lunedì 7 gennaio 2013

Sull’utilità pratica dello studio del cinese

 
Metropolitana di Shanghai
Studiare il cinese mandarino è un’ottima cosa: la lingua è affascinante, il sistema di scrittura pure (anzi, di più). Inoltre, saper parlare il cinese è un ottimo modo per entrare un contatto con poco meno di un quinto dell’umanità – che solo occasionalmente parla inglese o altre lingue indoeuropee.
 
Tuttavia, girando per la Cina ho sentito regolarmente due pareri limitanti, da pare degli addetti ai lavori. Il più generale coincide con quello che i linguisti offrono da tempo: anche se la posizione economica della Cina dovesse continuare a migliorare, è molto improbabile che il cinese diventi un vero linguaggio di comunicazione internazionale. Difficilissimo da imparare per buona parte degli altri abitanti del pianeta, privo di tradizione in questo senso, pochi pensano che possa scalzare l’inglese prima che i progressi della traduzione automatica rendano obsoleta l’idea stessa di una lingua franca. Checché ne dicano i giornalisti più approssimativi, il cinese non sarà quindi la lingua del futuro… se non, è ovvio, per i cinesi (che oggi, spesso, nella vita quotidiana parlano altre lingue, a cominciare dal cantonese).
 
Il secondo parere è più specifico. A domanda se oggi valga la pena (soprattutto per un italiano) imparare il cinese per lavorare con la Cina, la risposta è stata categorica: no.
 
O meglio, la risposta ha distinto due situazioni. Imparare il cinese, mi è stato detto, è utilissimo per i bravi ingegneri, medici o docenti universitari. La Cina, anche se li fa entrare e lavorare solo in pochissime aree, ha fame di stranieri – ha fame perfino di studenti stranieri. E per quel poco che ho potuto vedere, il livello del “capitale umano” nei settori avanzati mi è sembrato in effetti molto basso – in particolare nell’area degli studi umanistici (la gestione del patrimonio culturale è priva di spessore in modo desolante), ma non solo.
 
D’altra parte, mi è stato detto diverse volte che non serve a molto imparare il cinese e basta. Il messaggio di base è stato: no, anche se ci sono eccezioni, gli italiani che arrivano in Cina avendo come unico punto di forza la conoscenza del cinese non trovano lavoro. Si fermano un po’ e poi ripartono senza aver concluso nulla. I contatti internazionali sono del resto gestiti con l’inglese, e si vede che il sistema funziona ragionevolmente bene (anche se, come dicevo sopra, nonostante anni di sforzi del governo è ancora oggi molto difficile, girando per la Cina, trovare persone che sappiano parlare inglese).
 
Può darsi che in Italia la situazione lavorativa sia diversa, ma di sicuro in Cina ciò che mi è stato raccontato è questo. Conoscere la lingua dà possibilità in più a chi ha già qualcosa da vendere, ma di per sé non sembra rappresenti un passaporto per il successo lavorativo.
 

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