lunedì 7 giugno 2010

La forma delle parole


Nei miei corsi mi trovo spesso a presentare una contrapposizione: da un lato il modo in cui noi immaginiamo di leggere, dall'altro il modo in cui leggiamo davvero.

In sostanza, spesso noi crediamo che la nostra lettura funzioni decifrando una lettera dopo l'altra. Incontriamo una lettera, la "leggiamo", la mettiamo in memoria e passiamo alla successiva. Tot lettere formano una parola, e così via.

I meccanismi mentali reali, invece, sono molto più complessi. Io li presento in forma molto semplificata, accennando al fatto che il cervello lavora su molti binari contemporaneamente - per esempio, tenendo in considerazione il senso della frase fino a quel punto per fare ipotesi ragionevoli su come deve continuare la parola, e così via.

Ma in che modo funzionano, questi meccanismi, in dettaglio? Qui le cose si fanno più vaghe e l'informazione spesso contraddittoria. Facendo i controlli di contesto sul solito Space between words ho trovato un interessante articolo di Kevin Larson: The Science of Word Recognition, or, how I learned to stop worrying and love the bouma. L'articolo fa parte dei lavori del gruppo di ricerca Microsoft sulla "tipografia" (cioè, in sostanza, sulla presentazione dei testi dal punto di vista del carattere), ed è una critica decisa delle informazioni fornite da Saenger sul modo di riconoscimento delle parole.

Larson dichiara innanzitutto che leggendo Saenger, "I learned to my chagrin that we recognize words from their word shape and that “Modern psychologists call this image the ‘Bouma shape’”". La ricostruzione non è del tutto corretta: il virgolettato nel virgolettato viene sì dal libro di Saenger (p. 19), ma lì non si dice affatto che i normali lettori riconoscono le parole in base alla loro forma! Saenger in effetti si limita a ricordare che "the student of the history of reading in the medieval West is primarily concerned with the evolution of word shape" (p. 18); anche in altri punti del libro cita la "Bouma shape" delle parole, ma, mi sembra, senza mai dire che questo è l'unico (o anche solo il principale) strumento che il lettore usa per riconoscere le parole. Cosa che corrisponde all'esperienza quotidiana: chi mai può sostenere che basti vedere per esempio questa forma:

... per ricondurla alla parola shape? (Per inciso, sia questa immagine sia quella presentata a inizio post vengono dall'articolo di Larson).

Detto questo, non c'è dubbio che un'ampia tradizione di ricerca e insegnamento (in cui mi inserisco anch'io) abbia dato molta importanza alla "forma" delle parole. Il discorso di Larson si fa più interessante quando va proprio contro questa tradizione, che ha diversi punti di forza. Quelli che cito spesso anch'io, e che sono confermati da molti studi, sono:

1. la maggiore velocità di lettura permessa dal testo in minuscole rispetto al testo in tutto maiuscole;

2. la difficoltà di individuare gli errori di battitura, soprattutto se compatibili con la forma "corretta" della parola (per esempio, crlpa invece di colpa - mentre è più facile individuare cqlpa).

Al primo punto, Larson risponde che:

This is entirely a practice effect. Most readers spend the bulk of their time reading lowercase text and are therefore more proficient at it. When readers are forced to read large quantities of uppercase text, their reading speed will eventually increase to the rate of lowercase text. Even text oriented as if you were seeing it in a mirror will quickly increase in reading speed with practice (Kolers & Perkins, 1975).

L'articolo di Kolers e Perkins cui si fa riferimento è questo, e spero di leggermelo presto (e, perché no, di controllare i risultati).

Al secondo punto, Larson risponde indicando un errore di metodo in uno degli studi più importanti e citati sull'argomento, e indicando uno studio successivo più accurato:

Haber & Schindler (1981) found that readers were twice as likely to fail to notice a misspelling in a proofreading task when the misspelling was consistent with word shape (tesf, 13% missed) than when it is inconsistent with word shape (tesc, 7% missed). This is seemingly a convincing result until you realize that word shape and letter shape are confounded. The study compared errors that were consistent both in word and letter shape to errors that are inconsistent both in word and letter shape. Paap, Newsome, & Noel (1984) determined the relative contribution of word shape and letter shape and found that the entire effect is driven by letter shape.

Anche qui, spero di poter leggere la bibliografia in tempi brevi!

Certo, dal punto di vista delle indicazioni pratiche da fornire nei corsi di scrittura, la sintesi di Larson, anche se fosse corretta, sposterebbe ben poco: il testo in minuscole rimane più leggibile di quello in maiuscole, per i normali lettori occidentali. Mi chiedo però se dalla pari leggibilità potenziale del minuscolo e del maiuscolo non si possa ricavare qualche meccanismo pratico interessante! Ammesso che sia vera, è ovvio.

In ogni caso, a parte la critica delle posizioni altrui, è interessante chiedersi come funzioni davvero la lettura. Larson sposa il modello della "parallel letter recognition": non l'ho ancora capito a sufficienza da poter dire quanto assomiglia ai modelli un po' generici che spesso usano i linguisti (tipo me...) e che sembrano piuttosto robusti dal punto di vista pratico. Tuttavia, sono sicuro che anche da questa angolazione possano venire fuori ispirazioni interessanti.

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