Due giornate piene passate a fare da segretario al seggio 53 hanno lasciato il segno. Sono state ore trascorse a smistare , timbrare registri, firmare verbali... insomma, l'apoteosi della civiltà della scrittura su carta, nella sua variante italiana, con i suoi riti spesso incomprensibili. Alcuni divertenti, per carità, altri semplicemente inutili.
In particolare, spiegare in dettaglio come si vota si è rivelato più difficile del previsto. Eppure il sistema, compreso il meccanismo curioso del voto disgiunto, non è poi così complesso.
Approfitto dell'occasione per segnalare quindi un esempio di come potrebbero essere invece gestite le cose: il Pdf delle Istruzioni per le operazioni degli uffici elettorali di sezione (Parlamento europeo) "tradotte in italiano" da un gruppo di studenti e collaboratori di Michele Cortelazzo Il testo fa parte dell'importante sito Chiarezza e semplicità ospitato dall'Università di Padova. Anche oggi ci sono state spesso occasioni in cui mi sono chiesto perché gli stampati e i manuali non siano scritti più spesso in questo modo...
Appunti sul linguaggio e sulla scrittura, con particolare attenzione al linguaggio del web. Un blog di Mirko Tavosanis.
lunedì 29 marzo 2010
domenica 28 marzo 2010
Documenti inesistenti
Di solito leggo con interesse gli articoli che Maurizio Ferraris dedica a vari problemi filosofici e, recentemente, al tema della documentazione. Non ho ancora letto il suo recente saggio Documentazione. Perché è necessario lasciar tracce; conto di farlo presto, perché l'argomento ha ampie sovrapposizioni con gli argomenti di cui mi occupo nella ricerca. però devo dire che l'articolo che Ferraris ha fatto uscire oggi sul supplemento domenicale del Sole-24 ore mi lascia diverse perplessità.
L'articolo si intitola Persi in un vuoto di memoria ed è dedicato all'importante tema della conservazione delle memorie digitali. Le osservazioni presentate sono però a un primissimo livello di informazione - o addirittura problematiche dal punto di vista storico. A partire dalla frase iniziale:
Ogni anno, il 27 gennaio, si celebra il giorno della memoria, ma se la Shoah fosse avvenuta al tempo di Internet, se l'ordine di Goering fosse stato scritto nel 2042, invece che nel 1942, ci sarebbe il fondatissimo sospetto che, nel 2310, scomparsi tutti i testimoni, non ne rimanga più traccia. Più niente ordine di Goering sulla soluzione finale (sarebbe stata una email finita chissà dove)...
Eh? A parte l'uso dei tempi verbali, l'esempio è singolarmente mal scelto. Presumibilmente, parlando di "ordine di Goering", si sta parlando di quello datato 31 luglio 1941 (non 1942). Però quest'ordine non fu l'atto che mise in moto lo sterminio degli ebrei. Si trattava invece dell'ordine inviato a Heydrich di "prepararsi" per la "soluzione finale" del "problema ebraico" nei territori europei occupati dai nazisti. Era insomma un passo in quella direzione, ma non era ancora l'ordine di eseguire la "soluzione finale", né tantomeno di farlo attraverso l'eliminazione fisica degli ebrei piuttosto che, per esempio, attraverso il trasferimento forzato.
Chi diede davvero l'ordine di sterminare il popolo ebraico? Al di là della tragedia in sé, è interessante notare che non esiste un "documento" che dia risposta definitiva (e come punto di partenza per l'ampia discussione storiografica si può prendere, una volta tanto, la voce di Wikipedia dedicata al problema). Con ogni probabilità l'ordine fu dato da Hitler in persona, che però fu attento a non farlo sotto forma di dichiarazione chiara e pubblica, e soprattutto a non farlo per iscritto. Quando venne dato l'ordine? Neanche questo si sa, ma probabilmente la data è posteriore al luglio del 1941. La ricostruzione storica di una decisione di simile portata si basa quindi solo su documentazione indiretta e ricordi individuali (a volte contraddittori). Né Hitler né Goering mandavano e-mail: entrambi però, oltre a scrivere testi, fornivano informazioni importanti attraverso canali che non lasciano "documenti".
Insomma, l'esperienza mostra che anche la mancanza di un "documento" chiave non trasforma una celebrazione come il Giorno della Memoria in "un rito misterioso, in cui si celebra la memoria di un evento dai confini vaghi e inafferrabili", come paventa Fabris. I confini dello sterminio degli ebrei sono più vaghi di quanto si pensa di solito, ma ciò non toglie che ci sia un nucleo ben definibile di dati, vittime, mandanti ed esecutori. Il singolo pezzo di carta conta, ma spesso solo come tassello di un quadro più ampio che sta in piedi anche per altre ragioni.
Detto questo, e passando a vicende storiche per fortuna meno tragiche, è chiaro che il problema di base discusso da Ferraris è importante per i nostri programmi: quanto dureranno le nostre memorie informatiche? Ferraris ricorda che le aziende che oggi archiviano i nostri dati "nella nuvola" non avranno, verosimilmente, vita lunga. Previsione più che ragionevole. Ma allora? Gli addetti ai lavori si sono occupati da decenni di questo problema, che non è recente e non riguarda solo i dati elettronici: tanto per fare un altro esempio, anche buona parte della nostra carta acida si disintegrerà, pare, nel giro di un secolo o giù di lì. In sostanza, più che ribadire per l'ennesima volta che il problema esiste, sarebbe interessante vedere, con indagini sul campo, che cosa stanno facendo utenti, aziende e istituzioni per limitare i danni.
L'articolo si intitola Persi in un vuoto di memoria ed è dedicato all'importante tema della conservazione delle memorie digitali. Le osservazioni presentate sono però a un primissimo livello di informazione - o addirittura problematiche dal punto di vista storico. A partire dalla frase iniziale:
Ogni anno, il 27 gennaio, si celebra il giorno della memoria, ma se la Shoah fosse avvenuta al tempo di Internet, se l'ordine di Goering fosse stato scritto nel 2042, invece che nel 1942, ci sarebbe il fondatissimo sospetto che, nel 2310, scomparsi tutti i testimoni, non ne rimanga più traccia. Più niente ordine di Goering sulla soluzione finale (sarebbe stata una email finita chissà dove)...
Eh? A parte l'uso dei tempi verbali, l'esempio è singolarmente mal scelto. Presumibilmente, parlando di "ordine di Goering", si sta parlando di quello datato 31 luglio 1941 (non 1942). Però quest'ordine non fu l'atto che mise in moto lo sterminio degli ebrei. Si trattava invece dell'ordine inviato a Heydrich di "prepararsi" per la "soluzione finale" del "problema ebraico" nei territori europei occupati dai nazisti. Era insomma un passo in quella direzione, ma non era ancora l'ordine di eseguire la "soluzione finale", né tantomeno di farlo attraverso l'eliminazione fisica degli ebrei piuttosto che, per esempio, attraverso il trasferimento forzato.
Chi diede davvero l'ordine di sterminare il popolo ebraico? Al di là della tragedia in sé, è interessante notare che non esiste un "documento" che dia risposta definitiva (e come punto di partenza per l'ampia discussione storiografica si può prendere, una volta tanto, la voce di Wikipedia dedicata al problema). Con ogni probabilità l'ordine fu dato da Hitler in persona, che però fu attento a non farlo sotto forma di dichiarazione chiara e pubblica, e soprattutto a non farlo per iscritto. Quando venne dato l'ordine? Neanche questo si sa, ma probabilmente la data è posteriore al luglio del 1941. La ricostruzione storica di una decisione di simile portata si basa quindi solo su documentazione indiretta e ricordi individuali (a volte contraddittori). Né Hitler né Goering mandavano e-mail: entrambi però, oltre a scrivere testi, fornivano informazioni importanti attraverso canali che non lasciano "documenti".
Insomma, l'esperienza mostra che anche la mancanza di un "documento" chiave non trasforma una celebrazione come il Giorno della Memoria in "un rito misterioso, in cui si celebra la memoria di un evento dai confini vaghi e inafferrabili", come paventa Fabris. I confini dello sterminio degli ebrei sono più vaghi di quanto si pensa di solito, ma ciò non toglie che ci sia un nucleo ben definibile di dati, vittime, mandanti ed esecutori. Il singolo pezzo di carta conta, ma spesso solo come tassello di un quadro più ampio che sta in piedi anche per altre ragioni.
Detto questo, e passando a vicende storiche per fortuna meno tragiche, è chiaro che il problema di base discusso da Ferraris è importante per i nostri programmi: quanto dureranno le nostre memorie informatiche? Ferraris ricorda che le aziende che oggi archiviano i nostri dati "nella nuvola" non avranno, verosimilmente, vita lunga. Previsione più che ragionevole. Ma allora? Gli addetti ai lavori si sono occupati da decenni di questo problema, che non è recente e non riguarda solo i dati elettronici: tanto per fare un altro esempio, anche buona parte della nostra carta acida si disintegrerà, pare, nel giro di un secolo o giù di lì. In sostanza, più che ribadire per l'ennesima volta che il problema esiste, sarebbe interessante vedere, con indagini sul campo, che cosa stanno facendo utenti, aziende e istituzioni per limitare i danni.
venerdì 26 marzo 2010
Recensione: Corpus linguistics and the web
Sulla rivista Language resources and evaluation è uscita (per ora solo nella sezione Online first) la mia recensione al libro Corpus linguistics and the web. Al momento il testo non è accessibile se non dall'interno di istituzioni abbonate, a parte una pagina di presentazione... il che, peraltro, è un terzo del testo (tre pagine in tutto).
La recensione oggettivamente è un po' invecchiata: l'avevo scritta nel 2007, per un libro che raccoglieva contributi presentati inizialmente a un convegno del 2004 (!). Però, mentre il web evolve in fretta, gli studi specialistici nel settore sono pochi - e quindi un po' di attualità si è mantenuta.
martedì 23 marzo 2010
Kindle: prova su strada
Qualche tempo fa avevo scritto che, causa limiti, non avrei comprato un Kindle nel 2009. Adesso però siamo nel 2010 e, soprattutto, ho scoperto un residuo di fondo con cui pagare attrezzature. Detto fatto, ho ordinato al volo un Kindle, che servirà per un paio di tesi di laurea sulla leggibilità dei testi - e come strumento di dimostrazione nelle lezioni dei corsi e del master in Italiano scritto professionale.
Ci sarebbero poi molte cose da dire sul modello di commercializzazione dei libri proposto da Amazon. Però è interessante vedere anche l'aspetto ergonomico. Innanzitutto perché l'inchiostro elettronico funziona. Nelle ultime settimane ho provato il Kindle in vari ambienti e ho visto che i testi si leggono molto bene anche alla luce del sole. Anzi, questo sembra il loro ambiente naturale: in interni, i riflessi delle lampade creano problemi che negli schermi tradizionali, retroilluminati, non ci sono! Kindle e iPhone, da questo punto di vista, sono quasi complementari.
Per il resto, sul Kindle lo scorrimento delle pagine avviene in modo molto naturale. C'è un mezzo secondo di refresh dello schermo, quando si passa da una pagina all'altra e il testo si scompone e ricompone. Tuttavia questo ritardo non mi infastidisce molto: se fosse inferiore a un decimo di secondo, secondo le famose soglie di attenzione, sarebbe meglio... ma non è un tempo molto diverso da quello richiesto normalmente per voltare la pagina di un libro su carta. La barra di scorrimento permette di orientarsi senza troppi problemi anche nei testi lunghi, e i bottoni per andare avanti e indietro nel testo sono ben posizionati. Anche il peso dell'apparecchio è giusto: inferiore a quello di molti libri, perfettamente sostenibile con una mano sola - anche se poi premere i bottoni obbliga comunque a usare due mani.
Leggere un romanzo sul Kindle si è quindi rivelato facilissimo. Meno rosea, come previsto, la situazione per i saggi. Io l'ho provato con un'opera storica divulgativa, The White Mughals di William Dalrymple, e ho deciso immediatamente di non provare a vedere le note. I rinvii alla nota sono presentati come punti cliccabili del testo; per cliccarli, però, occorre spostare lì il puntatore, usando laboriosamente la minlevetta di comando in basso a destra. E compiere l'operazione non è per niente facile! Immagino che con la pratica le difficoltà si ridurranno, ma finora ogni volta mi sono trovato ad annaspare un po' in giro per la pagina e ad attivare funzioni non volute prima di riuscire a cliccare sulla nota.
D'altro canto, una volta vista la nota, tornare al testo richiede semplicemente un clic sul tasto "Back"... l'hardware dedicato rende l'esperienza molto più gradevole rispetto a quella di un browser.
In conclusione (provvisoria): i commenti del pubblico sembrano confermati. Su queste macchinette si leggono molto bene i testi narrativi, o comunque quelli in cui si può partire dall'inizio e arrivare in fondo senza tante deviazioni. I testi "professionali" sono molto meno maneggevoli - anche se per esempio, per facilitare compiti speciali, c'è una funzione dizionario, molto comoda, di cui ho già approfittato. Come è già capitato agli studenti di Princeton, lo studio su Kindle pare ancora una pratica molto scomoda.
Ci sarebbero poi molte cose da dire sul modello di commercializzazione dei libri proposto da Amazon. Però è interessante vedere anche l'aspetto ergonomico. Innanzitutto perché l'inchiostro elettronico funziona. Nelle ultime settimane ho provato il Kindle in vari ambienti e ho visto che i testi si leggono molto bene anche alla luce del sole. Anzi, questo sembra il loro ambiente naturale: in interni, i riflessi delle lampade creano problemi che negli schermi tradizionali, retroilluminati, non ci sono! Kindle e iPhone, da questo punto di vista, sono quasi complementari.
Per il resto, sul Kindle lo scorrimento delle pagine avviene in modo molto naturale. C'è un mezzo secondo di refresh dello schermo, quando si passa da una pagina all'altra e il testo si scompone e ricompone. Tuttavia questo ritardo non mi infastidisce molto: se fosse inferiore a un decimo di secondo, secondo le famose soglie di attenzione, sarebbe meglio... ma non è un tempo molto diverso da quello richiesto normalmente per voltare la pagina di un libro su carta. La barra di scorrimento permette di orientarsi senza troppi problemi anche nei testi lunghi, e i bottoni per andare avanti e indietro nel testo sono ben posizionati. Anche il peso dell'apparecchio è giusto: inferiore a quello di molti libri, perfettamente sostenibile con una mano sola - anche se poi premere i bottoni obbliga comunque a usare due mani.
Leggere un romanzo sul Kindle si è quindi rivelato facilissimo. Meno rosea, come previsto, la situazione per i saggi. Io l'ho provato con un'opera storica divulgativa, The White Mughals di William Dalrymple, e ho deciso immediatamente di non provare a vedere le note. I rinvii alla nota sono presentati come punti cliccabili del testo; per cliccarli, però, occorre spostare lì il puntatore, usando laboriosamente la minlevetta di comando in basso a destra. E compiere l'operazione non è per niente facile! Immagino che con la pratica le difficoltà si ridurranno, ma finora ogni volta mi sono trovato ad annaspare un po' in giro per la pagina e ad attivare funzioni non volute prima di riuscire a cliccare sulla nota.
D'altro canto, una volta vista la nota, tornare al testo richiede semplicemente un clic sul tasto "Back"... l'hardware dedicato rende l'esperienza molto più gradevole rispetto a quella di un browser.
In conclusione (provvisoria): i commenti del pubblico sembrano confermati. Su queste macchinette si leggono molto bene i testi narrativi, o comunque quelli in cui si può partire dall'inizio e arrivare in fondo senza tante deviazioni. I testi "professionali" sono molto meno maneggevoli - anche se per esempio, per facilitare compiti speciali, c'è una funzione dizionario, molto comoda, di cui ho già approfittato. Come è già capitato agli studenti di Princeton, lo studio su Kindle pare ancora una pratica molto scomoda.
sabato 13 marzo 2010
Letture ferroviarie
Oggi sono stato (toccata e fuga) a Bologna per contribuire di nuovo a una presentazione della scuola di traduzione per fumetti lanciata da Andrea Plazzi. Ne ho approfittato per mettere nello zaino un buon pacchetto di tesi, elaborati e compiti e correggerli lungo la strada: per la prima volta ho fatto la nuova linea ad alta velocità. E, da bravo bambino troppo cresciuto, devo dire che dà soddisfazione fare Firenze-Bologna in poco più di mezz'ora... Quasi tutta in galleria, con tre (?) improvvise emersioni all'aperto, in mezzo alla neve alta.
Anche a Bologna, del resto, c'era (c'è) ancora neve per le strade. Panino rapido allo studio RAM, presentazione, rientro sul treno. Addirittura in prima classe, visto che non c'era posto in seconda. Tra i compagni di viaggio, qualcuno sonnecchia, qualcuno guarda un film sul portatile, qualcuno legge un libro, una rivista o un giornale, o magari un fumetto, qualcuno armeggia con il telefono... Per chi studia il modo in cui la gente legge, il 2010 è un anno interessante!
Naturalmente, poi, l'etnologo non è in isolamento: ho notato un po' di occhiate incuriosite davanti al mio fascio di tesi e tesine, corrette piano piano a penna rossa. Avrei potuto perfino sfoggiare qualcosa di ancora più insolito, perché nello zaino avevo un Kindle da provare. Però, alla fine, il Kindle l'ho usato solo qualche minuto sul locale, in rientro: le correzioni hanno portato via quasi tutte le quattro ore di viaggio. Prima di scrivere qualcosa di sensato sull'apparecchietto, quindi, devo fare qualche altra prova. Neve, galleria, neve, galleria, galleria.... Si passa l'Appennino e si riemerge: in Mugello sembrava già di nuovo primavera.
Il Mahabharata
Il pomeriggio del rientro da Delhi sono andato in zona universitaria a cercar libri usati. Un grande vantaggio del mercato indiano è fatto dalle edizioni locali in inglese, a prezzi locali... resta sempre merce costosa per lo standard indiano, ma assai meno per quello europeo. Per esempio, un rilegato recente di narrativa tipo The White Tiger di Aravind Adiga, pubblicato da HarperCollins, nuovo, costa 395 rupie: poco più di 5 euro, e con l'usato il prezzo cala ancora.
Tra le cose che mi sono procurto c'è, per l'equivalente di 30 centesimi di euro, un adattamento inglese del Mahabharata realizzato negli anni Cinquanta. L'autore, Chakravarti Rajagopalachari, secondo la quarta di copertina era (non sorprendentemente) più conosciuto con le sue iniziali (C. R. o Rajaji); era anche un'importante figura politica, oltre che un collaboratore di Gandhi. La sua riduzione inglese si basa su una versione Tamil originale e non è fatta da una sola persona; va avanti per quattrocentoquaranta pagine ma è comunque drastica - per esempio, si limita a ricordare (p. 274) che a un certo punto Krishna fa la sua esortazione ad Arjuna, e si tratta del Bhagavad Gita. Punto! In compenso, ogni tanto ci sono commenti contemporanei sul confronto tra le guerre antiche e quelle moderne, sulla verosimiglianza dei conflitti epici (con frecce che vengono usate per costruire muraglie continue attorno ai guerrieri, in modo che i nemici non si possano avvicinare...), o sul confronto tra epica e cinema (come a p. 229), a favore naturalmente della prima.
Al di là di questo e al di là delle idiosincrasie dell'inglese di C. R. o dei suoi collaboratori, devo dire che la storia mi ha preso... per cui a un certo punto mi sono trovato a leggere di corsa le vicende dei Pandava e dei Kaurava, per vedere "come andava a finire". Come va a finire poi è ben noto: i due rami rivali di famiglia si sterminano a vicenda, e i sopravvissuti fanno penitenza per finire i propri giorni in santità.
Evidentemente non sono poi l'unico a sentire questo fascino, perché io ho la quaranticinquesima edizione, e oggi su Amazon è in vendita la quarantaseiesima. Però, effettivamente, anche un disincantato letterario come me rimane colpito dal fatto che una storia vecchia di duemilacinquecento anni, completamente folle secondo i canoni della ragionevolezza e della morale moderna, possa essere ancora interessante dopo essere passata attraverso tre lingue, tagli, aggiunte e condensazioni.
martedì 9 marzo 2010
De Mauro, La cultura degli italiani
Pochi mesi fa è uscita la versione aggiornata del libro-intervista di Francesco Erbani a Tullio De Mauro (Laterza, 2010). Il testo originale era uscito nel 2004; l'aggiornamento consiste in poco più di trenta pagine (233-266) che diventano il tredicesimo capitolo, "La cultura degli italiani, cinque anni dopo". Anche la sezione già pubblicata è, ovviamente, interessante; ma vale la pena dire qualcosa di più sulla sezione aggiunta
Sia nell'aggiornamento sia nel testo, De Mauro insiste molto sul concetto allargato, in senso antropologico, di cultura. Al di là della linguistica, e al di là anche del perimetro della scuola. La distanza tra l'Italia e altri paesi europei, vistosa per quanto riguarda alcune pratiche intellettuali (incluse la lettura e la scrittura), si riduce molto se si esaminano le cose da questo punto di vista - come del resto, a livello di aneddoto, capita a molti di verificare di persona. La rassegna che fa De Mauro, in rapporto a uno studio della Fondazione Mondo Digitale, include quindi tra le attività "culturali" da tener d'occhio non solo le visite ai musei o la capacità di suonare strumenti musicali, ma anche la cura di uno orto o giardino, la manutenzione di un'auto o di una bicicletta (p. 244), o più in generale il livello della cucina e dell'igiene. Di solito nei confronti internazionali si guarda solo una faccia della medaglia, e invece le facce sono diverse.
Su alcuni punti più specifici, dall'importanza dell'educazione degli adulti alla necessità di interventi pubblici, De Mauro dice cose che è difficile non condividere. Sulla percentuale di investimenti che è ragionevole dedicare alla formazione sarebbe stato utile, viceversa, entrare un po' più in dettaglio. Erbani, in una domanda, cita un'opinione di Ignazio Visco, secondo cui "un anno di istruzione in più per la media dei lavoratori comporterebbe un aumento del prodotto pro capite del 5 per cento" (p. 250). Possibile, ma occorrerebbe anche precisare che in una vita lavorativa media (diciamo quarant'anni?) un anno di lavoro in meno corrisponde a un 2,5% di lavoro in meno. Senza contare il fatto che, sì, per il singolo individuo l'aumento dell'istruzione può essere rilevante sul lungo periodo, ma l'investimento in uno o più anni di studio va fatto di solito in blocco - cioè, si ha una perdita sicura a fronte di un ritorno probabile ma non del tutto certo.
Considerazioni a raggio tanto largo hanno un interesse linguistico? Secondo De Mauro, senza dubbio: "Cercare di capire come si articola oggi la cultura degli italiani è, a mio avviso, un pezzo importante dell'analisi della lingua italiana d'oggi" (p. 260). Opinioni più specialistiche sono comunque dedicate alla diffusione della lingua comune, che può essere usata dal 90% della popolazione ("Una convergenza del genere non si era mai vista nella nostra storia": p. 261), senza per questo cancellare i dialetti.
Il libro e l'aggiornamento si chiudono, infine, con il problema dell'educazione linguistica: mettere il maggior numero possibile di persone in grado di usare l'italiano "a pieno regime", oggi, nel parlato e nello scritto, continua a essere un obiettivo fondamentale. E, aggiungo (io sono un po' di parte...), se si può avere qualche incertezza sull'utilità dell'educazione letteraria, o artistica, non penso si possano avere dubbi sull'importanza di un miglioramento delle capacità di lettura e scrittura. Fino almeno al superamento di una soglia critica, che per me si identifica con la capacità di scrivere una relazione chiara, leggibile e documentata su un argomento tecnico o specialistico.
lunedì 8 marzo 2010
Primi successi
D'accordo: sull'idealizzazione acritica dell'alfabetizzazione si può dire molto. In alcuni casi, può essere una buona idea, per una società, investire altre direzioni (magari nella fornitura di acqua potabile, o nella sicurezza). L'alfabetizzazione potrebbe anche non essere un valore in sé. Eccetera eccetera.
Però imparare a leggere e scrivere è comunque una soddisfazione. Per i figli e per i genitori... Anche quando il nome ancora non è scritto bene!
venerdì 5 marzo 2010
Puffavatar
Oggi ho iniziato anche il corso di Linguaggio del web (per ora, solo il venerdì, ma più avanti passeremo a due lezioni settimanali). Rispetto agli anni scorsi, il tema stavolta è più di confine, dal punto di vista della linguistica: il remix in quanto attività "tipica" (si dice) della cultura digitale. Se tutto va secondo il programma arriveremo a inquadrare i meccanismi del remix dopo aver parlato di originalità e riuso nel linguaggio, diritto d'autore, storia della proprietà intellettuale e argomenti collegati.
Eterea discussione teorica? Per partire con il piede giusto, senza sopravvalutare le potenzialità del remix, ho proiettato qualche video da YouTube. Una selezione di parodie con Hitler riprese dalla Caduta, per esempio; ma anche un paio di cose molto divertenti del Nido del Cuculo. La più presentabile, tanto per dare un'idea, era questa:
E questo è ancora niente. A metà lezione c'era l'ascolto di due minuti di Emilia paranoica (remiscelata), direttamente da Affinità - divergenze fra il compagno Togliatti e noi. Sì, i saggi di Lessig che andremo a leggere più avanti presentano un'argomentazione un po' più articolata, ma come genialità pura, difficile fare di meglio...
Eterea discussione teorica? Per partire con il piede giusto, senza sopravvalutare le potenzialità del remix, ho proiettato qualche video da YouTube. Una selezione di parodie con Hitler riprese dalla Caduta, per esempio; ma anche un paio di cose molto divertenti del Nido del Cuculo. La più presentabile, tanto per dare un'idea, era questa:
E questo è ancora niente. A metà lezione c'era l'ascolto di due minuti di Emilia paranoica (remiscelata), direttamente da Affinità - divergenze fra il compagno Togliatti e noi. Sì, i saggi di Lessig che andremo a leggere più avanti presentano un'argomentazione un po' più articolata, ma come genialità pura, difficile fare di meglio...
martedì 2 marzo 2010
Leggere nel futuro
Sul numero 55 (gennaio 2010, pp. 60-63) di Persone e conoscenze, rivista diretta da Francesco Varanini, è uscito un mio breve articolo intitolato Leggere nel futuro. In linea al momento è disponibile solo un sommario del fascicolo, ma comunque il testo è dedicato in sostanza alle ultime novità in tema di e-book e ai possibili sviluppi.
Tra gli argomenti citati nella rapida carrellata: David Allen e il suo Getting things done (libro che ho citato anche nella lezione di ieri), Adam Greenfield e il suo Everyware, i Kindle e, per finire, le descrizioni di interfacce future fatte da Ian McDonald in River of gods. Più qualche proposta su che cosa sarebbe bello avere nell'ufficio di domandi. Il pezzo è stato scritto prima della presentazione dell'iPad, ma spero che rimanga d'attualità almeno fino al momento in cui il nuovo gadget sarà davvero disponibile sul mercato!