sabato 3 dicembre 2011

Un nuovo schema di architettura dell’italiano contemporaneo


In un manuale appena uscito a cura di Andrea Afribo ed Emanuele Zinato (Modernità italiana. Cultura, lingua e letteratura dagli anni settanta a oggi, Roma, Carocci, 2011) è presente anche un contributo di Giuseppe Antonelli dedicato alla Lingua (pp. 15-52).

Ora, Antonelli è l’autore della migliore descrizione in volume oggi disponibile per l’italiano contemporaneo (L’italiano nella società della comunicazione, Bologna, il Mulino, 2007, che uso da tempo nei miei corsi – e, per chiarimento di rapporti, devo ricordare che Antonelli ha fatto anche una ben visibile recensione del mio libro sull’Italiano del web, e che il libro stesso è citato più volte anche in questo contributo). L’aggiornamento di quest’anno non smentisce le aspettative, e il contributo sulla Lingua diventa a sua volta, a mio giudizio, la più convincente sintesi oggi disponibile su questa lunghezza.

Nelle pagine finali del suo ultimo contributo, comunque, Antonelli fornisce come sintesi uno schema di quella che a suo parere è la struttura dell’italiano contemporaneo (p. 51):



Ovviamente si tratta di una variazione del celebre schema che Gaetano Berruto ha proposto nel 1987, rivisto per tenere conto delle variazioni degli ultimi anni. Il corsivo segna ciò che non c’era nello schema di Berruto; per il resto, Antonelli descrive in questo modo le variazioni dall’uno schema all’altro (p. 52):

a) la maggiore incidenza della diatopia, che (sia pure con un’interferenza più leggera, resa qui da un grigio chiaro [ma nella versione che ho visto io il rapporto dei colori è invertito]) entra nel quadrante alto della diastratia/diafasia e invade – in diamesia – il settore della lingua scritta;
b) la risalita dell’italiano standard (ormai di fatto cristallizzato in quello scolastico) fin quasi a coincidere con l’italiano aulico formale (...), e l’identificazione del nuovo standard con l’italiano di un buon articolo di giornale (...);
c) ai piani alti, la promozione dell’italiano tecnico-scientifico a varietà di massimo prestigio e la sostituzione dell’italiano burocratico con quello aziendale, misto di residui burocratici e di tecnicismi economici;
d) la netta distinzione tra italiano regionale e italiano popolare;
e) il sensibile avvicinarsi (fin quasi a sovrapporsi) di italiano parlato colloquiale, italiano regionale e italiano informale trascurato;
f) la comparsa, nel quadrante in alto a destra, di una varietà scritta spiccatamente informale e diastraticamente trasversale: l’italiano digitato.

Su quest’ultima varietà ho però un’osservazione: è curioso che Antonelli collochi l’“italiano digitato” tanto a destra, cioè spostato lungo l’asse diamesico verso il polo del “parlato”. L’“italiano digitato” è, per sua stessa natura, una varietà di lingua scritta – che, se letta ad alta voce, si trasforma spesso in una delle altre varietà (e, vistosamente, in italiano parlato colloquiale, italiano regionale, italiano informale-trascurato, anche se a volte presenta tratti riconducibili all’italiano più formale). L’unica sua collocazione possibile mi sembra quindi all’estrema sinistra dello schema.

Comunque ciò che non mi sembra discutibile è il punto chiave: l’identificazione del nuovo “centro” della lingua “con l’italiano di un buon articolo di giornale” (una nota: nella lista delle forme dell’“italiano dell’uso medio” presentata alle pp. 30-31, va tenuto presente che in effetti gli per “a loro” è oggi comune anche negli articoli di giornale, e non è più quindi estraneo allo scritto). Nel bene e nel male, svanito il prestigio dell'italiano letterario, questo è il modello attorno a cui oggi sembra ruotare il sistema.

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