Ieri sera c’era la cena del gruppo MULTI / ospiti stranieri del Politecnico. Oggettivamente, il vino non è mancato... e stamattina (domenica) mi sono risvegliato intontito. Postumi da Chianti? Com’è ovvio, in un caso del genere la cosa più ragionevola da fare è prendere il ballonzolante minibus della residenza, andare a Tsim Sha Tsui, prendere l’ancor più ballonzolante Star Ferry per Central Hong Kong, e da lì imbarcarsi sul traghetto per l’isola di Lamma, al cui confronto gli altri mezzi di trasporto citati sono piantati sulla roccia.
Stranamente, però, la cosa ha funzionato meglio di come si poteva immaginare, anche se il viaggio d’andata non è stato privo di momenti problematici. Tra l’altro, la rotta per Lamma è quella su cui c’è stato l’incidente d’inizio settimana: ai moli ci sono fasci di fiori per le vittime, e inviti della polizia perché eventuali testimoni si facciano vivi. Lasciandosi Central e Kowloon alle spalle, si capisce anche come sia potuto succedere – tutta la zona è piena di enormi portacointainer all’ancora o in movimento (una marchiata ITALIA, un’altra HYUNDAI...) , navi ormeggiate, traghetti che vanno e vengono, motoscafi lanciati a tutta velocità. Il traghetto si infila quindi in lunghe serie di scie, con immensa gioia mia e del mio stomaco.
Comunque, dopo mezz’ora di navigazione si arriva a Lamma. Isola assolutamente turistica, ma meno di quel che ci si potrebbe aspettare da un posto che si trova direttamente di fronte alle pareti di grattacieli di Aberdeen. La passeggiata classica, dicono le guide, è quella che in un’oretta e mezzo porta da Yung Shue Wan, il porto in cui sono sbarcato, fino a Sok Kwu Wan, sull’altro lato dell’isola, dove si può prendere un altro traghetto per tornare a Central. Entrambi i villaggi hanno una strada principale che è una lunga successione di ristoranti di pesce e negozietti:
Tuttavia, a Yung Shue Wan io tiro dritto, vado a visitare il misero tempietto “storico” di Tin Hau, mi inerpico per qualche strada laterale e alla fine mi ritrovo fuori. Il sentiero classico è oggi chiamato “Family trail” ed è, ahimè, completamente cementato. Appena fuori da Yung She Wan scopro però che lo percorre un numero stranamente ridotto di turisti, quasi tutti occidentali. Ogni tanto, qualche rara bicicletta (su Lamma i veicoli a motore sono vietati); e viceversa, tantissime farfalle – la zona di Hong Kong in generale ha le farfalle più grandi e colorate di qualunque altro posto che abbia mai visitato.
Tuttavia, a Yung Shue Wan io tiro dritto, vado a visitare il misero tempietto “storico” di Tin Hau, mi inerpico per qualche strada laterale e alla fine mi ritrovo fuori. Il sentiero classico è oggi chiamato “Family trail” ed è, ahimè, completamente cementato. Appena fuori da Yung She Wan scopro però che lo percorre un numero stranamente ridotto di turisti, quasi tutti occidentali. Ogni tanto, qualche rara bicicletta (su Lamma i veicoli a motore sono vietati); e viceversa, tantissime farfalle – la zona di Hong Kong in generale ha le farfalle più grandi e colorate di qualunque altro posto che abbia mai visitato.
Comunque, l’idea del viaggio per mare si è rivelata funzionale, e dopo pochi minuti di strada mi accorgo che nausea e mal di testa sono spariti. Il sentiero porta rapidamente alla spiaggia di Hung Shing Yeh, ma è ancora presto e la spiaggia, deserta, è direttamente di fronte a un’immensa centrale elettrica a carbone (che incombe anche sul resto dell’isola, ma che qui in pratica forma metà del paesaggio). Quindi tiro dritto lungo il sentiero, che si inerpica tra le colline e ogni tanto offre scorci panoramici niente male:
Alla fine arrivo alla spiaggia di Lo So Shing, anch’essa deserta nonostante sia piacevolmente ombreggiata da alberi che arrivano fino sulla riva (la voce di Wikipedia conferma che lo spopolamento non è un fatto occasionale). L’attrezzatura fa invidia a qualunque sistemazione italiana: subito sopra la spiaggia ci sono bagni puliti, cabine per infilarsi il costume, docce, pronto soccorso e postazione in cemento armato per il bagnino che sorveglia la zona. Tutto, ovviamente, gratis. Ma tutta questa organizzazione ha peraltro, sembra, delle contropartite: la zona balneabile è minima, delimitata da boe; una piattaforma piazzata a un centinaio di metri dalla riva riporta il divieto di tuffarsi e immergersi; e una grossa rete antisquali sigilla la baia. Il tutto sotto lo sguardo di un secondo bagnino che, piazzato sotto un ombrellone su un patino alla viareggina, arranca da un punto all’altro della zona balneabile per tenere d’occhio i bagnanti.
I quali bagnanti, a un certo punto, sono solo io: la spiaggia continua per un bel pezzo a essere deserta, a parte qualche turista straniero che ogni tanto fa capolino tra gli alberi. Beh, io mi spoglio e mi tuffo nelle tiepide onde del Mar Cinese Meridionale. L’acqua non è eccezionale, ed è piatta quasi come quella di una piscina, ma almeno è salata e senza cloro... La sabbia grossa della spiaggia va giù in un istante, e a cinque metri dalla riva già non si tocca più. La rete antisquali evidentemente funziona: non incontro creature pericolose (anche se ogni tanto qualcosa di strano... micromeduse?... mi dà delle strinate alle braccia), e alla fine mi stendo soddisfatto sulla riva ad asciugarmi e a leggere il Sunday Morning Post:
Sul giornale trovo tra l’altro un articolo che spiega come a Hong Kong sarebbe necessario insegnare a nuotare alla gente, per evitare che incidenti come quello d’inizio settimana si trasformino in stragi. Solo un abitante di Hong Kong su cinque sa nuotare, dice l’articolo; e questo in effetti spiega un po’ il vuoto della spiaggia, che continua comunque a lasciarmi perplesso... al punto che quando arriva una comitiva di chiassosi ragazzini di Hong Kong, sono perfino contento.
Da lì in poi, la strada porta in pochi minuti a Sok Kwu Wan, attraverso paludi, canali e grotte in cui a suo tempo, sembra, i giapponesi avevano preparato basi di barchini-kamikaze (ma più probabilmente, semplici depositi di materiali), in attesa di uno sbarco che non c’è mai stato. Anziane signore con cappello conico curano qua e là qualche orto:
Evitando giapponesi, comitive e gite scolastiche, alla fine rientro pacificamente da Sok Kwu Wan a Central con il traghetto delle 16.05; e poi a casa, a riguardare un documento ICoN accanto alla piscina, a mandar via le lettere più urgenti e a riflettere su una città di mare in cui ben pochi, sembra, vanno anche solo in spiaggia.
Primo commento: da qualche parte ho letto che la presenza di farfalle è indice di basso inquinamento dell'ambiente. E' strano però che Hong Kong sia un ambiente non inquinato! O no?
RispondiEliminaSecondo commento: meglio i laghetti finlandesi!
Ciao, Elisa!
RispondiEliminaIn effetti, Hong Kong non è un posto inquinato... almeno non rispetto alle città cinesi che ho visto! Un pezzo di città è su un'isola, un altro pezzo su una penisola, quindi aria di mare ce n'è in abbondanza. E poi sono 7,5 milioni di abitanti, ma messi uno sull'altro, quindi per esempio le automobili private in pratica non circolano, è tutto taxi e metro.
Certo, a due passi dalla megacentrale a carbone... però, la megacentrale ha anche delle megaciminiere, quindi scarica molto in alto. Chissà.
Comunque, avendoli provati entrambi, per fare il bagno preferisco il Mar Cinese Meridionale ai laghetti di Finlandia!