venerdì 2 settembre 2016

Carrada e Trequadrini, Studio, dunque scrivo

  
 
Carrada e Trequadrini, Studio, dunque scrivo
Ammiro molto i libri di Luisa Carrada e mi sono letto con molto interesse anche il manuale Studio, dunque scrivo. A differenza dei libri precedenti della stessa autrice, questo è scritto in collaborazione (con Luisa Trequadrini) ed è pensato per un uso scolastico: per la precisione, per l’ultimo anno di scuola superiore, in vista delle prove dell’esame di Stato. Il pubblico di riferimento quindi non è molto diverso da quello dei miei corsi di scrittura, rivolti a studenti iscritti al primo anno di università. E in effetti, alcune parti del manuale sono molto utili in questa prospettiva.
 
Il libro però ha una natura composita. È diviso in sette “Unità”, e tra queste ce ne sono diverse di alto livello. Alcune però sono più discutibili nell’impostazione o nella realizzazione.
 
Partiamo dagli aspetti positivi.
 
La cassetta degli attrezzi
 
L’unità 2 (pp. 33-122), è per me di gran lunga la più utile. Intitolata La cassetta degli attrezzi, è dedicata alla trattazione di questioni “grammaticali” e la scelta degli argomenti sembra fondata su una lunga e solida esperienza diretta. Di sicuro, corrisponde ai dubbi e agli errori reali che incontro anch’io nella pratica dei corsi!
 
Le indicazioni fornite qui mi sono sembrate talmente utili (soprattutto nella prima parte) per il mio corso che mi sono fatto una scaletta dettagliata. Conto quindi di poter dire ai miei studenti, in caso di problemi, di studiarsi le pagine indicate di questo libro, a seconda degli argomenti:
 
soggetti: necessità dell’accordo perfetto (pp. 35-36), casi in cui è accettabile l’accordo a senso (pp. 36-37), situazioni in cui occorre esplicitare o sottintendere il soggetto (pp. 37-39).
 
pronomi: impieghi corretti ed errori nella referenza (pp. 39-41), uso eventuale delle forme soggetto tradizionali (pp. 41-434), sostituzioni e riformulazioni in alternativa ai pronomi (pp. 43-44), dubbi sul pronome relativo (pp. 45-46); a seguire, una scheda sulla scelta tra suo e proprio (pp. 47-48)
 
verbi: uso corretto del tempo (pp. 48-50), impiego del congiuntivo (pp. 51-55), errori nella referenza del gerundio (pp. 56-57), regole per le situazioni in cui uno stesso verbo regge più subordinate (pp. 58-59)
 
coerenza testuale: impiego semanticamente corretto delle congiunzioni (pp. 60-62), razionalizzazione degli accostamenti sintattici (pp. 63-64)
 
apostrofi, accenti e ortografia (pp. 64-66)
 
scelte lessicali: antilingua (pp. 67-68), frasi fatte (pp. 69-70), parole superflue (p. 7), scelta della parola più adatta (pp. 72-73), rivalutazione dei verbi all’infinito (pp. 73-74), attenzione alla ricchezza lessicale (pp. 74-76)
 
registri linguistici (pp. 76-80)
 
lingue speciali (pp. 81-84)
 
punteggiatura: punteggiatura logica, per l’occhio e per l’orecchio (pp. 86-90), scelta tra punto, virgola e punto e virgola (pp. 90-99, con particolare attenzione alla virgola prima del pronome relativo e prima di e), paragrafi, capoversi e superpunti (pp. 99-100)
 
Come si vede, gli argomenti affrontati sono molto specifici. La cosa va benissimo, perché di regola (ovviamente) gli studenti italiani dell’ultimo anno di scuola superiore o del primo anno di università non hanno bisogno di trattazioni generali sull’uso dei pronomi o sulla morfologia dei verbi. Quel che conta è intervenire sui punti di incertezza residui, e la scelta è stata fatta in modo molto solido. Per esempio, parlando di razionalizzazione degli accostamenti sintattici (“coerenza”) alle pagine 63-64 viene presentata “la legge della vicinanza”, cioè regole, esempi ed esercizi che illustrano il modo in cui i componenti di una frase devono essere accostati per non creare errori o ambiguità del tipo “Arriva il latte per neonati a basso costo”.
 
Dalla carta al digitale
 
A parte la grammatica, diverse unità del manuale sono fondate sulla specializzazione di Luisa Carrada: insegnamento della scrittura per mezzi di comunicazione elettronici. In alcuni casi riprendono e aggiornano indicazioni fornite altrove; in altri, aggiungono qualcosa di nuovo. Quasi sempre mi sono trovato d’accordo con le indicazioni fornite.
 
Nell’unità 3 vengono fornite informazioni di contesto sulla lettura da dispositivi elettronici e si fanno raccomandazioni per una comunicazione capace di attirare l’attenzione. Un approfondimento specifico, che include diverse indicazioni pratiche, riguarda le liste (pp. 142-145): visto che nella scuola italiana le liste sono spesso considerate, più che lo strumento utilissimo che in effetti sono, un’aberrazione rispetto alla scrittura “normale”, la cosa è particolarmente opportuna.
 
L’unità 4 riguarda vari aspetti della presentazione dei testi. Innanzitutto la scelta dei caratteri, con consigli che però secondo me sono molto discutibili. Per relazioni e tesine, per esempio, vengono consigliati praticamente solo caratteri senza grazie, dal Verdana al Calibri… l’unico carattere con grazie citato è il Georgia (p. 161). In altro punto del testo, il Times New Roman viene addirittura sconsigliato perché “antiquato” (p. 160). Mah! Io francamente ritengo che il Times New Roman rimanga, e di gran lunga, il font più consigliabile per un lavoro serio e di un minimo di estensione.
 
Il resto dell’unità riguarda invece il rapporto tra parole e immagini e, soprattutto, la preparazione di diapositive (pp. 169-178). Di queste ultime vengono dati molti esempi funzionali, ma anche esempi “scolastici” decisamente meno riusciti.
 
L’unità 7 tratta tre argomenti molto diversi fra di loro: posta elettronica, curriculum e interviste. La presentazione è sempre di alto livello.
 
Punti problematici
 
La sezione più discutibile del libro è l’unità 6, la più ampia: Scrivere a scuola: in vista dell’esame di Stato (pp. 213-308). Naturalmente, la più rilevante fonte di problemi è data dal fatto che l’esame finale è una prova in cui confluiscono interi anni di percorso scolastico; condizione particolarmente evidente nel caso dell’analisi dei testi letterari, in prosa e in poesia. Difficile quindi fornire in poche decine di pagine di testo indicazioni in grado di trasformare in modo sensibile l’atteggiamento dello studente in materia, mentre è difficile evitare i rischi dell’approssimazione… Rischi che qui si concretizzano in particolare nelle proposte di analisi del testo poetico.
 
In quelle proposte, per esempio, mi hanno lasciato molto perplesso diverse letture “fonosimboliche” di poesie. Speravo, e credevo, che analisi del genere fossero uscite di scena da decenni, grazie all’inserimento di nozioni linguistiche di base nel percorso formativo dei docenti e alla pubblicazione di manuali di alta professionalità. Eppure, qui ricompaiono vecchi fantasmi, come la distinzione tra consonanti “dure” e “dolci” (p. 234)! Al livello di base, salta fuori addirittura la classica confusione italiana tra suoni e lettere dell’alfabeto e si classifica per esempio la “c” (?) come una “consonante dura”… si intenderà l’occlusiva di cane o l’affricata di cena? O entrambe? Mah.
 
Le analisi riportate mi lasciano molto perplesso anche ad altri livelli. Quando le parole “cantano”, “sussurrano” e “bisbigliano”, oppure “stupida” e “placida”, sono considerate in rima tra di loro (pp. 232-233), mi sembra che manchi un’idea chiara di che cosa sia una rima. Gli errori di metrica e di fonetica si legano poi a indicazioni estetiche tanto apodittiche quanto discutibili. Nell’analisi di un passo di Meriggiare pallido e assorto si arriva per esempio a un “invito” come questo:
 
Ascolta come la disarmonia quasi fastidiosa della sillaba -gli carica di una forza evocativa parole che invece nel linguaggio quotidiano sono neutre, come muraglia o bottiglia (p. 235).
 
Al di là della soggettività assoluta dei giudizi, presentati come se fossero dati di fatto, vale la pena notare che nelle parole indicate qui sopra -gli non è affatto una “sillaba”. Si tratta invece, in tutti i casi, di un trigramma che rappresenta solo ed esclusivamente una consonante, la laterale palatale intensa /ʎ/.
 
Saltando all’altro estremo del libro, e cioè all’unità introduttiva (1), le considerazioni sul rapporto tra pensiero e scrittura sono fatte riferendosi ancora all’orizzonte di Ong e della “literacy thesis”, completamente smentita dalle ricerche degli ultimi decenni. Tuttavia, osservazioni oggi scientificamente insostenibili vengono qui presentate come i presupposti del lavoro:
 
molte caratteristiche del pensiero e della mente umana che sono per noi ovvie non appartengono al pensiero in quanto tale, ma al pensiero condizionato dalla scrittura (p. 3)
l’alfabeto fonetico (…) si è rivelato il codice più economico ed efficiente (…) Con l’alfabeto le parole sono sempre presenti nella loro interezza, pronte a essere analizzate e controllate (p. 4)
 
Tutto questo non toglie nulla ai meriti di buona parte del libro. Mi sembra però che renda consigliabile usare il testo con attenzione e in modo selettivo, più che per lo scopo complessivo cui è stato destinato.
 
Luisa Carrada, Claudia Trequadrini, Studio, dunque scrivo. Multimediale. Scrivere per l’esame di Stato. Scrivere per i media digitali. Scrivere per prepararsi al lavoro. Bologna, Zanichelli, 2015, pp. VIII + 343, ISBN 978-88-08-22118-6, € 19,80. Letto nella copia della Biblioteca LM 1 dell’Università di Pisa.
 

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