mercoledì 28 novembre 2012

La lettura e gli schermi ad alta densità


Droid HTC: foto di Alex Washburn da Wired, licenza CC
Per decenni si è parlato della dimensione dei pixel come di uno dei fattori che rendono la lettura su schermo più lenta rispetto alla lettura su carta. È davvero così? E questo continua a essere un problema?
 
Alla prima domanda la risposta è ufficiale: sì, è davvero così. Tutti citano il dato dichiarato da Jakob Nielsen nel 2000 nel suo famoso libro Web usability: la lettura su schermo è più lenta del 25 % rispetto a quella su carta (p. 101 della traduzione italiana pubblicata da Apogeo). In realtà, le conclusioni delle ricerche sono decisamente più sfumate, come ha mostrato pochi anni dopo Andrew Dillon nel secondo capitolo del suo Designing usable electronic texts (che mi sembra ancora la migliore sintesi in materia). In ogni caso, l’anno scorso ho provato a fare diverse misure di velocità di lettura con gli studenti del corso di Linguistica italiana II a Pisa, e i risultati venuti fuori sono stati molto difficili da interpretare.
 
Di sicuro, le ricerche fatte finora sembrano confermare due punti: 
  1. forse la lettura su schermo non è più lenta… però di sicuro non è più veloce. 
  2. non sembra sia una questione di abitudine, ma una questione di meccanismi fisici e mentali profondi 
Comunque, per la presentazione che ho fatto la settimana scorsa, ho fatto anche una rassegna del panorama tecnologico. Che, proprio negli ultimi due anni, ha visto una piccola rivoluzione: per la prima volta alcuni schermi offrono immagini di una densità paragonabile a quella della stampa su carta. Le unità di misura sono diverse, ma diciamo, per semplicità, che da decenni le stampanti individuali possono stampare con una densità di 300 punti per pollice. Fino a tempi recenti, la densità di riferimento degli schermi di computer era invece di soli 72 pixel per pollice, o PPI. Il mercato degli smartphone è stato però il punto di partenza per un drastico cambiamento: nel 2010 Apple ha introdotto sull’iPhone 4 (e sulla corrispondente generazione di iPod Touch) uno schermo con densità di 326 PPI. Con una buona mossa pubblicitaria, ha inoltre chiamato questo genere di schermi “Retina display”, dichiarando che su di essi l’utente normale, a normale distanza dagli occhi, non riesce a vedere i singoli pixel. Il discorso non è del tutto vero, ma il punto chiave è che nella percezione della qualità da parte dei lettori, come si sa da decenni, i 300 PPI sono una soglia importante.
 
Col tempo, Apple ha comunque introdotto i “Retina display” su vari altri tipi di dispositivo – spesso usando densità inferiori ai 300 PPI, per gli schermi destinati a essere tenuti più lontani dagli occhi, come quelli dei personal computer. La rincorsa non si è fatta attendere. Diversi prodotti dei concorrenti hanno raggiunto rapidamente densità simili o superiori, e lo smartphone Droid DNA della HTC (che non ho ancora visto), presentato sul mercato americano da pochi giorni, offre uno schermo con 440 PPI. Recensendo con scarso entusiasmo questo prodotto su Wired due giorni fa, Nathan Olivarez-Giles ha riassunto in questo modo la situazione:
 
The DNA’s display is gorgeous, and arguably the best-looking smartphone display out there. But to the naked eye, and over a couple of weeks of daily use, it doesn’t look significantly better than the phones mentioned above, and that’s a good thing. The fact is, they all look great. On any one of them, pixels are indiscernible and text looks crisp and clean, rivaling a printed page. Colors are vivid and bright. Photos, video, apps, websites, magazines, every single thing displayed on screen is rendered beautifully.
 
The bottom line is that while a 1080p screen is mighty pretty, it’s not a killer feature on a smartphone, and it does not make the device significantly better than the current crop of 720p-capable phones. And this is a wonderful thing for consumers. Smartphone displays are better than they have ever been. Today, we expect top-tier phones to come with Retina-quality screens, and anything less is deemed unacceptable.
 
Insomma, dal punto di vista dell’utente, la densità di pixel avrebbe superato una soglia fisiologica importante, e aggiungerne altri non può migliorare gran che la situazione. Così come, aggiungo io, aumentare la risoluzione di stampa nelle normali stampanti da ufficio non è stata una necessità molto sentita negli ultimi venticinque anni.
 
Sì, ma la velocità di lettura? Nessuno, mi sembra, ha fatto ancora confronti dettagliati. Eppure, telefoni a parte, schermi di questo genere cominciano a essere diffusi anche su schermi di discrete dimensioni. Nielsen ha fatto nel 2010 un confronto (che io ho riprodotto l’anno scorso assieme ai miei studenti) tra lo schermo dell’iPad di prima generazione, un Kindle di seconda generazione e la carta, giungendo alla conclusione che la lettura su iPad è solo del 6,2% più lenta di quella su carta. Però l’iPad esaminato aveva ancora uno schermo relativamente tradizionale, a 132 PPI. Studi sugli schermi più recenti, mi sembra, non se ne sono ancora visti, nonostante non siano troppo difficili da realizzare.
 
In compenso, il solito Nielsen quest’anno ha finalmente cambiato una delle sue linee guida per l’usabilità dei siti web: grazie alla maggiore qualità degli schermi di computer, preferire i caratteri senza grazie a quelli con grazie, per i testi destinati a essere letti su schermo, non è più necessario. Già da qualche anno, nei miei corsi avevo presentato questo cambiamento come “imminente”… e adesso, finalmente, ci siamo!
 
Poi, naturalmente, la velocità di lettura è solo una (piccola) componente dei problemi di usabilità che le interfacce informatiche mostrano ancora oggi, rispetto alla carta. Per lo studio e molti tipi di lavoro da ufficio, per esempio, la manipolabilità sembra un problema assai più rilevante – e su cui, per il momento, non sono in vista sviluppi di nessun genere. Ma insomma, un passo alla volta, almeno una fase del percorso sembra quasi terminata.
 

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