martedì 30 settembre 2014

Lost Zombies, Dead inside: do not enter

 
Lost Zombies, Dead inside: do not enter
Nel fine settimana ho sfogliato la versione elettronica di un libro insolito: Dead inside: do not enter (2011). Insolito non per l’argomento (che anzi è un luogo comune: l’apocalisse zombie) ma per il modo in cui lo racconta. Il libro infatti è composto quasi per intero da riproduzioni fotografiche di avvisi, appunti e lettere che, nella finzione, sono stati realizzati mentre un’epidemia di zombie travolgeva gli Stati Uniti. Gli autori facevano parte della rete sociale “Lost Zombies”, attiva con un proprio sito web dal 1 maggio 2008 al 22 marzo 2014 e nata con lo scopo di realizzare un finto documentario sulla catastrofe. A quel che ne so, il documentario poi non è mai uscito e il libro Dead inside è il prodotto più avanzato di questo progetto collettivo.
 
A livello generale, il tema è di grande successo ma non mi coinvolge troppo. Nella cultura americana, evidentemente, l’idea dei “morti viventi” tocca corde profonde. A me invece gli zombie classici sono sempre sembrati ben poco spaventosi, e la mia sospensione dell’incredulità non arriva al punto da vedere come una minaccia quelli che in fin dei conti spesso vengono presentati come esseri umani lenti e instupiditi, ancorché pronti a mordere. Né mi colpisce più di tanto il fatto che questi zombie spesso si ritrovino a cercare di ripetere ciò che facevano in vita, aggirandosi per esempio negli uffici o nei centri commerciali. Idea lanciata, credo, nei film di Romero, dotata di indubbie possibilità letterarie e ben sfruttata nel miglior romanzo che mi sia capitato di leggere su questo argomento, Zona uno di Colson Withehead. Però idea che, tutto sommato, si esaurisce in fretta.
 
Mi sento leggermente meno scettico davanti alle opere che razionalizzano l’effetto degli zombie come effetto di un’epidemia e che mostrano gli zombie stessi come versioni scattanti e minacciose degli esseri umani. È il caso, al cinema, di 28 giorni dopo e World war Z. Ed è un po’ il caso anche di questo libro, che per non sbagliare inserisce nel suo scenario questi zombie più vivaci (“runners”) accanto a quelli classici. Ma informazioni di contesto di questo genere sono molto poche, nel libro, e provengono da una prefazione. Il grosso dello spazio è invece occupato da fotografie che riproducono una raccolta di “documenti autentici” che, nella finzione, vengono ritrovati nello zainetto di una bambina che viene morsa dagli zombie e prontamente uccisa dall’autore della nota introduttiva.
 
I documenti sono interessanti per me perché, anche se finti, coprono in modo sorprendentemente verosimile il modo in cui oggi gli esseri umani usano la scrittura in una società moderna. O perlomeno, sul modo in cui la userebbero se, interrotta la corrente elettrica, i telefoni smettessero di funzionare e le stampanti di stampare (con qualche eccezione). Ci sono quindi bigliettini d’auguri riutilizzati, volantini stampati al computer e commentati con note a penna, lettere private, cartelli d’avviso, il calcio di un fucile occupato per intero da una lunga serie di tacche che si conclude con la parola “me”… Insomma, i modi molto variati in cui nella realtà si scrive e si usano le lettere per lasciare segni sul mondo. Incluso questo impiego creativo, anche se sfortunato, dei fogli con estremità trasformate in bigliettini:
 
Take a tab
 
Oppure questo esempio di come, sulla carta, sia quasi istintivo accoppiare parole e disegni per mostrare cose che sarebbero difficili da descrivere usando solo uno dei due sistemi:
 
Mappa di un morso
 
In quanto alla tipologia: il libro contiene 130 esempi di scrittura a mano in stampatello (maiuscolo o minuscolo) e solo 18 esempi di scrittura a mano in corsivo. Il corsivo viene però usato per diversi testi lunghi, alcuni dei quali evidentemente attribuiti a bambini, ed è di solito molto leggibile. Insomma, anche nella cultura americana il corsivo non è ancora uno zombie – anche se, realisticamente, in molti testi esposti al pubblico viene sostituito dal più standardizzato stampatello minuscolo – che in Italia è ancora oggi raro vedere in un cartello scritto a mano.
 
Certo, dal punto di vista narrativo i limiti di questa presentazione sono abbastanza evidenti. Buona parte dei “documenti” è ripetitiva e consiste di biglietti scritti da bambini spaventati o confessioni piene di atrocità. I singoli frammenti non mandano avanti una narrazione coerente e si limitano a mostrare sfaccettature di una catastrofe immaginaria che è già stata descritta in molte varianti in una moltitudine di film e romanzi. Parecchi testi, poi, sono proprio brutti – e in alcuni casi, pure ben poco leggibili come calligrafia. Tuttavia, è difficile per me non provare un po’ di fascino per questa idea, molto in linea con quanto mostrato dagli studi di antropologia della scrittura.
 
Il libro viene presentato come il frutto del lavoro collettivo dei membri di “Lost Zombies”. Del resto, la riproduzione di un numero così alto di mani diverse sicuramente sarebbe una sfida tecnica anche per un calligrafo molto smaliziato! Sui motivi per lanciare il prodotto oggi non riesco più a trovare informazioni in rete, ma sospetto che abbia contribuito molto una spinta ben poco concepibile in Italia: l’amore, più che per la fantascienza catastrofica, per gli aspetti formali della scrittura e per le sue varietà. Compresi questi giudizi sprezzanti ed estremi sul Comic Sans:
 
Comic Sans
 
Linguisti e addetti ai lavori, mi sembra, sottovalutano molto il radicamento della scrittura nelle società moderne e la varietà delle forme in cui la scrittura stessa si presenta. Un libro come questo, invece, parte evidentemente da una percezione chiara sia del radicamento sia della varietà. In questo senso, un po’ a sorpresa, pur essendo finzione è il prodotto più realistico che mi sia capitato di vedere. Oppure mi è sfuggito qualcosa di meglio?
 
Lost Zombies, Dead inside: do not enter, versione Kindle, Chronicle Books LLC, 2011, venduto da Amazon, € 6,99, ASIN: B005M0ZO86. Per leggere i testi nelle immagini un Kindle non basta e occorre almeno un computer o un tablet con uno schermo di discrete dimensioni (alcune immagini sono presentate in orizzontale, quindi la possibilità di ruotare facilmente lo schermo è molto utile). Per lezioni e presentazioni, ne ho ordinata anche una copia su carta.
 

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