sabato 11 aprile 2009

Language complexity as an evolving variable: i presupposti polemici

 
 
Viviamo in tempi interessanti; e, sì, sono interessanti anche dal punto di vista degli studi linguistici. Il consenso chomskyano degli ultimi cinquant'anni si sta squagliando in alcune aree significative, e seguire il (e magari contribuire al) processo è molto divertente.
 
Un importante contributo in questa direzione viene dalla raccolta Language complexity as an evolving variable, appena pubblicato dalla Oxford UP a cura di Geoffrey Sampson, David Gil e Peter Trudgill. I contributi inseriti nel libro sono di qualità molto variabile, ma quel che conta è il discorso di base. Da mezzo secolo i linguisti hanno ripetuto un mantra poco dimostrato: tutte le lingue sono ugualmente complesse. Questa raccolta è il primo contributo organico a puntare in un'altra direzione.
 
In effetti, qualunque profano direbbe, e dice, che è ovvio che le lingue abbiano livelli diversi di complessità: il mandarino sembra molto complicato agli italiani, lo spagnolo invece è molto semplice, e così via. Il passo successivo però consiste nel riconoscere che questa diversità è direttamente dipendente dalla lingua madre: lo spagnolo non è affatto semplice per i cinesi, e così via. E poi, in molti settori, sembra che la semplicità di alcuni livelli sia compensata dalla complessità di altri. Per esempio, dire che al confronto del tedesco l'inglese ha una grammatica molto semplice, ma una fonetica (e un'ortografia) molto complessa è un luogo comune... io se non sbaglio l'ho incontrato per la prima volta, se non sbaglio, in Tre uomini a zonzo di Jerome K. Jerome.
 
Il passo immediatamente successivo è già più invischiato nella teoria: visto che il meccanismo di base delle lingue, in ottica chomskyana, è unico per tutti gli esseri umani, è tutt'altro che implausibile che il livello di complessità raggiunto sia determinato dalle caratteristiche dell'"organo della grammatica", e non da accidenti esterni. Inoltre, sono ben noti casi come quelli dei pidgin o delle lingue dei segni: codici di comunicazione molto semplici acquistano un bel po' di regole e di complessità appena una generazione di bambini li impara come lingue madri. È il meccanismo per cui dai pidgin si passa alle lingue creole, e sembra una prova evidente del fatto che un certo livello di complessità linguistica è la situazione naturale per gli esseri umani.
 
Delle conclusioni a cui arriva questa raccolta... parlerò in uno dei prossimi post!
 

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