venerdì 28 dicembre 2018

Ristampato Lingue e intelligenza artificiale

  
 
Mirko Tavosanis, Lingue e intelligenza artificiale
A meno di un anno dall’uscita, il mio libro su Lingue e intelligenza artificiale è stato ristampato da Carocci. Mi sembra un ottimo risultato... e un buon modo per finire il 2018!
 
Il libro può essere ordinato senza problemi anche su Amazon.
 

martedì 4 dicembre 2018

La metropolitana di Città del Messico

 

Le metropolitane mi piacciono. Non quanto i treni regolari, naturalmente, ma molto più degli autobus e quasi quanto i tram.
 
Nel mio viaggio nelle Americhe ho potuto usare anche la metropolitana di Città del Messico. Efficiente, molto economica e, direi, ragionevolmente sicura: quel che può succedere dopo l’uscita dalla stazione è un’altra cosa, ed essendo ospite io ho limitato le mie esplorazioni. Quando la metropolitana non poteva portarmi vicino alla destinazione, ho usato Uber. I costi sono ragionevoli e la sicurezza molto maggiore, a quel che mi dicono i residenti, rispetto a quella dei taxi normali. In più, apparentemente, ogni volta che lo si usa qualche fondo sovrano di paesi produttori di petrolio perde soldi, il che non è un male.
 
All’interno della metropolitana ci sono diverse cose che mi sono piaciute molto. Per esempio, alla stazione La Raza, un lungo passaggio di collegamento tra la linea 3 e la linea 5 porta alle pareti pannelli divulgativi sulla teoria dell’evoluzione e foto astronomiche. Una parte del percorso è addirittura oscurata per dare l’impressione di un cielo notturno illuminato da stelle sul soffitto... purtroppo nella foto si vede ben poco!

Tuttavia, una delle cose più interessanti è il sistema di indicazione delle stazioni, che affianca scritte e pittogrammi. Anzi, i pittogrammi sono l’elemento più visibile del sistema, e sono un esempio di design ben conosciuto nel mondo: una mia amica me ne aveva parlato già prima del viaggio, e io ero molto curioso di vederlo in pratica.
 
Il sistema nasce da un’idea consapevole, pensata in altri tempi. La realizzazione delle prime linee della Metropolitana è di poco posteriore alle Olimpiadi del 1968, e a occuparsi della segnaletica venne chiamato un designer statunitense che aveva già lavorato appunto all’evento olimpico: Lance Wyman. L’idea (anche se trovo poca documentazione d’epoca su questa scelta) era quella di venire incontro ai passeggeri analfabeti, visto che all’epoca il tasso di analfabetismo in Messico era altissimo. Molti dei pittogrammi sono di alta qualità.
 
Naturalmente, il sistema ha gli svantaggi dei sistemi pittografici. Se l’immagine stilizzata di una raffineria si fa ricondurre senza difficoltà alla stazione Refinería, è molto difficile per lo straniero, e forse anche per molti residenti, ricostruire il passaggio da un cappello militare ottocentesco al nome della stazione Niños héroes. E così via. Insomma, se si conosce il nome del posto in cui si vuole andare, non sempre i pittogrammi in sé offrono un’indicazione, in mancanza di informazioni di contesto.
 
Il problema è complicato dal fatto che le indicazioni alfabetiche sono decisamente poco leggibili! Soprattutto per le dimensioni dei caratteri, veramente minuscoli, per esempio, nelle indicazioni sulle linee all’interno dei vagoni:


Un po’, però, la scarsa leggibilità sembra dovuta anche al disegno. I caratteri usati sembrano infatti un adattamento spinto del carattere Eurostile disegnato da Aldo Novarese. Il risultato ha caratteristiche molto messicane – le forme quadrate e arrotondate richiamano bene la scrittura maya – e a me piacciono! Però è molto difficile da leggere. Non solo viene usato il tutto maiuscole, il che è un problema di per sé, ma il disegnatore ha cercato di dare a tutti i caratteri (più o meno) lo stesso spazio e forma quadrata, rendendoli poco distinguibili. Il risultato per me è stato veramente difficile da decifrare, anche da ridotta distanza, nei vagoni affollati. Oggi che anche in Messico la stragrande maggioranza della popolazione sa leggere e scrivere, sarebbe importante tenere conto del fatto e intervenire sul carattere (senza magari scordarsi del sistema dei pittogrammi).

Poi a fine viaggio si esce sulla grande piazza dello Zocalo, con i suoi spettacoli per turisti, e si passa a pensare ad altro.


 

giovedì 22 novembre 2018

Roy e Tavosanis, Errori, sequenze e interferenze nell’apprendimento dell’italiano in India

  
 
Logo AATI
Dopo Il focalizzatore anche nei testi scritti di studenti con lingue indoarie come L1, è uscita una mia nuova pubblicazione scritta assieme a Tanya Roy dell’Università di Delhi. In questo caso il lavoro è dedicato a Errori, sequenze e interferenze nell’apprendimento dell’italiano in India, e tratta di diverse esperienze di didattica di base.
 
Il testo è stato presentato come contributo al convegno dell’American Association of Teachers of Italian tenuto nel 2017 a Palermo, ed è ora comparso tra i Working Papers dell’AATI. Al suo interno sono descritte soprattutto le interessantissime esperienze didattiche di Tanya Roy con gli studenti del corso di laurea in Italiano dell’Università di Delhi: anche le caratteristiche del corso di laurea sono presentate in dettaglio. Il mio contributo è legato invece a esercizi del terzo semestre relativi all’apprendimento dell’uso dell’articolo e alle procedure didattiche e di correzione adottate; le difficoltà con l’articolo sono però inserite nel contesto dei dati ricavabili dal Corpus ICoN.
 
 
Tanya Roy e Mirko Tavosanis, Errori, sequenze e interferenze nell’apprendimento dell’italiano in India , in Proceedings of the AATI Conference in Palermo [Italy], June 28-July 1, 2017, Section Pedagogy, AATI Online Working Papers, ISSN 2475-5427, pp. 1-16.
 

venerdì 16 novembre 2018

Appuntamenti a Milano e Conegliano

  
 
Il Frecciarossa 1000 per Venezia alla stazione di Firenze SMN
Sono su un Frecciarossa 1000, in viaggio da Firenze a Venezia. Spostamento necessario per la prima parte di un fine settimana di attività… su due temi molto diversi fra di loro.
 
Oggi e domani, a Conegliano Veneto, terrò due presentazioni dal titolo Anche le macchine parlano l’italiano. Lingua italiana ed intelligenza artificiale all’interno del ciclo di incontri Scrivere = pensare organizzato dalla Fondazione Artistica di Treviso. Sede delle presentazioni sarà l’Aula magna del Liceo Marconi, in via Martiri Cecoslovacchi. Gli orari previsti sono le 20:30 per venerdì 16 novembre 2018 e le 11, con possibile ripetizione alle 12, per sabato 17 novembre 2018 (evento dedicato alle scuole). Gli argomenti di cui parlerò, naturalmente, saranno collegati a quanto ho scritto nel mio Lingue e intelligenza artificiale.
 
Domenica 18 sarò invece a Milano per partecipare, all’interno di Bookcity, a un dialogo con lo scrittore Stefano Piedimonte. Il dialogo sarà dedicato al tema La grande verità delle fake news. Uno scrittore spiantato alle prese con Wikipedia: Internet ha ragione, è la realtà che ha torto (Sala convegni della Borsa di Milano, ore 14:30), e la storia sta a monte dell’evento è abbastanza curiosa. Uno studente di uno dei miei Laboratori di scrittura ha infatti contattato tempo fa Stefano Piedimonte per scrivere una voce di Wikipedia su di lui. La voce, dopo diverse vicissitudini, è adesso in linea; Piedimonte, però, è partito da questa esperienza per ricavarne, con qualche aggiustamento narrativo, anche la trama del suo ultimo romanzo, L’uomo senza profilo (Milano, Solferino, 2018). Il dialogo promette di essere molto interessante!
 
E poi, in ogni caso, essere su un treno per me è sempre un piacere. Anche quando nel vagone 5 ci sono no uno, ma due bambini al di sotto dell’anno di età...
 

martedì 13 novembre 2018

Settimane lunghe


 
Mercoledì scorso sono rientrato in Italia dopo una lunghissima Settimana della lingua italiana nel mondo. Tanto lunga che è stato praticamente un mese…
 
Giusto per ricapitolare. In questo periodo ho tenuto due corsi di aggiornamento docenti dedicati allo Scrivere per la rete – in cui ho parlato in particolare della scrittura su Wikipedia in lingua italiana. I corsi si sono svolti presso gli Istituti italiani di cultura di Città del Messico (16-17 ottobre) e di Città del Guatemala (23 e 24 ottobre).
 
Soprattutto, però, ho fatto conferenze. Per la precisione: 

Nell’assieme, un’esperienza notevole! Ringrazio tutti gli organizzatori che mi hanno invitato: in particolare, il Direttore Marco Marica dell’IIC di Città del Messico, il dottor Matteo Cattaneo dell’IIC di Città del Guatemala, la professoressa Francesca Bagaggia dell’Università di Innsbruck, il Direttore Gianni Vinciguerra dell’IIC di Istanbul. Un ringraziamento particolare va anche al gruppo di simpaticissime docenti della Facoltà di lingue della Benemerita Università Autonoma di Puebla, e a tutte le persone che con il loro lavoro hanno reso possibile questo tour de force. Per me è stata una splendida occasione di parlare di argomenti che mi stanno molto a cuore – e di insistere sulle grandi opportunità che, credo, l’italiano nel mondo avrà di fronte nei prossimi decenni.
 

sabato 27 ottobre 2018

Tavosanis, Italiano, dialetti, inglese… Il lessico e il cambiamento linguistico

  
 
L'italiano e la rete, le reti per l'italiano
Durante l’ultima Settimana della lingua italiana, come da tradizione, l’Accademia della Crusca ha pubblicato un libro nella collana “La lingua italiana nel mondo”. Il libro ha lo stesso titolo della Settimana, cioè L’italiano e la rete, le reti per l’italiano, ed è stato ottimamente curato da Giuseppe Patota e Fabio Rossi. I contenuti sono formati da una raccolta di contributi sulla lingua della comunicazione in rete, e tra questi ce n’è anche uno mio, intitolato Italiano, dialetti, inglese… il lessico e il cambiamento linguistico.
 
All’interno del mio contributo, la questione è affrontata in prospettiva ampia. Le parole entrate nel lessico italiano in tempi recenti, in collegamento a volte diretto a volte indiretto con la comunicazione in rete, sono viste nel contesto del cambiamento linguistico in generale. La mia analisi è piuttosto conservativa: le novità sono piuttosto limitate e si concentrano in alcuni generi testuali e in alcune tipologie di parole. Inoltre, proprio per loro stessa natura, molte di queste novità hanno natura effimera ed è quindi difficile pensare che portino a effetti significativi sull’italiano. Perfino la pressione dell’inglese, che è molto forte, potrebbe interrompersi prima di quanto pensiamo, per ragioni politiche o tecnologiche – in particolare, come ripeto spesso, in rapporto alla diffusione della traduzione automatica.
 
Il libro contiene poi molti altri contributi interessanti. Per esempio, Elena Pistolesi e Giuliana Fiorentino affrontano, da prospettive diverse, il rapporto tra la della comunicazione in rete e il dialogo. Rita Fresu descrive invece, sulla traccia di molti suoi contributi recenti, il modo in cui il tradizionale concetto di “semicolti” deve essere modificato alla luce della situazione comunicativa contemporanea.
 
Nel complesso, una lettura consigliatissima e un’importante aggiunta alla bibliografia italiana sull’argomento.
 
Mirko Tavosanis, Italiano, dialetti, inglese… il lessico e il cambiamento linguistico , in L’italiano e la rete, le reti per l’italiano, a cura di Giuseppe Patota e Fabio Rossi, Firenze, Accademia della Crusca e goWare, 2018, pp. 35-48, ISBN 978-88-3363-077-9. Il libro può essere acquistato in vari formati dal sito di goWare, che l’ha reso gratuitamente disponibile durante la Settimana della lingua italiana nel mondo, oppure da altre piattaforme di vendita di e-book, ed è disponibile anche in versione su carta; la lunghezza complessiva del libro è di 174 pagine.
 

mercoledì 24 ottobre 2018

¡Que viva México!

  
 
Per le strade di Puebla
Ora sono in Guatemala, ma la scorsa settimana ero in Messico per la Settimana della lingua italiana nel mondo. Gentilmente invitato dal direttore dell’Istituto italiano di cultura di Città del Messico, Marco Marica, ho avuto l’opportunità di tenere lì un corso di aggiornamento per docenti in cui ho parlato soprattutto di Wikipedia per l’insegnamento della scrittura, anche a non madrelingua. Ho anche fatto qualche dimostrazione di uso della traduzione automatica e uso di Google Home, in rapporto ai miei più recenti interessi di ricerca.
 
Vale la pena ricordare che questo taglio è stato reso possibile dal fatto che il tema della Settimana della lingua italiana nel mondo era “L’italiano e la rete, le reti per l’italiano”. Ma su questo, dirò qualcosa di più nel prossimo post!
 
In linea con il programma, ho poi tenuto conferenze sul lessico dell’italiano nell’epoca delle reti sociali. La prima conferenza si è svolta a Città del Messico il 18, la seconda a Puebla, all’inizio del convegno sull’insegnamento dell’italiano organizzato dalla Benemerita Università Autonoma di Puebla (BUAP).

Il Tempio del Sole a Teotihuacán

 
In entrambi i casi, l’ospitalità è stata calorosa. Ne ho anche approfittato per vedere alcuni tra i luoghi più celebri delle due città. A Città del Messico, lo Zocalo, gli scavi del Templo Mayor e il Museo di Antropologia, oltre alle case di Frida Kahlo e Leon Trotsky a pochi passi dalla sede dell’istituto italiano di cultura, a Coyoacán. A Puebla, il centro storico, patrimonio Unesco, e la piramide di Cholula. In più, all’arrivo sono andato alle rovine di Teotihuacán. Un’esperienza istruttiva a tantissimi livelli – e resa possibile dall’entusiasmo di tutte le persone coinvolte nel lavoro. A tutte loro vanno i miei sentitissimi ringraziamenti!
 

giovedì 11 ottobre 2018

Da HAL all'assistente vocale

  
 
Da HAL all'assistente vocale
Negli ultimi mesi sono stato impegnatissimo a preparare una serie di eventi e presentazioni che andranno avanti fino al 18 novembre. Più che altro si tratta di eventi collegati alla Settimana della lingua italiana nel mondo… ma si inizia domani, venerdì 12 ottobre, quando dalle 15 alle 18, all’interno dell’Internet Festival di Pisa si svolgerà l’evento Da HAL all'assistente vocale. L'evento si svolgerà presso il Museo degli strumenti per il calcolo (Vecchi Macelli), Palazzina A1. Ecco il programma!
 
Moderatore: Gianni Del Vecchio (Huffington Post)
 
Introduzione – Mirko Tavosanis (Università di Pisa): ore 15
 
15:10-15:30 – Franco Cutugno (Università di Napoli) - Interazione Naturale Multimodale: uomini e avatar che dialogano in ambienti virtuali tridimensionali
 
15:30-15:50 – Roberto Basili (Università di Roma "Tor Vergata") - Linguaggio naturale, apprendimento nelle macchine e robotica
 
15:50-16:10 – Maria Palmerini (Cedat85, Roma) - Il riconoscimento del parlato: applicazioni, criticità e pregiudizi
 
16:10-17:00 – Tavola rotonda. Relatori e relatrici: Franco Cutugno, Mirko Tavosanis, Roberto Basili, Maria Palmerini, Roberto Pieraccini, Carlo Aliprandi
 
17:00-18:00 – Demo della Guida Museo con Google Home
 

martedì 11 settembre 2018

Roy e Tavosanis, Il focalizzatore anche nei testi scritti di studenti con lingue indoarie come L1

  
 
Le lingue extra-europee e l'italiano
Ho appena ricevuto la copia digitale di una mia nuova pubblicazione: un contributo scritto assieme a Tanya Roy dell’Università di Delhi e dedicato al focalizzatore anche nei testi scritti di studenti indiani di italiano. Il testo è stato presentato come contributo al convegno SLI dell’anno scorso, e gli atti del convegno, con encomiabile rapidità, sono usciti in tempo per il convegno SLI di quest’anno.
 
L’uso anche sembra una banalità. Tuttavia, la frequenza della parola in italiano fa sì che gli errori d’impiego siano ben evidenti – e complessità dei vincoli sul suo uso fa sì che si mantengano anche nello scritto e nel parlato di apprendenti molto avanzati. Capita quindi di frequente di sentire frasi tipo “Anche ho visitato Venezia” al posto di “Ho visitato anche Venezia”, e così via. Su questo argomento, da vent’anni sono punto di riferimento essenziale gli studi di Cecilia Andorno.
 
Il contributo descritto qui prende invece in esame una serie di esempi ricavati dagli scritti di studenti di corsi di italiano dell’Istituto Italiano di Cultura di Delhi. Gli esempi mostrano una distribuzione di errori complessa, ma probabilmente classificabile in tre fasi:

  • Fase iniziale: uso di anche basato sul modello di parole grosso modo equivalenti in altre lingue, tipo l’inglese also e l’hindi भी, e quindi molto esposto all’interferenza. 
  • Fase avanzata: uso di anche basato sulla ricostruzione incompleta delle regole d’uso italiane, e quindi esposto più ai fenomeni di interlingua che all’interferenza. 
  • Fase finale: uso di anche a livello madrelingua.
 
Vale la pena di dire che la valutazione dell’interferenza è più difficile in questo che in altri contesti. Gli studenti indiani spesso infatti studiano l’italiano come terza, quarta o quinta lingua; per esempio, uno studente dell’area di Delhi potrebbe avere il punjabi come lingua materna, l’hindi e l’inglese come lingue studiate a scuola e di ampio uso, e magari la conoscenza di un’altra lingua europea come il francese. In una situazione del genere, non è immediatamente chiaro quale sia la lingua che esercita interferenza: occorre fare confronti con tutte per capirlo. Il metodo adottato nel contributo è stato quello di chiedere agli studenti di “tradurre” a posteriori nelle altre lingue a loro note le frasi che avevano prodotto in italiano. Sono venute fuori quindi corrispondenze come:
 

  • Anche io ho insegnato dei studenti africani.
  • Also I have taught African students.
  • म ने कुछ अ रीकी छा र को पढ़ाया भी है.
 
Vale la pena precisare che io non parlo hindi, punjabi o bengalese (per ora, sono in grado solo di leggere l’alfabeto devanagari e di capire qualche parola), quindi, mentre in altre sezioni il lavoro è stato condiviso, le corrispondenze con queste lingue sono state studiate solo da Tanya Roy.

In ogni caso, un problema che vale la pena approfondire… e con cui spero di tornare a lavorare presto, con un po’ di fortuna, con gli studenti di Delhi.
 
Tanya Roy e Mirko Tavosanis, Il focalizzatore anche nei testi scritti di studenti con lingue indoarie come L1, in Alberto Manco (a cura di), Le lingue extra-europee e l’italiano: aspetti didattico-acquisizionali e sociolinguistici. Atti del LI Congresso Internazionale di Studi della Società di Linguistica Italiana (Napoli, 28-30 settembre 2017), Milano, Officina21, 2018, pp. 357, pp. 323-338, prezzo n. d., ISBN edizione cartacea: 978-88-97657-25-5, ISBN edizione digitale: 978-88-97657-24-8; copia ricevuta dal curatore.
 

mercoledì 27 giugno 2018

Varoufakis, Adults in the Room

  
 
Yanis Varoufakis, Adults in the Room
Uno dei motivi per cui i libri hanno un ruolo difficile da sostituire è la presentazione di situazioni complesse, in cui anche i dettagli di quanto accade nelle fasi precedenti contribuiscono a spiegare gli esiti delle fasi successive. Adults in the Room racconta appunto una storia complessa e che si vede meglio in retrospettiva, quando le cose si sono chiarite. Al tempo stesso, la storia è relativamente compatta, perché descrive soprattutto il periodo di Yanis Varoufakis come ministro delle finanze del primo governo Tsipras, in Grecia, dal 28 gennaio al 6 luglio 2015: un momento chiave nella politica europea contemporanea.
 
Le Storie di Erodoto cominciano nel mezzo delle cose, in un modo che le convenzioni di scrittura dei millenni successivi hanno abbandonato ma che a me è sempre piaciuto: “Περσέων μέν νυν οἱ λόγιοι Φοίνικας αἰτίους φασὶ γενέσθαι τῆς διαφορῆς”, “I saggi persiani dicono che causa della discordia sono stati i fenici”. Allo stesso modo, dice Varoufakis(pp. 23-27), alla base della crisi greca degli ultimi anni si trova una serie di prestiti concessi da banche francesi e tedesche al governo greco. Nel 2009, con la crisi globale, il governo greco si rivelò incapace di rimborsare i prestiti. La prima preoccupazione delle istituzioni europee fu allora di impedire l’azione più ragionevole, che sarebbe stata inevitabile in altre circostanze, cioè la dichiarazione di fallimento da parte della Grecia. Il fallimento avrebbe infatti comportato il mancato rimborso dei prestiti e ciò avrebbe a sua volta mandato in crisi le sovraesposte banche dell’Europa settentrionale. L’obiettivo europeo venne raggiunto con il classico giochino del “privatizzare i profitti, socializzare le perdite”: alla Grecia fu impedito di dichiarare il fallimento. Le istituzioni europee fornirono invece al paese, a condizioni capestro, un prestito con cui rimborsare le banche. Con questo piano, presentato come un generoso “salvataggio” (bailout), il carico venne spostato dalle spalle delle banche su quelle dei contribuenti europei e alla Grecia fu imposto un debito impossibile da ripagare. Il tutto, in violazione di diverse regole, fu gestito all’epoca da Nicholas Sarkozy in Francia, da Angela Merkel in Germania e da Dominic Strauss-Khan al FMI.
 
Con il bailout, i banchieri francesi e tedeschi, incapaci ma politicamente importanti, sono stati tirati fuori dal guaio in cui si erano cacciati da soli – o tutt’al più con l’aiuto dei governi greci di centrodestra, che per anni avevano truccato i conti (Varoufakis fa notare che anche l’Italia e la Germania hanno fatto la stessa cosa, solo che in quei casi il giochino non è uscito allo scoperto; sospetto però che nel caso greco i trucchi siano stati decisamente più numerosi).
 
Salvate le banche, la scelta fondamentale della troika è stata quella di non mettere in piedi nessun piano ragionevole di uscita della Grecia dalla crisi attraverso una rinegoziazione o cancellazione del debito. Alla Grecia sono stati invece concessi in più occasioni prestiti che hanno evitato la chiusura delle banche e l’uscita dall’euro ma che erano legati a condizioni capestro di austerità e di interventi sulle fasce più deboli della popolazione. Questo a sua volta – com’è ovvio – ha creato un circolo vizioso, devastando ulteriormente l’economia greca e rendendo sempre più difficile rimborsare i debiti. Varoufakis ha buon gioco a far notare, per esempio, che in un momento in cui una delle poche fonti di reddito per il paese era l’industria del turismo, le misure di austerità richiedevano di far pagare un’IVA del 23% ai turisti delle località greche collocate di fronte a corrispondenti località turche in cui l’IVA era del 7% (p. 437).
 
In questo contesto, Varoufakis descrive in modo molto chiaro il suo progetto come ministro delle finanze del governo di Syriza: rinegoziare il debito, cancellandone una parte o spostandone il rimborso a un futuro indefinito. In caso di rifiuto, la strategia obbligata per la Grecia sarebbe stata quella di uscire dall’euro. Che, dice Varoufakis a scanso di equivoci, per la Grecia sarebbe stata un disastro economico, ma meno grave delle assurde politiche di “rimborso” e austerità ancora in vigore.
 
Per spingere i creditori europei in questa direzione, Varoufakis contava da un lato sull’ovvia razionalità economica della proposta, dall’altro sul deterrente di cancellare unilateralmente una piccola parte di debito greco, quella dovuta alla Banca centrale europea. Quest’ultimo sarebbe stato un passo minimo dal punto di vista delle somme coinvolte, ma avrebbe reso legalmente impossibile la prosecuzione della fondamentale politica di Quantitative Easing della Banca centrale europea (pp. 93-94).
 
Il deterrente mi sembra meno credibile di quanto descritto nel libro, ma il resto delle idee di Varoufakis mi sembra assolutamente ragionevole. Si può discutere se il loro propugnatore le abbia sapute difendere bene nei negoziati, ma questa è una faccenda complessa e in cui è difficile dimostrare qualcosa… A occhio, dati gli interessi in gioco, nessun negoziatore greco sarebbe riuscito a cambiare ciò che i creditori volevano. Comunque, alla fine, l’esito è quello noto: il governo greco presieduto da Tsipras si è un po’ alla volta allineato alle richieste degli interlocutori europei, fino al punto di ignorare clamorosamente il risultato del referendum popolare del 5 luglio 2015. Scelta che provocò le dimissioni immediate di Varoufakis dal governo.
 
La testimonianza fornita in questo libro è eccezionale, anche perché viola le regole non scritte di riservatezza che gli addetti ai lavori si danno di solito (Varoufakis insiste molto sul suo profilo da outsider, in un contesto in cui tutti cercano di essere insider e parte di una rete intricata di rapporti tra persone “che contano”). L’affidabilità è difficile da valutare, ma mi sembra piuttosto alta. Il che rende interessante la descrizione dell’esplicito disdegno “that bordered on contempt” delle élite nei confronti della sovranità popolare. Su questo Varoufakis cita per esempio Pier Carlo Padoan, che avrebbe chiesto retoricamente come il governo greco poteva aspettarsi che “la gente comune” (“normal people”, p. 447) comprendesse complessi problemi economici. La risposta che Varoufakis dichiara di aver dato in questa occasione dovrebbe essere quella di qualunque sistema democratico:
 
“We are strong believers in the capacity of the people, of voters, to be active citizens,” I replied. “And to make a considered analysis and take decisions responsibly concerning the future of their country. This is what democracy is all about” (p. 447).
 
Ovviamente, il richiamo alla cittadinanza attiva è l’antitesi sia dell’elitismo sia del populismo – e la giusta strada da percorrere. Soprattutto perché, come anche Varoufakis mostra (e le mie esperienze personali confermano), le supposte élite sono assai meno competenti di quel che vogliono far credere, o credono. L’antagonista principale della storia, il tedesco Wolfgang Schäuble, viene per esempio descritto in questi termini in un rapporto attribuito a Glenn Kim:
 
His command of economics is quite weak. I can recall on more than one occasion him mixing up yields and prices and making references to financials without understanding what they mean. Absolutely hates the markets. Thinks that makets should be controlled by technocrats (p. 210).
 
Lato mio, sono molto interessanti anche i dettagli su come si svolge in questi ambienti il lavoro intellettuale. Come per esempio la descrizione di questo momento, nell’aprile 2015:
 
That night I worked for hours with Spyros Sagia, preparing the legal argument that I would present to Christine Lagarde. Spyros was scribbling in Greek in a legal notebook; I was typing into my laptop, the two of us managing little by little to produce Greek- and English-language versions of our official letter to the IMF managing director (p. 356).
 
Ma in generale, il centro di interesse del libro è una lotta contro persone che avevano un solo obiettivo: fare della Grecia un esempio per i governi europei recalcitranti. Obiettivo collegato al desiderio non solo di mantenere un saldo controllo tedesco sull’economia europea, ma anche di imporre specifiche politiche sul mercato del lavoro (come nel caso del “Jobs Act” del governo Renzi: p. 200), con l’ideale di portare, prima o poi, “la troika anche a Parigi”. Alla base di tutto c’è poi il terrore dei politici tedeschi di presentarsi come deboli di fronte ai propri elettori… E in un contesto simile, i tentativi di Varoufakis di proporre soluzioni economicamente ragionevoli e rispettose dei cittadini erano destinati alla sconfitta (queste sono anche le conclusioni presentate da Adam Tooze in un’importante recensione al libro). La sua testimonianza resta però fondamentale per capire quanto nell’Europa di oggi la democrazia e lo sviluppo economico siano minacciati dal populismo da una parte, dalla tecnocrazia dall’altra. La sfida non è facile, ma di sicuro avere più informazioni sulla situazione aiuterà a gestire questi tempi difficili.
 
Yanis Varoufakis, Adults in the Room. My Battle with Europe’s Deep Establishment, Londra, Vintage, 2017, pp. vii + 562, £ 9,99, ISBN 978-1-784-70576-3.
 

giovedì 21 giugno 2018

De Mauro, Storia linguistica dell'Italia repubblicana


 
Tullio De Mauro, Storia linguistica dell'Italia repubblicana
Negli ultimi mesi ho avuto la fortuna di poter leggere con calma libri che in precedenza avevo potuto solo sfogliare rapidamente. Il guadagno, per me, è stato notevole: una delle ragioni per l’esistenza dei libri, in fin dei conti, è proprio quella di poter presentare un quadro complessivo, al cui interno i frammenti di informazione acquistano un senso più profondo. Nel caso della Storia linguistica dell’Italia repubblicana, però, il piacere del guadagno si è associato a un forte senso di perdita, a causa della recente scomparsa del suo autore.
 
La Storia linguistica dell’Italia repubblicana non è il libro più importante e innovativo di De Mauro. Anche così, però, si trova a una distanza siderale rispetto a quanto viene pubblicato di norma su questi argomenti, magari sotto forma di pamphlet. Semplicemente, nessuno ha ancora integrato dati sociologici e dati linguistici per descrivere in modo più approfondito la situazione complessiva attuale, le sue cause e i suoi effetti.
 
Il testo è ripartito in questo modo:
 
I. 1946: vita nuova per un paese antico (pp. 3-18)
II. L’Italia linguistica dell’immediato dopoguerra (pp. 19-51)
III. Dagli anni Cinquanta ai Duemila: cambiamenti sociali e culturali e loro riflessi linguistici (pp. 53-110)
IV. Nuovi assetti linguistici, nuove forme e funzioni (pp. 111-168)
Appendici. Documenti e questioni marginali
 
La IV parte descrive in modo molto bilanciato la situazione attuale, spaziando dal rapporto italiano-dialetti al declino dei polimorfismi. Quella più interessante per me, adesso, è però la III parte, in cui l’angolazione dominante è sociologica.
 
Lasciando da parte il percorso storico, De Mauro descrive infatti come chiave del sistema il fatto che le competenze culturali e linguistiche degli italiani sono ancora molto inferiori rispetto a quelle dei paesi paragonabili. Certo, la crescita economica del paese, durata fino ai primi anni Novanta, si è accompagnata a una crescita della scolarizzazione che ha fatto sì che le giovani generazioni siano in sostanza arrivate al livello medio europeo (aggiungerei poi che i risultati che si ricavano da campagne di valutazione come i test PISA confermano questo quasi-allineamento). Tuttavia, anche se De Mauro non insiste su questo punto, il peso delle fasce d’età più avanzate nella composizione della popolazione fa sì che la media sia ancora molto bassa. E soprattutto, la presenza di contesti di vita e familiari con bassi livelli di scolarizzazione espone all’erosione perfino i risultati raggiunti.
 
È forte la tentazione di fare collegamenti diretti tra questo stato di cose e i problemi dell’Italia contemporanea. Io però credo sia pericoloso farlo. L’orribile involuzione del discorso politico recente si ritrova, per esempio, anche in paesi con livello d’istruzione parecchio superiore a quello italiano. Più legittimo è ritenere che la crisi economica abbia un rapporto con le scarse competenze degli italiani: quando i lavori che non richiedono troppe competenze di studio sono esposti a una fortissima concorrenza internazionale, la mancata diffusione di competenze più avanzate taglia molte possibilità di sviluppo. Ma anche così, andrei veramente cauto. In astratto, per esempio, le conoscenze di una ristretta élite “colta” che controlla un gran numero di esecutori passivi “incolti” potrebbero portare a buoni risultati economici – perlomeno per un po’…
 
Se non fosse che io ho grossi dubbi sulla sostenibilità di modelli simili. Un conto è dire che non si possono fare collegamenti semplici tra istruzione, economia e politica. Un altro conto è ritenere che tutto sia equivalente. Io credo molto nel fatto che un paese di cittadini consapevoli, in grado di discutere e di esaminare la realtà con un atteggiamento scientifico, sia più protetto contro le derive politiche e più capace di costruire la propria ricchezza.
 
In ogni caso, anche se non mi sembra ci siano affermazioni dirette in questo senso, con ogni evidenza De Mauro rifugge dalla tentazione di indicare rapporti automatici. Anche la Storia linguistica dell’Italia repubblicana è quindi gradevolmente libera dai luoghi comuni, magari benintenzionati, che popolano perfino la saggistica italiana più rinomata: per esempio, l’idea che un aumento della scolarizzazione si traduca automaticamente in aumento del PIL (!). Al massimo si arriva a dire, in modo molto ragionevole, che l’ingresso dell’Italia tra i paesi scolasticamente sviluppati “ha avuto certamente influenza sui redditi individuali e sul prodotto interno collettivo, ma non solo” (p. 77). In tantissimi punti si apprezza invece una straordinaria capacità di andare al di fuori degli schemi e di valutare la situazione sulla base dei dati, non sulla base di parole d’ordine.
 
Anche per queste ragioni la figura di De Mauro è importante. Anche per queste ragioni, la sua perdita si fa sentire.
 
Tullio De Mauro, Storia linguistica dell’Italia repubblicana: dal 1946 ai nostri giorni, Roma-Bari, Laterza, 2014, pp. XIV + 278, € 20, ISBN 978-88-581-1362-2. Copia della biblioteca Salesiani dell’Università di Pisa.
 

giovedì 14 giugno 2018

Burke, Storia sociale della conoscenza

  
 
Peter Burke, Dall'Encyclopédie a Wikipedia
Negli ultimi mesi ho colmato una lacuna, leggendomi i due volumi della Storia sociale della conoscenza di Peter Burke. Nelle biblioteche a portata di mano uno dei volumi era disponibile in originale, uno in traduzione... ma non credo che l’alternanza delle lingue abbia distorto molto la mia lettura.
 
In quanto al merito, entrambi i volumi sono un’affascinante cavalcata storica che descrive l’evoluzione delle conoscenze in Europa dalla fine del Medioevo a oggi. Quelle prese in esame sono le conoscenze “accademiche” (distinte da quelle pratiche), anche se in apertura Burke, scherzando, dichiara:
 
If I wanted to cause a sensation, I would claim at this point that the so-called intellectual revolutions of early modern Europe (…) were no more than the surfacing into visibility (and more especially into print) of certain kinds of popular or practical knowledge and their legitimization by some academic establishments (I, pp. 14-15).
 
Seriamente, non è così: la questione è più complicata, e la descrizione del modo in cui si è trasformata la conoscenza non si presta alla riduzione in semplici formule. Burke presenta quindi in rapidi capitoli questioni che vanno dalla proprietà intellettuale alla diffusione delle enciclopedie, dallo spionaggio militare all’importanza dei convegni scientifici, su scala europea.
 
Un tale livello di generalità rende inevitabili gli errori, a cominciare da quelli minimi: per esempio, diversi secoli prima dell’arrivo della carta nel mondo mediterraneo, non ha senso parlare dell’Impero romano come di un’organizzazione “based on paper and paper-work” (I, p. 119), eccetera. In diversi punti credo poi che sia la sintesi stessa, più che qualche suo dettaglio, a essere carente. Tuttavia, credo anche che questo sia un inevitabile prezzo da pagare per avere un quadro d’assieme tale da permettere di notare cose nascoste dagli specialismi.

Certo, alcune cose sono banali, e sono già divenute evidenti per altra via: per esempio, l’alternanza tra periodi di sperimentazione e periodi di istituzionalizzazione, o il concetto che in generale le idee brillanti sembrano più legate agli individui che operano ai margini che alle istituzioni, anche se poi le istituzioni sono necessarie per tradurre in pratica le idee stesse (I, p. 51).
 
Altre sono già più difficili da mettere a fuoco su questa scala, come il ruolo di lungo periodo del clero e delle istituzioni ecclesiastiche, anche in aree per niente connesse con la religione. Oppure, il fatto che dal Sei al Settecento una “increasingly formal organization of knowledge was not confined to the study of nature” (I, p. 47), con l’affermazione di progetti di ricerca collettivi nelle scienze storiche basati anche sui monasteri.
 
Il secondo volume include anche diverse osservazioni sul ruolo delle tecnologie informatiche. In modo appropriato, il testo chiude con la descrizione anche del caso di Wikipedia (pp. 365-367), visto come esempio di “democratizzazione della conoscenza” e di “citizen science”.
 
L’opera nel suo assieme presenta peraltro un’omissione fondamentale: la scuola. Soprattutto negli ultimi due secoli, ma non solo, i sistemi scolastici sono stati senz’altro il canale principale per la diffusione delle conoscenze… tenerli fuori dal discorso mi sembra un po’ come fare la “storia sociale della moneta” senza citare l’esistenza delle banche. La cosa è tanto più vistosa in quanto per esempio il terzo capitolo del secondo volume viene dedicato esplicitamente alla Diffusione delle conoscenze (II, pp. 113-143): al suo interno il discorso tocca Google e le conferenze divulgative, i musei e le presentazioni audiovisive – ma la scuola non viene mai nemmeno citata.
 
Fatta questa (consistente) tara, l’opera rimane divertentissima e interessante. Difficile dire chi sia il lettore di riferimento per questa coppia di libri, ma sospetto che possa essere grosso modo qualcuno come me: una persona coinvolta in qualche tipo di “lavoro con la conoscenza” e intenzionata sia a imparare qualcosa di nuovo, sia, e soprattutto, ad avere un ripasso, da altra prospettiva, di tante cose già viste.
 
Peter Burke, A Social History of Knowledge. From Gutenberg to Diderot, Cambridge, Polity Press, 2000, rist. 2002, pp. vii + 268, ISBN 0-7456-2485-5. Copia della Biblioteca di Filosofia e storia dell’Università di Pisa.
 
Peter Burke, Dall’Encyclopédie a Wikipedia. Storia sociale della conoscenza, 2, Bologna, il Mulino, pp. 449, ISBN 978-88-15-24457-4 (titolo originale: A Social History of Knowledge II. From the Encyclopédie di Wikipedia, 2012; traduzione di Maria Luisa Bassi). Copia della Biblioteca di Filosofia e storia dell’Università di Pisa.
 

giovedì 7 giugno 2018

SILFI a Genova

  
 
Per le strade di Genova
La scorsa settimana si è svolto a Genova il XV convegno della Società Internazionale di Linguistica e Filologia Italiana (SILFI). Il convegno è stato dedicato a “Linguaggi settoriali e specialistici: sincronia, diacronia, traduzione, variazione”; purtroppo io mi sono potuto trattenere solo per i primi due giorni, però ho sentito tantissimi interventi interessanti. L’area che mi interessava di più era quella della sincronia, cioè relativa a linguaggi settoriali e specialistici nell’italiano di oggi, ma c’era molto da imparare anche su altri argomenti. Mi ha fatto anche piacere vedere quanti interventi nell’area sincronia hanno citato il mio libro sull’italiano del web!
 
Il mio intervento si intitolava “Misurazione del riconoscimento del lessico specialistico nei sistemi per il trattamento automatico del parlato”. Ho controllato le prestazioni di Google (attraverso le API Speech Cloud) e di Dragon (su programma installato) per verificare l’ipotesi che le parole che fanno parte di un lessico specialistico vengano riconosciute meglio della media, come si può sospettare dai dati in bibliografia. L’ipotesi è risultata confermata, anche oltre le mie aspettative. Per esempio, ho preso l’audio di questo video tecnico su YouTube, dedicato alla manutenzione del carburatore di una motosega:
 

L’audio comprende 16 occorrenze di parole appartenenti al lessico tecnico (Cc, decespugliatore, membrana, motosega e omologato) su un totale complessivo di 733 parole. La percentuale di errore nelle parole in generale è stata del 12,3%; la percentuale di errore nella terminologia è stata dello 0%: tutte le parole appartenenti al lessico tecnico sono state riconosciute correttamente. (Tra parentesi, vale anche la pena notare quanto sia alta la percentuale di successo complessiva per un video di questo tipo, realizzato in modo competente ma da parte di un presentatore non professionista, e con qualche disturbo da rumori di fondo e un accento regionale identificabile!)
 
Per la versione scritta del contributo spero di allargare molto il campione e confermare quindi le conclusioni. Però, al di là delle questioni linguistiche, il convegno è stato anche l’occasione per vedere una Genova fantastica: da Palazzo Ducale a Palazzo Rosso, passando attraverso le strade del centro, la passeggiata del porto la notte, le preghiere islamiche all’aperto, le mura medievali, i conventi e i turisti… E i linguisti, anche.
 

martedì 5 giugno 2018

Sciopero!


 
Oggi aderisco allo sciopero dei docenti universitari, con blocco degli esami. Le modalità dello sciopero sono pensate in modo da evitare i danni e ridurre al minimo i disagi; le richieste di noi scioperanti riguardano innanzitutto una ragionevolissima rivendicazione economica, ma anche un investimento e un impegno per i non strutturati, gli studenti, il diritto allo studio e l’università pubblica in generale.
 
Ragioni e modalità della protesta sono descritte in dettaglio sul sito del Movimento per la dignità della docenza universitaria. Spero che il nuovo governo dia riscontro a questa protesta e intervenga nella direzione giusta.
 

giovedì 24 maggio 2018

Presentazione Lingue e intelligenza artificiale

  
 
Mirko Tavosanis, Lingue e intelligenza artificiale
Domani, venerdì 25 maggio 2018, presenterò il mio libro Lingue e intelligenza artificiale all’interno della serie di “Incontri con l’autore” organizzati dalla Nuova Limonaia a Pisa.
 
La presentazione si terrà alle 17:30 presso la libreria Blu Book, in via Toselli 23 (accanto a Palazzo Blu, vicino al Comune di Pisa), e sarà introdotta da Francesco Romani, del Dipartimento di Informatica. Tutti gli interessati sono calorosamente invitati a partecipare!
 
Segnalo anche che nel frattempo di Lingue e intelligenza artificiale hanno parlato Lorenzo Tomasin (con un certo scetticismo) in un articolo uscito sul Domenicale del Sole-24 ore e Claudio Marazzini nel suo recentissimo libro L’italiano è meraviglioso (Milano Rizzoli, 2018).
 

martedì 22 maggio 2018

Cominetti e Tavosanis, The ICoN Corpus of Academic Written Italian (L1 and L2)

  
 
LREC 2018 a Miyazaki
Per LREC 2018 a Miyazaki ho presentato (con poster) la versione completa del Corpus ICoN, realizzato assieme a Federica Cominetti. Il contributo si intitola The ICoN Corpus of Academic Written Italian (L1 and L2) ed è adesso disponibile negli Atti del Convegno LREC 2018, scaricabili integralmente – anche se il file è davvero ingombrante: 362Mb nella versione zippata!
 
Il contributo è appunto una descrizione completa, in inglese, del modo con cui è stato realizzato il corpus ICoN: al momento il più ampio corpus comparabile di produzioni scritte da italiani madrelingua e da apprendenti di italiano (con 41 diverse lingue madri). Il sottocorpus di testi di stranieri è infatti formato da 2.115.000 token, quello di testi di italiani da 1.769.000 token. Caratteristiche e statistiche del corpus sono presentate in dettaglio, e dal mio punto di vista questa presentazione è quella definitiva e di riferimento.
 
Una sezione dimostrativa del contributo presenta inoltre un saggio di analisi sull’uso delle collocazioni. L’analisi ha mostrato che “the most frequent multiword expressions included in the L1 and L2 sub-corpora tend to be the same”. Cioè che in sostanza, quando usano collocazioni, polirematiche e frasi idiomatiche, gli studenti stranieri lo fanno in modo molto simile a quello degli studenti italiani. Per esempio, le cinque espressioni nominali (“multiword nouns”) con il punteggio LMI più alto nelle produzioni di stranieri sono queste:
 

  1. Punto di vista 
  2. Punto di riferimento 
  3. Essere umano 
  4. Stato d’animo 
  5. Mezzo di comunicazione 
 Le cinque corrispondenti nelle produzioni di italiani sono:
 

  1. Punto di vista 
  2. Essere umano 
  3. Mezzo di comunicazione 
  4. Stato d’animo 
  5. Messa in scena
 
La cosa non era ovvia... e al tempo stesso, va notato i punteggi LMI sono più alti nei testi di stranieri: per esempio, “stato d’animo” ha LMI di 445 nei testi di stranieri, di 316 in quelli di italiani. A Miyazaki ho visto molto interesse nei confronti di questo tipo di analisi, e la cosa è particolarmente interessante perché gli studi italiani in materia mi sembrano molto più avanzati di quelli condotti per altre lingue, a cominciare dall’inglese.
 
Federica Cominetti e Mirko Tavosanis, The ICoN Corpus of Academic Written Italian (L1 and L2), Parigi, ELRA, 2018, ISBN 979-10-95546-00-9, pp. 4077-4083.
 

mercoledì 16 maggio 2018

Giappone!

  
 
Japan Rail Pass
Erano giusto quarant’anni che avevo voglia di andare in Giappone… dal 4 aprile 1978, per essere precisi. Bene, adesso sono qui. Sono venuto per un convegno (di cui parlerò nel prossimo post) ma ne ho approfittato anche per farmi un giro con il Japan Rail Pass: sette giorni per salire su quasi tutti i treni giapponesi, compresi quelli ad alta velocità.
 
Ora, il convegno cui ho partecipato si svolgeva a Miyazaki. Cioè, nel sud del Giappone, sull’isola di Kyushu, a poche ore di distanza da Shin-Kagoshima, che è la stazione più meridionale degli shinkansen, i treni ad alta velocità. Quale occasione migliore per vedere tutto il paese, da un estremo all’altro? E quindi, dopo quattro giorni di viaggio, sto scrivendo questo post da Hakodate nell’isola di Hokkaido, a pochi passi di distanza da Shin-Hakodate-Hokuto, la stazione più settentrionale.
 
In mezzo c’è stato un po’ di tutto, tra cui due tratti di mare: quello che separa Kyushu da Honshu e quello che separa Honshu da Hokkaido, attraversati rispettivamente su un ponte che non ho nemmeno visto e in un tunnel di 54 chilometri sott’acqua. E poi il vulcano Sakurajima, Hiroshima, Osaka, Kyoto e Nikko. Negli ultimi due giorni rientrerò su Tokyo.

Al Tempio d'oro di Kyoto

Il Giappone della realtà assomiglia molto a quello che mi ero immaginato. È stato anche un’esperienza interessante dal punto di vista delle tecnologie linguistiche, perché, visto che io non so il giapponese e pochissimi giapponesi riescono a parlare inglese, o qualunque altra lingua europea, italiano incluso, ho fatto uso abbondante di Google Traduttore, sia per le scritte sia per le domande. È goffissimo, ma è anche insostituibile, in queste circostanze. Mi piace infinitamente anche la cultura del libro, o della scrittura in generale.
 
Ma in generale, il Giappone mi piace perché mostra che, anche in una società tecnologica, esistono altri modi per fare le cose. E non sarebbe male se alcuni di questi modi si diffondessero anche altrove; o in generale se si capisse che, molto spesso, oltre una nebbia di abitudini e stanchezza, le alternative esistono.
 

giovedì 26 aprile 2018

La scomparsa di Armando Petrucci


 
Il 23 aprile è scomparso Armando Petrucci, il più grande paleografo e storico della scrittura attivo in questi anni in Italia. Non ho avuto la fortuna di essere suo allievo, anche se ho sentito diversi suoi interventi in molte occasioni, ma i suoi libri sono stati per me importantissimi in tutto il mio percorso di studi.
 
Ieri ho presenziato a un breve saluto a Petrucci alle sale della Pubblica Assistenza di Pisa. Hanno parlato, con commozione, Corrado Bologna e Alfredo Stussi. Corrado Bologna ha letto anche il suo ricordo pubblicato ieri sul Manifesto. Rimando a quello, da cui riporto qui solo una citazione che è una sintesi ma anche un programma di ricerca e, per me, un auspicio:
 
Non c’è nulla, nella storia dell’uomo, che possa ricondursi solo al pensiero: conta in primo luogo la fisicità degli oggetti che mettiamo al mondo lavorando con il cervello, la materialità dei gesti che gli individui compiono per lasciare traccia durevole della propria esistenza e per trasmettere alle civiltà future le proprie conquiste, le proprie fatiche, i propri sogni.
 

martedì 24 aprile 2018

Le lingue dell’Uzbekistan


 
Il Chor Minor di Bukhara
Nelle settimane scorse, dal 10 al 21 aprile, ho fatto uno scambio Erasmus + in Uzbekistan. Sono le cosiddette azioni KA 107: ne avevo già fatta una l’anno scorso in Kazakistan, ma non sono mai riuscito a raccontarla qui. L’esperienza di quest’anno, peraltro, è stata davvero gradevole: l’Uzbekistan si è rivelato meravigliosamente interessante.
 
Il mio scambio era con l’Università di Bukhara, con il coordinamento del professor Abror Juraev. Ne ho approfittato però per fare anche una rapida visita a Samarcanda, dove all’Istituto di Lingue straniere c’è anche l’insegnamento dell’italiano… con professori e studenti bravissimi e molto simpatici.
 
L’Uzbekistan è meravigliosamente fotogenico, e spero di mettere in linea questa settimana qualche foto in più. Per me però è stata molto interessante anche la componente linguistica, con tutte le sue complicazioni. La lingua ufficiale del paese è infatti l’uzbeco, una lingua turca, però a scuola, anche se nel paese sono presenti pochissimi russi, tutti gli studenti devono imparare anche il russo… e ora, l’inglese. Più in dettaglio, le scuole sono divise in “scuole russe”, in cui l’insegnamento è in russo con corsi di uzbeco, e in “scuole uzbeche”, con insegnamento in uzbeco con corsi di russo. All’università la lingua di insegnamento è generalmente il russo, e nei negozi di Samarcanda la formula di ringraziamento a volte è l’uzbeco rakhmat e a volte il russo spaziba.
 
Inoltre: le due città di Bukhara e Samarcanda sono da secoli abitate da popolazioni di lingua tagica, cioè una lingua strettamente imparentata al persiano – e quindi indoeuropea. Dalle statistiche ufficiali non risulta, anche perché la scelta di collocare Bukhara e Samarcanda in Uzbekistan e non in Tajikistan è uno degli esempi della politica sovietica di tenere sotto controllo i popoli dell’Asia Centrale suddividendoli in repubbliche che rendessero difficile un’azione comune. Tuttavia, a quel che sento, in entrambe le città ancora oggi il tagico è una lingua che molti parlano come lingua materna e che tutti devono conoscere. Le lingue indispensabili sul posto sono quindi tre: uzbeco, russo e tagico.

La statua di Nasreddin Khoja a Bukhara

Soprattutto, per me è interessante l’ennesimo esempio di diffusione dell’alfabeto latino. L’uzbeco, che per lungo tempo era stato scritto con l’alfabeto arabo, passò all’alfabeto latino nel 1927; nel 1940 però l’Unione Sovietica imposte il passaggio al cirillico. Nel 1992 il processo è stato invertito e il sistema di scrittura ufficiale è di nuovo l’alfabeto latino… anche se a scuola vengono insegnati entrambi gli alfabeti e nelle insegne e nelle pubblicazioni a stampa mi sembra che predomini ancora il cirillico, mentre negli edifici pubblici, a cominciare dalle università, si vede solo alfabeto latino.
 
In aggiunta a deserti e monumenti, tutto questo ha reso il viaggio molto più interessante. L’accoglienza e la gentilezza di studenti e docenti hanno fatto il resto, e spero di poter scrivere qualcosa di più nei prossimi giorni.
 

martedì 27 marzo 2018

Tavosanis, Introduzione alla linguistica delle reti sociali


 
L'italiano delle reti sociali
Sul sito Treccani è stato pubblicato ieri uno Speciale dedicato a L’italiano delle reti sociali. Per questo lavoro io ho scritto il pezzo introduttivo, intitolato Introduzione alla linguistica delle reti sociali. Lo speciale contiene però anche molto altro! Michela Dota parla di commenti su YouTube; Valentina Fanelli di un’applicazione di WhatsApp alla didattica; Vera Gheno di Facebook; Stefania Spina, di Twitter.
 
Credo che nel complesso lo Speciale dia un quadro divulgativo ampio e interessante della “linguistica delle reti sociali” italiane. Per questo motivo ne raccomando ancora più del solito la lettura: le questioni alle sue spalle sono tra le più stimolanti, nella linguistica italiana contemporanea, e penso che continueranno a esserlo ancora per molto
 

giovedì 15 febbraio 2018

Un’intervista e due segnalazioni

 
Sono stato intervistato dal sito Letture.org a proposito del mio libro su Lingue e intelligenza artificiale. Lintervista è piuttosto articolata, e per me è stata l’occasione di sintetizzare alcune valutazioni che mi sembrano importanti. Ringrazio molto i curatori del sito!
 
Negli ultimi giorni, il mio libro è stato anche segnalato sulla stampa. Sabrina Minardi (L’Espresso) lo cita in una rassegna intitolata Lessico da scoprire (11 febbraio 2018); Massimiliano Panarari ne parla in un articolo su Apocalittici e integrati alla sfida dell’automazione uscito su La stampa dell’11 febbraio 2018; l’articolo del giornale è accessibile integralmente solo agli abbonati, ma il testo è riproposto anche sul blog Docenti preoccupati.
 

venerdì 26 gennaio 2018

Tavosanis, Lingue e intelligenza artificiale

  
 
Mirko Tavosanis, Lingue e intelligenza artificiale
È appena arrivato in libreria il mio nuovo libro: Lingue e intelligenza artificiale, pubblicato da Carocci.
 
Ci tengo a dire che alla base del libro c’è una pura curiosità personale. Qualche tempo fa mi sono infatti chiesto: quanto bene funzionano i sistemi moderni di elaborazione del linguaggio naturale? Io sono un “addetto ai lavori” attivo in un settore strettamente affine, ma mi sono accorto che la risposta non era ovvia né facile da trovare.
 
Uno dei motivi dietro a queste difficoltà è il fatto che i discorsi in materia sono immersi in un mare di esagerazioni. In fin dei conti, che i sistemi informatici siano capaci di trascrivere il parlato o di tradurre testi ho cominciato a sentirlo dire trent’anni fa. Ricordo bene, per esempio, un bravo editore italiano che nel 1990 dichiarava di aver assistito alla prova di sistemi automatici di traduzione e dichiarava che erano in grado di tradurre bene narrativa e saggistica. Già all’epoca trafficavo un po’ con queste cose e sapevo bene che nulla di tutto questo era vero; o meglio, che le prestazioni che venivano vantate erano remotissime da quelle che si potevano ottenere in circostanze reali. Con un po’ di esagerazione, ma non troppa, si può dire che a quei tempi i sistemi di trascrizione non trascrivevano e i sistemi di traduzione non traducevano.
 
Da qualche anno, però, mi sono accorto con piacere che le cose sono cambiate. Finalmente alcuni di questi sistemi funzionano e si possono usare nella vita di tutti i giorni. Solo che non sono perfetti… e non è chiaro quali cose funzionino bene e quali no. Le informazioni pubblicate sono poche e ben nascoste.
 
A un certo punto, quindi, mi sono detto che mi interessava avere dati più precisi. In particolare, mi interessava capire quanto funzionassero i sistemi che avevano un rapporto con il parlato e quelli che possono vantare l’apporto di tecniche nuove, definite genericamente come tecniche di “intelligenza artificiale”.
 
Uno dei motivi per cui questa curiosità era forte è stato il rapporto con la scrittura. A me interessa soprattutto la lingua scritta, e questi sistemi in alcuni casi sembrano permettere cose che in precedenza solo la scrittura poteva fare. Per questo, tra l’altro, ho aperto un blog dedicato alle interfacce vocali.
 
La risposta alla domanda di base, comunque, è rimasta molto sfaccettata. Diciamo che, nella mia prospettiva, le prestazioni dei sistemi si sono rivelate sorprendentemente buone per quanto riguarda la traduzione del “parlato letto”, sorprendentemente cattive per quanto riguarda la trascrizione di conversazioni spontanee, mediocri ma sorprendentemente utili per quanto riguarda la traduzione da una lingua all’altra, sia nello scritto sia nel parlato… In molti casi, i risultati che sono riuscito a misurare sono stati molto diversi da quelli che mi sarei aspettato.
 
In aggiunta a questi numeri ho poi cercato di fare qualche speculazione sull’utilità futura di questi sistemi. Qui il discorso ha dovuto intrecciare le prospettive informatiche (che conosco poco) e quelle storico-linguistiche (che invece spero di conoscere abbastanza bene). Il risultato lo giudicheranno i lettori. Per me, in ogni caso, c’è la soddisfazione di essermi tolto diverse curiosità e di essere passato, spero, alla fase successiva.
 
Oltre che nelle librerie tradizionali, il libro è disponibile anche attraverso canali di vendita come Amazon. Spero che in tempi ragionevoli sia possibile avere anche una versione come e-book.
 
Mirko Tavosanis, Lingue e intelligenza artificiale, Roma, Carocci, 2018, pp. 126, € 12, ISBN 978-88-430-9013-6.