di quanto non possano fare i dipinti d’epoca, o i film in costume. In questo momento io sto lavorando molto con il Seicento, e qui ho ritrovato situazioni e climi familiari. Ma tutto il periodo storico oggi forse è più vicino di quello che poteva sembrare fino a qualche tempo fa…
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<i> <span itemprop="name">Jordi Bru</span>, </i>Los tercios<i>, con testi di <span itemprop="name">Àlex Claramunt</span>, <span itemprop="place">Madrid</span>, Desperta Ferro, 2020, ISBN 978-84-120798-7-6, pp. 140. Comprato a € 24.95 su Amazon.</i>
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</div>Mirko Tavosanishttp://www.blogger.com/profile/06280624719643573178noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-6831591825771731142.post-18254413884390653272021-02-26T09:30:00.002+01:002021-03-04T12:47:45.507+01:00McCurry, On reading<div dir="ltr" style="text-align: left;" trbidi="on"><div style="line-height: 150%; margin-bottom: 0cm;"><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEiZ3ZuMETpAqwaNfiCKRxoQiupIWyGkRwAI2Ze-AO7Ifkugep8evPJhErut2z_u5QuPXylc9eNuTLh8ygHZ4DbuRIdcuNGViW_lv0iuPP4sqgUfF-1wtRIoiOde80nGzq5bKDS9Zc6c7afj/s2048/Borsa.jpeg" style="clear: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><br /></a><br /></div><br /><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEh2LWlEWznJ5ACtA3T7hjd8E2A6rE0eSYTixgafWuZJi8ijq8dA0ApM14XI9oqfLp-fURiFjyYdIvU4PZJ4bTWSmyexJ8Zs0RTgJZoDW_IveKPrLMihTmWyS-ABvrjJu3QVYHOr9axu9aZt/s1392/Borsa.jpeg" imageanchor="1" style="clear: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><img alt="Dettaglio di un'immagine a pagina 81 di On reading: Bursa (Brussa) in Turchia" border="0" data-original-height="1392" data-original-width="1046" height="320" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEh2LWlEWznJ5ACtA3T7hjd8E2A6rE0eSYTixgafWuZJi8ijq8dA0ApM14XI9oqfLp-fURiFjyYdIvU4PZJ4bTWSmyexJ8Zs0RTgJZoDW_IveKPrLMihTmWyS-ABvrjJu3QVYHOr9axu9aZt/w240-h320/Borsa.jpeg" title="Dettaglio di un'immagine a pagina 81 di On reading: Bursa (Brussa) in Turchia" width="240" /></a></div>L’anno scorso, un ordine fatto da tempo mi è arrivato in uno dei periodi peggiori dell’isolamento: una copia usata e un po’ ammaccata del libro fotografico <i><a href="https://www.phaidon.com/store/photography/steve-mccurry-on-reading-9780714871295/">On reading</a></i> di <a href="https://it.wikipedia.org/wiki/Steve_McCurry">Steve McCurry</a>. Un libro meraviglioso, che consiglio caldamente a tutti.</div>
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Il tema delle fotografie del libro è ben definito: esseri umani impegnati nella lettura (solo in un caso, a p. 1, nell’inquadratura non ci sono esseri umani). Tuttavia, i soggetti spaziano su entrambi i sessi e tutta la gamma possibile di età, e soprattutto provengono da una varietà di contesti culturali, spesso ben poco familiari al pubblico occidentale. I lettori fotografati includono quindi, accanto a turisti e venditori italiani, ragazzi che si appoggiano ad elefanti in Thailandia, monaci tibetani, scolari africani, e così via, per decine e decine di variazioni. Solo in tre casi (pagine 41, 73, 107) le immagini mostrano qualcosa che non è lettura vera e propria: due bambini che si arrampicano su statue che impugnano un libro o un giornale, una ragazza che stringe al petto libri o quaderni. Se qualcuno è interessato a un campionamento ampio, lo trova per esempio <a href="https://www.bbc.com/culture/article/20170116-striking-photos-of-readers-around-the-world">in un bell<span style="color: black;">’</span>articolo sul sito della BBC</a>.</div>
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<i>On reading</i> è stato pubblicato nel 2016, ma le foto risalgono spesso, evidentemente, a molti anni prima (anche se le didascalie indicano solo il luogo in cui sono state scattate, e non la data). In ogni caso, non compaiono mai dispositivi elettronici: solo in un caso (p. 83) si vede un lettore impegnato con qualcosa che non si riesce a identificare ma che potrebbe anche essere un tablet. Non ci sono nemmeno iscrizioni su pietra, o scritte dipinte sui muri: il supporto di lettura è sempre la carta, o qualcosa di molto simile.
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</div><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgr9cwFoM30UDvkHLQ5zrArMzcwKJ_9HoGoetwtLgJJe-KEZKDoEkt2AICY9ZZIgfYuSBs_3OXo94CfRCzM4sGHK8tXET7VkEFnDzwJfm_6db1kZM4fCqXaRE5JHQVG97phgPGbxagDauSp/s2048/Curry+On+reading.jpg" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img alt="Copertina di McCurry, On reading" border="0" data-original-height="1570" data-original-width="2048" height="245" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgr9cwFoM30UDvkHLQ5zrArMzcwKJ_9HoGoetwtLgJJe-KEZKDoEkt2AICY9ZZIgfYuSBs_3OXo94CfRCzM4sGHK8tXET7VkEFnDzwJfm_6db1kZM4fCqXaRE5JHQVG97phgPGbxagDauSp/w320-h245/Curry+On+reading.jpg" title="Copertina di McCurry, On reading" width="320" /></a></div><div dir="ltr" style="text-align: left;" trbidi="on"> </div><div dir="ltr" style="text-align: left;" trbidi="on">
<div style="line-height: 150%; margin-bottom: 0cm;">In questo senso, il libro è una selezione parziale: nella realtà, non tutta la lettura avviene, né avveniva, su carta. E non tutta la lettura è individuale, e scollegata dalla scrittura, come quella che si vede nella maggioranza di queste immagini. Alcune delle immagini danno l’idea di essere state scattate dopo lunghi accordi con i soggetti, e di sicuro il fotografo ha privilegiato le situazioni in cui la lettura permette di isolarsi dall'ambiente e ritirarsi in un mondo proprio, separandosi anche dalle persone vicine.</div><div style="line-height: 150%; margin-bottom: 0cm;"><br /></div><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEicRBotJjiQXQfe82-qpx68UGXtNJppkqxDpubJDW6ZPD5PCTgmZTIiSyN6vv6zROHGnfuefZqjhpcTSu6Fevtok4sO9F1Npc-pJieCe15VSKfkQwfqgAepyBpRHFb-4zcn8DpYaDWBuWAW/s2048/italia.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img alt="Una foto scattata a Roma" border="0" data-original-height="1151" data-original-width="2048" height="180" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEicRBotJjiQXQfe82-qpx68UGXtNJppkqxDpubJDW6ZPD5PCTgmZTIiSyN6vv6zROHGnfuefZqjhpcTSu6Fevtok4sO9F1Npc-pJieCe15VSKfkQwfqgAepyBpRHFb-4zcn8DpYaDWBuWAW/w320-h180/italia.jpg" title="Una foto scattata a Roma" width="320" /></a></div><br /><div style="line-height: 150%; margin-bottom: 0cm;"><br /></div><div style="line-height: 150%; margin-bottom: 0cm;">Ma anche tenendo conto di questo, i vari modi in cui si concretizza l’idea astratta di lettura sono bellissimi. E, qualche mese fa, poterli ripercorre mi ha aiutato molto a superare giornate complicate.
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<i>Steve McCurry, </i>On reading<i>, Londra, Phaidon Press Limited, 2016, ISBN 978-0-7148-7129-5, pp. 140.</i>
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Mirko Tavosanishttp://www.blogger.com/profile/06280624719643573178noreply@blogger.com0