Io non credo che Facebook e le altre reti sociali siano tanto decisive quanto oggi alcuni pensano. Sono senz’altro realtà importanti e si collocano all’interno di una vita sociale complessa, in cui l’ecologia dei sistemi di comunicazione ha un ruolo di primo piano; ma
non sono il fattore più importante della vita contemporanea, nemmeno in Italia. Sembro un marxista vecchio stile se ritengo che la struttura economica sia più importante delle sovrastrutture, e in buona parte (anche se in modo non meccanico) le determini?
Fatta questa importante precisazione, poi, è possibile vedere un po’ meglio Facebook e la sua realtà. Non come creature invincibili e dotate di una propria volontà, ma come sistemi condizionati dalle scelte dei proprietari e dalle reazioni del pubblico. In cui, in particolare, le reazioni consapevoli possono determinare ciò che il sistema può fare – indipendentemente da ogni determinismo ingenuo.
Partendo da qui ho letto con molto interesse il libro recente di Flavio Alivernini
La grande nemica: il caso Boldrini. Il libro è infatti un’importante testimonianza dall’interno sul “caso Boldrini”, per l’appunto: cioè l’assurda situazione per cui una rispettatissima politica italiana è stata vittima di un’ondata di insulti e di odio sulle reti sociali, e in particolare su Facebook. Alivernini è stato testimone diretto degli eventi come componente dell’ufficio stampa di Laura Boldrini quando quest’ultima era presidente della Camera. Inoltre, il libro è preceduto da un’introduzione di Nicola Biondo, ex dipendente della Casaleggio Associati, che fornisce una testimonianza dall’interno basandosi sulla propria prospettiva.
Eletta presidente della Camera il 16 marzo 2013, Laura Boldrini è stata da subito un bersaglio dell’estrema destra. Alla base di questo odio c’erano i suoi quasi venticinque anni di lavoro con le istituzioni internazionali, il suo ruolo come portavoce dell’Alto commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati e le sue posizioni contro l’odio razziale. Tuttavia il salto qualitativo è venuto dopo: quando la Casaleggio Associati, che gestisce il blog del Movimento 5 stelle, ha deciso di prenderla come bersaglio, anche se i rappresentanti del Movimento avevano inizialmente mostrato molta simpatia e ammirazione per lei.
Alla base di questa scelta si trova una contrapposizione per una procedura parlamentare. Il 29 gennaio 2014, infatti, Laura Boldrini applicò uno strumento parlamentare per consentire alla Camera il voto sul cosiddetto decreto Imu-Bankitalia, superando l’ostruzionismo del Movimento 5 stelle (p. 33). La mossa provocò una vera e propria rissa parlamentare, e una ritorsione decisa a tavolino.
Nicola Biondo ha raccontato la sua versione di questa storia nel libro Supernova. La ripresenta anche qui, nella sua introduzione al libro di Alivernini, attribuendo la scelta di base a Pietro Dettori, all’epoca dipendente della Casaleggio Associati. Dettori infatti assegnò sul blog di Beppe Grillo un titolo provocatorio a un video pubblicato due giorni dopo lo scontro alla Camera:
Io ero lì, uomo-macchina della comunicazione 5 Stelle in posizione di vertice, e posso raccontare cosa successe. Il video, girato da un attivista, era leggero, esilarante, piacevole. (…) Un ragazzo al volante con accanto un cartonato raffigurante la presidente della Camera a cui venivano poste domande, ragionamenti, proposte. Tutto qui, tutto molto lieve. Dettori, che in quel momento gestiva i social di Grillo, lo titolò Cosa succederebbe se ti trovassi la Boldrini in macchina?. (…) E per giorni si scatenò l’inferno, sul web e nella politica. Per giorni, quegli stessi lunghissimi e pesanti giorni, io portai l’imbarazzo e la vergogna addosso (p.7).
Parlando della cosa con Gianroberto Casaleggio, Biondi dichiara di aver ricevuto questa cinica risposta:
“Delle conseguenze non ti preoccupare. Ma noi dobbiamo imparare a canalizzare il sentiment della Rete e usarlo. Oggi abbiamo sbagliato, ma il risultato che ne è venuto fuori ci dice che la Rete è dalla nostra parte. È la Rete che decide la reputazione delle persone” (p. 7).
Nei giorni successivi all’uscita del video, la campagna di odio sulle reti sociali, rinfocolata anche dalla televisione e da alcune incertezze comunicative di Laura Boldrini e del suo gruppo, divenne ancora più estesa e violenta. A venire allo scoperto fu un grumo vergognoso di idee sessiste, razziste e violente, documentate nel libro in un modo che non è opportuno ripetere qui.
Il peggio però doveva ancora venire. Anche la Lega adottò Laura Boldrini come bersaglio, coinvolgendola esplicitamente in una serie di comunicazioni mirate a incitare all’odio contro gli stranieri. È il caso per esempio di un post di Salvini del 30 gennaio 2018, a commento dell’assassinio di Pamela Mastropietro a Macerata (p. 62).
In definitiva, dopo l’intervento della Casaleggio Associati, la Lega e gli altri partiti politici di estrema destra hanno usato continuamente Laura Boldrini come un bersaglio, nel modo che in precedenza era stato proprio solo dei movimenti più estremi. Il tutto al di là di qualunque rapporto con le posizioni reali (ragionevolissime e umane) dell’interessata nei confronti delle migrazioni e delle relazioni internazionali. L’importante era avere a disposizione un nome e cognome, possibilmente femminili, per suscitare e incanalare odio. Ne sono risultati decine di migliaia di commenti osceni e di incitamenti alla violenza, spesso firmati con disinvoltura con nome e cognome su Facebook.
Dal 25 novembre 2016 però Laura Boldrini e il suo ufficio stampa hanno iniziato a pubblicare e presentare, appunto, i nomi e cognomi degli autori di questi messaggi (p. 112). Il risultato è stato, ovviamente, un gran numero di messaggi di pentimenti, di scuse, di “non pensavo”… Dal 14 agosto 2017 poi sono iniziate anche le denunce (p. 118). E il 15 gennaio 2019 la prima condanna per questi atti di diffamazione, quella del sindaco leghista di Pontinvrea, Matteo Camiciottoli (pp. 121-122).
Probabilmente anche grazie a questi atti, il clima di comunicazione su alcune pagine Facebook è cambiato. Studiando questo genere di comunicazione, so che è difficile dare valutazioni quantitative solide; ma la percezione di un miglioramento dei toni, di un calo della violenza verbale, è molto forte negli ultimi mesi. E, a scanso di equivoci, va detto che quella violenza non era equamente distribuita: era nella quasi totalità una violenza di destra, razzista, antifemminista, omofoba, rivolta contro chi aveva opinioni che ancora oggi si possono caratterizzare “di sinistra”, ma che forse sarebbe più semplice definire “umane e ragionevoli”.
Le conclusioni di Alivernini sono ottimiste:
Gli odiatori seriali sui social di Laura Boldrini oggi sono davvero pochi. Rumorosi, certo, ma prontamente ricacciati indietro da una comunità digitale che si è stretta attorno ai propri valori e alle proprie idee politiche. (p. 129).
Non so se questo ottimismo può essere condiviso fino in fondo. Io, appunto, ritengo che l’odio che è stato fatto dilagare negli ultimi anni non sia stato creato dal nulla dalle reti sociali, e che non bastino operazioni di ripulitura delle reti stesse per cancellarlo. Però, appunto, in questa ecologia di comunicazioni, occorreva senz’altro reagire in nome dell’umanità e della civiltà. Non basterà, ma va fatto e rappresenta un componente importante per la nostra vita sociale.
In fin dei conti, e in sostanza: le espressioni di odio e gli incitamenti alla violenza non sono una componente inevitabile delle piattaforme online. Ospitare messaggi del genere è una scelta dei proprietari, e contrastarli è perfettamente possibile sia dal punto di vista tecnico che da quello sociale.
Flavio Alivernini, La grande nemica: il caso Boldrini
, Milano, People, 2019, pp. 154, € 16, ISBN 978-88-32089-09-7. Comprato su Amazon.it.