lunedì 11 gennaio 2021

Campbell e Pryce, La biblioteca

  
 
Copertina di La Biblioteca, con matita per confronto
Le biblioteche sono per me una fonte continua di soddisfazione e di felicità. In questo periodo sono ben poco accessibili, purtroppo… ma nel periodo delle feste di fine anno ho cercato di rimediare leggendo e guardando lo splendido volume La biblioteca di James Campbell (testo) e Will Pryce (fotografie), pubblicato nel 2014 nella collana Grandi Opere Einaudi, nel formato dei libri d’arte.
 
Era molto tempo che volevo leggere quel libro. A ricordarmelo è stata l’uscita di una nuova edizione Einaudi nel 2020, nella collana Saggi; ma poter recuperare questa è stato impotante. Per La biblioteca, le fotografie sono importanti tanto quanto il testo, e nell’edizione del 2014, con pagine di 30,6 x 24 cm, sono spettacolari. L’edizione del 2020 usa invece pagine di formato più ridotto. 
 
Una preferenza del genere si sposa poi bene con il tema del libro. Per quanto a me piacciano i testi in sé, la loro esistenza è legata a quella dei supporti che li contengono e alle pratiche sociali per crearli, conservarli e distribuirli. E, anche se i libri si possono leggere solo uno alla volta, potersi spostare rapidamente dall’uno all’altro non è un dettaglio. In altri termini: se si parla di usi reali, la gestione anche di quelle opere che più sembrerebbero rivolgersi al puro pensiero si intreccia inevitabilmente a questioni come la protezione dagli insetti, i vantaggi e i rischi dell’illuminazione a gas, le capacità di sostegno degli scaffali in legno e di quelli in acciaio…
 
Va poi ricordato che, nei millenni, l’oggetto “libro” ha conosciuto molte trasformazioni nella forma e nell’uso, dalle tavolette delle civiltà mesopotamiche fino ai testi digitali di oggi. Uno dei pochi fili conduttori per orientarsi in una tale varietà consiste appunto nel descrivere gli spazi pensati per fare contemporaneamente due cose: raccogliere questi “libri” e permettere di leggerli. Due funzioni semplici… ma evidentemente non è facile rispettare nemmeno un vincolo tanto generico e gli autori includono nel libro anche alcuni spazi che si occupano solo di conservazione. Per esempio, il monastero di Haeinsa nella Corea del Sud conserva la spettacolare raccolta dei Tripitaka Koreana che però sono matrici per la stampa, non oggetti destinati direttamente alla lettura (pp. 61-65); e il magazzino della Biblioteca Bodleiana di Oxford, collocato a Swindon, si trova a 45 chilometri di distanza dalle sale di consultazione (pp. 307-309).
 
Detto questo, è chiaro che il nucleo del libro è dedicato alle biblioteche occidentali delle età medievale, moderna e contemporanea, in cui le due funzioni di conservazione e lettura convivono di regola nello stesso edificio, e a volte alla stessa stanza. Quest’ultima soluzione, che forse sembra la più intuitiva al lettore europeo contemporaneo, in realtà è l’eccezione. Campbell precisa infatti che
 
L’idea di separare il magazzino dagli spazi di lettura è antica quanto la biblioteca stessa. Le prime biblioteche dell’antica Mesopotamia adottarono questa strategia, che ritroviamo nelle stanze dei libri medievali e nelle case tradizionali giapponesi. In effetti, è proprio la combinazione di esposizione e conservazione in un’unica stanza a essere storicamente insolita, non il contrario (p. 302).
 
Un interessante punto di svolta in questo è stata l’adozione degli scaffali a muro nella biblioteca dell’Escorial, a fine Cinquecento. Da lì, la sala di lettura con le pareti rivestite di libri è diventata un punto di riferimento:  “Quando pensiamo a una biblioteca, pensiamo a quella dell’Escorial” (p. 121). Tuttavia la varietà delle soluzioni successive è notevole e si lega in modo stretto, come mostrano gli autori, ai cambiamenti tecnologici e sociali. Perfino novità apparentemente marginali come la diffusione dei sistemi antifurto elettronici e delle videocamere di sorveglianza a fine Novecento hanno trasformato il panorama, rendendo “irrilevante” il controllo diretto degli scaffali da parte dei bibliotecari (p. 296). Sono così diventate possibili strutture fantastiche come il Centro Grimm a Berlino (pp. 309-313): la più grande biblioteca con scaffali ad accesso libero in Germania.

Il Centro Grimm a Berlino (pp. 310-311)
   
Per quanto belli possano poi essere spazi a cui sono molto affezionato, come quelli della Biblioteca Malatestiana di Cesena (pp. 72-77, ma con bellissima foto a doppia pagina anche alle pp. 6-7) o della Biblioteca Laurenziana a Firenze (pp. 101-106), poi, confesso che le sezioni più affascinanti del libro sono per me le ultime. Quelle in cui si presentano architetture sorprendenti come quelle della biblioteca Liyuan in Cina (pp. 310 e 313-317):

La biblioteca Liyuan (pp. 315-316)

 O la fantastica biblioteca del Museo Shiba Ryōtarō (pp. 289-291) in Giappone. O la più impressionante e inquietante di tutte, la biblioteca José Vasconcelos a Città del Messico (pp. 304-307):

La biblioteca Vasconcelos (p. 305)

In questo contesto un’attenzione particolare va alle biblioteche universitarie, che sono anche quelle che mi toccano più da vicino. Come dice Cambpell:
 
Le aree dedicate allo studio all’interno dell’università offrono agli studenti un luogo in cui studiare tra una lezione e l’altra, o dove riunirsi per lavorare in gruppo o semplicemente incontrarsi con gli amici (…). Alcuni amano lavorare in spazi ampi e aperti, circondati dalle persone, altri preferiscono trovare piccoli angoli tra gli scaffali. La biblioteca non è soltanto un luogo in cui si conservano i libri: è un posto in cui lavorare (p. 299).
 
Ecco, questo è un posto che negli ultimi mesi è diventato inaccessibile. Speriamo di poterlo recuperare presto.
 
James W. P. Campbell e Will Pryce, La biblioteca. Una storia mondiale, Torino, Einaudi, 2014, pp. 328, € 75, ISBN 978-88-06-22347-2 (traduzione di The Library. A World History, Londra, Thames & Hudson, 2013). Letto nella copia della Biblioteca ex Salesiani dell’Università di Pisa. Incredibilmente, mi sembra che nel libro non compaiano i nomi dei traduttori! Sul sito dell’editore sono però indicati Luigi Giacone e Chiara Veltri.
 

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