mercoledì 12 dicembre 2012

Watkins, The young & the digital


Due settimane fa ho parlato di Hanging out, messing around, and geeking out come di un’importante ricerca sul modo in cui i giovani americani usano davvero i mezzi di comunicazione elettronica. Un libro recente di S. Craig Watkins, The young & the digital: what the migration to social-network sites, games, and anytime, anywhere media means for our future (Boston, Beacon Press, 2009, pp. xxi + 249, ISBN 978-0-8070-6193-0, preso alla solita Pao Yue-Kong Library) non arriva allo stesso livello, ma forse proprio per questo è in grado di fornire un’immagine ragionevole di ciò che le persone competenti oggi sanno sull’argomento.
 
Yes, it is true that the social Web has become a place where young people spend a great deal of their leisure time. Even so, the social Web has not become a substitute for face-to-face interactions. Our findings are consistent with those of other researchers: young people use the Web as a tool to engage and maintain real-world friendships and connections. In other words, use of the Web is a way to fortify rather than forfeit their off-line relationships (p. 60).
 
Anche su molte altre cose non si va poi oltre il buon senso. Proprio per questo, però, è interessante notare ciò che qui non si dice a proposito di uno dei punti più vistosi nella vita dei giovani, cioè il rapporto tra nuove tecnologie e didattica. Il punto è che, semplicemente, non si parla di questo rapporto (se non in pamphlet del tutto scollegati dalla realtà) perché è marginale.

Certo, le nuove tecnologie influenzano in qualche punto la vita scolastica. Per esempio, permettono agli studenti di scambiarsi più facilmente osservazioni sui compiti; oppure creano situazioni in cui i genitori, che vogliono che i figli abbiano il telefono anche a scuola, si oppongono agli insegnanti, che si oppongono (pp. 177-180 in particolare). Ma tutto ciò mi sembra rappresenti in sostanza solo episodi di contorno, se non proprio folklore. L’apprendimento di molte discipline, dalla letteratura alla matematica, rimane fuori dal discorso di Watkins perché, banalmente, non è influenzato dal fatto che gli studenti siano in continuo contatto tra di loro o no. Si ha un bell’usare iPhone e sistemi di messaggeria istantanea: la scomposizione dei polinomi o si impara rimuginando su un testo scritto e su qualche esempio o non si impara, e l’unica differenza è che i suggerimenti dei compagni adesso sono più facili da ottenere. Che questo produca effetti significativi, però, mi sembra difficile da dimostrare!
 
Non sorprendentemente, Watkins insiste poi in diversi punti sui rischi del multitasking e della perdita di attenzione. Qui c’è una base solida per i discorsi (cioè, gli innumerevoli studi che hanno mostrato – cosa sorprendente! – che, quando si cerca di fare più di una cosa allo stesso tempo, la qualità del lavoro cala). Però, anche in questo caso, essendo l’apprendimento delle “materie scolastiche” il risultato di meccanismi mentali e sociali molto complessi, sembra difficile dimostrare alcunché. I risultati dei test PISA, per esempio, non mostrano grande correlazione tra calo o crescita delle competenze e diffusione dei nuovi media.
 

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