giovedì 15 gennaio 2015

I segni dei camuni


Iscrizioni rupestri della Valcamonica sotto la neve
I tempi lunghi mi interessano.
 
Mi interessa anche la continuità della cultura umana in questi tempi lunghi… fino al punto in cui la storia incomincia a diventare storia naturale, e oltre.
 
E ancora di più mi interessano i casi in cui la continuità è testimoniata dalla scrittura. Oppure da segni che sono alla base della scrittura stessa.
 
Nell’ultimo giorno del 2014 sono stato in Valcamonica per una gita di famiglia. Ne ho (abbiamo) approfittato per vedere il Parco nazionale delle Incisioni rupestri a Naquane in Valcamonica , che è una delle più importanti testimonianze italiane di una cultura distribuita su tempi veramente lunghi. I primi esempi di iscrizioni in Valcamonica risalgono forse addirittura al Paleolitico, e a epoche in cui i ghiacciai non si erano ancora del tutto ritirati dalla valle. Nel sito di Naquane non c’è nulla di così antico, a dire il vero, ma si parte comunque ancora dall’età della pietra, forse in collegamento con l’arrivo dell’agricoltura, e si prosegue. Per migliaia di anni, apparentemente.
 
Girando con guida tra le iscrizioni, in parte coperte dalla neve, gli esempi di affiancamento e sovrapposizione sono molti. Le incisioni hanno avuto a lungo significato rituale, ed è lasciato alla fantasia del vistatore immaginare la scena: processioni con fiaccole e corna di cervo che risalgono il pendìo, da una riva e dall’altra dell’Oglio. Sciamani e sacerdoti che, in privato o in pubblico, incidono le rocce e con il passare del tempo aggiungono alle immagini di cervi, capanne e scene di caccia una serie di scritte in alfabeto etrusco (che i camuni, come i reti, adottarono con un certo entusiasmo) e poi latino, con criteri che già avvicinano alle scritture esposte moderne e contemporanee. Oggi sulla pietra levigata dai ghiacciai le epoche si mescolano e immagini relativamente arcaiche compaiono accanto a quelle di guerrieri dell’età del Ferro e a parole scritte appunto in alfabeto etrusco, come questa:
 
Scritta in alfabeto etrusco e guerriero con un sole sul torace
 
Insomma, mentre il mondo attorno a loro cambiava, gli abitanti della Valcamonica hanno continuato per millenni a tornare su queste incisioni. Forse l’hanno addirittura fatto per tradizione diretta e consapevole. Una delle cose che mi hanno impressionato di più nella visita è stata una serie di sassi incisi, ospitata nel piccolo museo archeologico di Capo di Ponte. Secondo la ricostruzione presentata lì, i sassi facevano parte di un santuario abbandonato nel Neolitico e rimesso in funzione temporaneamente nel VI secolo d. C., dopo duemilaseicento anni di abbandono.
 
Certo, le incisioni in sé possono venire “riscoperte” molte volte, anche quando ogni ricordo della loro presenza e del loro significato si è perso, ma le tecniche per realizzarle sono relativamente complesse e forse non è facile reinventarle all’impronta. Se ho ben capito, in giro per la valle si trovano appunto iscrizioni più rozze, fatte a imitazione di quelle preistoriche ma senza ricordo delle antiche tecniche: dal Medioevo fino agli interventi più recenti che sconfinano nel vandalismo contemporaneo. Il che fa pensare che solo l’avvento del cristianesimo abbia portato a una vera discontinuità culturale, e forse anche linguistica... ma su questo mi piacerebbe leggere qualcosa di più.
 
Mi è comunque difficile immaginare che dietro alla continuità di tecniche non ce ne fosse una di cultura, e dietro alla continuità di cultura forse anche una continuità di popolazione. Del resto, se una volta si vedeva la storia antica d’Italia come un susseguirsi di invasioni di popoli misteriosi, oggi si è molto più propensi a ritenere che l’ultimo cambiamento drastico sul piano demografico sia stata la graduale diffusione dell’agricoltura. Cioè un processo che secondo molti (Renfrew, per esempio) in Europa e altrove si è sviluppato soprattutto attraverso la diffusione delle popolazioni di agricoltori, che avrebbero sommerso i cacciatori-raccoglitori già presenti sul territorio. Eppure, appunto, le iscrizioni della Valcamonica mostrano una continuità che parte ancor prima dell’agricoltura, e che suggerisce quindi un cambiamento non troppo drastico perfino all’inizio del Neolitico.

Uno sciamano
 
Oggi buona parte dell’informazione segnata in questo modo è peraltro irrecuperabile. Il senso di alcune iscrizioni è chiaro, ma altre sono piuttosto misteriose e della popolazione dell’antica Valcamonica si sa in genere ben poco. Le iscrizioni in alfabeto etrusco sono leggibili ma incomprensibili, e non permettono nemmeno di capire la lingua usata da quel popolo. Io punterei alla continuità e quindi a una lingua italica fin dai tempi più remoti, ma anche un etrusco remotissimo, villanoviano e oltre, non mi sembra da escludere. Materia di lavoro non poco interessante.

 

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