martedì 21 ottobre 2014

Casablanca e l’italiano di ritorno



Vicino alla moschea Hassan II
“Casablanca è un posto dove si va soprattutto per lavorare e fare soldi”. Uno dei motivi, senz’altro, è anche l’assenza di grandi attrattive turistiche. Casablanca non è una delle quasi millenarie città imperiali del Marocco: è un insediamento recente e relativamente anonimo. In compenso, però, ha l’Oceano Atlantico, grigio e minaccioso.
 
Domenica sera, al momento del mio arrivo, il professor Nassih Redouan mi ha gentilmente portato a fare un giro per Casablanca. Cominciando appunto dall’oceano, e da uno dei monumenti più discussi del paese: la moschea Hassan II, da poco realizzata in stile tradizionale ai confini del porto. Enorme e costosissima, la moschea si allunga sulle onde dell’Atlantico all’interno di un labirinto di scogli rasati a pelo d’acqua. Non ci vuole un occhio allenato per accorgersi che non siamo più sulle rive del Mediterraneo. Vicino all’ingresso della moschea, qualche ragazzino si tuffa da dieci metri nell’acqua sudicia dei fossi in cui l’oceano esaurisce la propria spinta. “Da qualche anno, gli studenti di italiano sono meno numerosi”, mi spiega intanto il professor Redouan. “Con la crisi economica dell’Italia la gente è meno interessata a imparare l’italiano”. Comprensibile.
 
Poco oltre la moschea comincia la Corniche: una lunga passeggiata, prudentemente collocata almeno cinque o sei metri al di sopra delle spiagge. Le onde di sicuro non scherzano, e a quel che ho capito le piscine, i ristoranti e i locali che si trovano “al piano di sotto” vengono spesso invasi dal mare. Ma non questa domenica sera, che è affollata da famiglie marocchine dall’aspetto molto globalizzato e bambini con occhiali e palloncini che mangiano il gelato. Il Marocco resta un paese tremendamente povero, ma da questa vetrina non si direbbe proprio. La Corniche va infatti avanti per chilometri, e si conclude con quello che è forse il più grande centro commerciale dell’Africa, il Morocco Mall, completo di cinema Imax. Accanto le scorre un viale intasato di macchine, con una gamma che va dai catorci improbabili alle Mercedes di lusso.
 
Lungo la Corniche

E questo è nulla rispetto a quel che succede il sabato sera, mi spiega il professor Redouan. Che a Perugia e Bologna ha studiato le Operette morali di Leopardi e i lavori di Michele Amari, e adesso è il capo del piccolo Dipartimento di italiano dell’Università Hassan II. Solo tre docenti, ma un discreto numero di studenti: molti di loro li incontrerò il lunedì mattina. Intanto, dopo il bagno di traffico, ci spostiamo di qualche chilometro. Il professore mi offre infatti un tè alla menta in una più tranquilla piazza all’ingresso del quartiere degli Habous.
 
Il quartiere stesso è una specie di medina occidentalizzata e addolcita, costruita dai francesi negli anni Trenta. I tavoli dei bar sono affollati di uomini che bevono tè e caffè. Ogni tanto passano ragazzini sugli skateboard. Un altro mondo? In un certo senso. Ma che cosa può interessare, dell’Italia e dell’italiano, a chi vive in Marocco? Adesso che appunto l’economia italiana è in crisi e si sono ridotti anche i finanziamenti italiani per la diffusione della lingua all’estero.
 
Ne discutiamo a lungo, ma qualche risposta in più l’avrò la mattina dopo all’interno dell’Università. Sotto il sole rovente, il campus è pieno di verde e di studenti. Nella sala professori della Faculté de Lettres et de Sciences Humaines mi accoglie anche il professor Abdelkader Mouloud; e arriva altro tè alla menta. Ci si potrebbe abituare…
 
Gli studenti che partecipano alla mia presentazione, alla fine, sono una ventina e provengono dal quinto e dal terzo semestre. Le loro competenze linguistiche si rivelano subito molto alte, e del resto nessuno di loro ha davvero iniziato lo studio dell’italiano all’Università. Molti hanno iniziato durante le scuole superiori; già, perché ho scoperto qui che a Casablanca, oltre alla ben nota scuola italiana “Enrico Mattei”, ci sono cinque scuole marocchine con sezioni in cui si insegna l’italiano. Il livello di insegnamento, mi dicono, non è altissimo – ma gli studenti che vengono di lì sono evidentemente bravi.
 
E poi, ed è la sorpresa maggiore, buona parte degli altri studenti sono marocchini che vengono dall’Italia. Sapevo che nelle aree da cui è partita l’emigrazione per l’Italia c’è stato anche un forte ritorno, anzi, ero molto curioso di vedere le conseguenze linguistiche di questo rientro. E sapevo già che tantissimi ragazzi che hanno iniziato gli studi in Italia sono conseguentemente rientrati in Marocco. Però non mi aspettavo che molti dei componenti di questa generazione decidessero di dedicarsi allo studio dell’italiano all’Università.
 
OK, che gli emigranti ritornino in grande maggioranza nel luogo da cui sono partiti è, come sto dicendo da anni in varie occasioni, cosa normale; è ciò che, al di là dei terrori degli italiani, è successo di regola in tutte le situazioni moderne. Ma quello che si sta producendo adesso in Marocco è un controesodo che sembra non desiderato dai diretti interessati. Si tratta di un puro prodotto della crisi italiana, a quel che mi dicono, ed è un pessimo segno per il paese.
 
Dal punto di vista linguistico, però, le conseguenze sono sorprendenti. Per la prima volta mi capita di sentire in un’aula universitaria studenti “stranieri” che però parlano un buon italiano, e spesso con tracce evidenti di inflessioni regionali: veneto, milanese e, credo, napoletano. Spiazzante. Nella storia linguistica italiana non si era mai visto nulla di simile. O perlomeno, non su questa scala.
 
Durante l'incontro all'Università Hassan II


Oltre ad avere questo alto livello di conoscenza, poi, gli studenti sono anche attivi! Fanno domande, intervengono, discutono. Due ore volano via in questo modo: a parlare dei destini delle lingue, dei prossimi sviluppi dell’italiano nel mondo della comunicazione elettronica, e così via. Oppure di cose più pratiche, a cominciare dalla domanda di base. E cioè, che tipo di lavoro può trovare chi si laurea oggi in Marocco in lingua italiana. Io, ahimè, non sono in grado di dare risposte definitive, e posso solo sperare che nei prossimi anni la scelta si confermi ragionevole. Tanto più che, se ho ben capito, per l’insegnamento alla Hassan II l’Italia non fornisce contributi di alcun genere, libri inclusi.
 
Finisce la mattinata. Il professor Redouan, sempre gentilissimo, mi porta di corsa alla futuristica stazione ferroviaria di Casablanca Port. Saluto, mi compro il biglietto e salgo sul treno delle 15:20 per Rabat. È un viaggio di un’ora, e si svolge su un anonimo e moderno treno pendolari a due piani, per lo più in mezzo tra case anonime e una campagna arida altrettanto anonima. All’orizzonte, però, ogni tanto si affaccia l’Atlantico. Che è sempre lì: non va da nessuna parte, per il momento.
 

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