venerdì 24 gennaio 2014

Magnus, I briganti!

 
 
Magnus, I briganti
È uscita da qualche settimana, ma io ne ho ricevuto una copia solo adesso: la nuova edizione de I briganti di Magnus! Pubblicata da Rizzoli Lizard (Milano, 2013, pp. 334, ISBN 978-88-17-06967-0, € 24), a cura di Fabio Gadducci – che ha già curato per la stessa collana diversi altri volumi di Magnus – e mia.
 
Forse è superfluo dirlo, ma non si sa mai: sono entusiasta di aver contribuito a una nuova edizione di uno dei capolavori del fumetto italiano. Il lavoro è stato pubblicato a frammenti da Magnus tra il 1978 e il 1993 e consiste in una personalissima riambientazione fantascientifica de I briganti, cioè lo 水浒传 (“ai margini dell’acqua”), un classico della letteratura cinese medievale. Il risultato è assolutamente originale e, appunto, a parer mio uno dei massimi vertici del fumetto italiano (che del resto secondo me dà il meglio quando ricicla e riadatta miti generati altrove, ma questo sarebbe un lungo discorso).
 
La morte prematura nel 1996 impedì a Magnus di completare il lavoro, che seguiva molto da vicino l’unica traduzione italiana del romanzo, pubblicata da Einaudi nel 1956. I briganti ha quindi anche il fascino dell’incompiuto. I due contributi miei che compaiono in questa edizione sono appunto dedicati a dare un po’ di contesto alla storia, che si interrompe in modo molto brusco.
 
Il primo contributo, Come sarebbe finita (pp. 261-264), prova a ricostruire il modo in cui il lavoro di Magnus sarebbe andato avanti secondo il modello dell’edizione Einaudi. Tentativo di ricostruzione già fatto da altri in passato, basandosi non solo sull’edizione Einaudi ma anche sugli appunti che Magnus aveva preso sulla sua copia (rimasta il suo costante punto di riferimento). In questo caso, però, il ritrovamento di un foglio di appunti preparato da Magnus e contenente un indice completo della versione a fumetti permette di avere un’idea molto più precisa del piano dell’opera.
 
Il mio secondo contributo, La storia dei Briganti (pp. 265-270), parla invece del romanzo cinese originale (che ho letto nella traduzione inglese in 5 volumi a opera di John e Alex Dent-Young) e del suo rapporto con l’edizione Einaudi, che ne deforma il carattere a diversi livelli. Basti pensare che la traduzione, a suo tempo, non venne condotta direttamente dal cinese ma da una versione condensata del libro pubblicata in tedesco nel 1934…
 
Il confronto mette bene in luce, secondo me, alcune caratteristiche del romanzo e della lettura che ne ha fatto Magnus. Su quest’ultimo punto, poi, ho potuto studiare direttamente un quaderno di bozze dell’autore, che include un po’ di osservazioni ironiche e qualche ritaglio di giornale. Pochi indizi, ma spunti importanti per capire il modo in cui il lavoro aveva preso forma. In particolare per il rapporto curioso, e un po’ ambivalente, di Magnus con la figura di Mao e con la situazione politica cinese. Come si vede anche da questa pagina del quaderno di bozze, riprodotta nel libro a p. 270, con una fotografia di Mao ripresa da un giornale:


Ma, a parte questo, quel che conta nel libro è la storia in sé. C’è chi la ama e chi no. Io do il mio consiglio: se non l’avete ancora fatto, leggetela!
 

mercoledì 22 gennaio 2014

Sampson, The ‘Language instinct’ debate

 
 
Sampson, The ‘Language instinct’ debate
Ho una gran simpatia per chi si mette da solo, a ragion veduta, contro un’idea diffusa ma sbagliata. Geoffrey Sampson sembra una persona di questo tipo. La raccolta di studi da lui curata sulla complessità linguistica demolisce l’idea che tutte le lingue siano ugualmente complesse. Il suo precedente libro su The ‘Language instinct’ debate (Continuum, London – New York 2005, pp. XIII + 224, ISBN 0-8264-7385-7, letto da me nella copia posseduta dalla biblioteca della Scuola Normale Superiore di Pisa) prende di petto l’idea più fortunata della linguistica contemporanea: quella che gli esseri umani siano dotati di un “organo del linguaggio” che li predispone a imparare facilmente la grammatica delle lingue naturali, ma non sistemi di comunicazione di altro tipo.
 
Rilanciata da Noam Chomsky a partire dagli anni Cinquanta, questa idea dalle radici antiche è oggi lo standard accettato dalla linguistica. Sampson dubita però che sia un’idea vera. Anch’io ho sempre avuto, fin dai tempi dell’università, qualche dubbio in proposito e adesso, leggendo il modo in cui il libro smonta alcuni argomenti portati a sostegno delle tesi di Chomsky, i dubbi si sono rafforzati.
 
Non che Sampson riesca a distruggere del tutto l’edificio. Però è interessante che, lavorando sui corpora moderni, riesca per esempio a documentare l’esistenza di strutture dichiarate “impossibili” dai chomskiani, oppure la relativa abbondanza di strutture che secondo i chomskiani non si potrebbero imparare in modo “tradizionale” perché sentite troppo di rado (cap. 3, How people really speak). Né la sua critica si limita a questo, perché include per esempio il riesame bibliografico del famoso caso della famiglia KE in Gran Bretagna, in cui diversi componenti hanno ereditato una mutazione nel gene FOXP2. Secondo le prime analisi, fatte in ottica chomskiana, i portatori di questa mutazione, dotati per il resto di facoltà intellettive normali, avevano un problema specifico nella gestione della grammatica. Secondo gli studi più recenti citati da Sampson (come questo), invece, le difficoltà cognitive dei soggetti sono generalizzate e non sembrano concentrate sulla gestione della grammatica.
 
Aggiungo che questa situazione non sembra molto diversa da quella di altri esempi recenti (non discussi da Sampson). Per esempio, il caso di “Christopher”, studiato da Smith e Tsimpli in ottica chomskiana, viene interpretato da altri in modo completamente diverso. E, dopo un po’ di controlli bibliografici, il minimo che si possa dire è che molte certezze della linguistica chomskiana non sembrano sostenute da basi così solide come si vorrebbe.
 
D’altra parte, a ripensarci, i presupposti metodologici di Chomsky mi sono sempre sembrati parecchio traballanti. Dichiarare che tutte le lingue del mondo funzionano allo stesso modo, per esempio, dovrebbe essere il punto di arrivo di una ricerca, non il punto di partenza! Diverse lingue ancora poco studiate, come il riau esaminato da David Gil, sembrano ben poco inquadrabili nell’ottica chomskiana.
 
Non tutto nel libro di Sampson è ugualmente convincente. Per esempio, un intero capitolo (il sesto) viene impiegato per discutere su quale sia l’interpretazione corretta del concetto di “creatività” in Popper. Argomento che avrà anche il suo interesse, ma si colloca su un piano diverso rispetto alle discussioni di fatto. Ed è un argomento che oltretutto Sampson gestisce in modo molto approssimativo, senza basarsi nemmeno su un’analisi completa delle opere di Popper ed entrando in discussioni marginali – il che non è un esempio di rigore metodologico.
 
Resta il fatto che, in estrema sintesi, ci sono ottime possibilità che Sampson abbia ragione sui punti chiave. Forse il linguaggio umano non è il prodotto di uno specifico “organo” mentale biologicamente predeterminato ma è semplicemente il risultato dell’azione di meccanismi intellettuali generici e di convenzioni culturali.
 

lunedì 20 gennaio 2014

Propositi per il nuovo anno

 
Abilitato, arrivato all’anno nuovo e a quarantacinque anni d’età, forse dovrei fare qualche progetto a medio termine. Per il 2014, diciamo. Periodo breve negli studi umanistici ma lunghissimo per me, che sono troppo abituato a giocare di sponda.
 
Nel periodo delle feste ho approfittato del tempo libero per riflettere su quel che ho fatto negli ultimi anni. I prodotti del mio lavoro non sono particolarmente numerosi, ma di sicuro coprono una gran varietà di argomenti, come è stato notato anche dagli osservatori esterni. I lettori regolari di questo blog, se esistono, hanno una chiara percezione di questa varietà: interventi sulla comunicazione elettronica, sulla valutazione, sull’acquisizione del linguaggio, sulla storia della lingua italiana, sulle interfacce informatiche, sul fumetto e sulla lingua del fumetto, sulla scrittura, su questioni generali di linguistica e così via. Solo un titolo generalissimo come “linguaggio e scrittura” può coprire tutto.
 
Non è solo questione di blog. Nella mia didattica universitaria ho fatto corsi che vanno dalla Linguistica italiana alla Linguistica dei corpora, dalla Codifica dei testi al Linguaggio del web, e molti laboratori di scrittura. Poi, anche in corsi con lo stesso titolo gli argomenti coperti sono stati molto variati. E lo stesso vale per le pubblicazioni, visto che mi sono occupato di grammatiche del Cinquecento, italiano del web, editoria elettronica e un sacco di altre cose, e adesso sto lavorando sull’italiano dei fumetti.
 
Non credo che questa varietà sia solo frutto di sregolatezza. Perlomeno nella mia ottica, è stato un percorso quasi necessario per farsi un’idea generale di molte aree che hanno un rapporto strettissimo con il linguaggio scritto. Per esempio, la questione dell’influenza della comunicazione elettronica sul modo in cui si “pensa”: per parlarne occorre intanto conoscere in dettaglio il modo in cui funziona la comunicazione elettronica, poi vedere se il modo in cui si “pensa” è influenzato in modo significativo per esempio dalla lingua che si parla, o dalla scrittura, o da tecnologie come quella della stampa (la risposta oggi corrente è “no” in tutti e tre i casi). Sono campi disparati, ma ognuno illumina l’altro – e non sono nemmeno tutti i campi possibili, ma solo quelli in cui la ricerca e la discussione hanno trattato argomenti che è più logico richiamare nella discussione dello spunto di partenza.
 
Tuttavia il tempo a disposizione degli esseri umani è limitato e ciò rende ampiezza e approfondimento due valori in continuo conflitto. Il problema è trovare l’equilibrio! E nelle ultime settimane sono arrivato alla conclusione: per me è arrivato il tempo di sfrondare, più che di allargare.
 
Ci sono alcuni settori che per me continuano a rimanere centrali:
 
  • italiano del web
  • scrittura universitaria (anche in relazione a Wikipedia)
 
Abbandonare questi settori sarebbe veramente un peccato. Bisogna quindi che mi metta a seguirli in modo un po’ più regolare, cercando di coprire tutto quello che esce sull’argomento. Del resto, ci sono state diverse novità e forse ormai è arrivato il momento di cominciare a pensare a una seconda edizione dell’Italiano del web.
 
Altri settori dovrò invece abbandonarli. È il caso degli studi sulle interfacce e sulla storia dell’informatica, dove ho svolto un po’ di attività ma per una serie di motivi non è stato pubblicato quasi nulla. Nei prossimi mesi spero di riordinare gli appunti, magari pubblicarne qualcuno su questo blog, e poi chiudere i lavori di ricerca, anche se forse non quelli di organizzazione.
 
In altri settori dovrò mantenere un’attività solo pratica, soprattutto in rapporto con la ristrutturazione radicale dei siti del Consorzio ICoN, che spero parta fra poco e dovrebbe portar via quasi tutto il 2014. In aree come l’editoria elettronica, la codifica di testi e l’e-learning dovrò quindi studiare parecchio, in vista di un aggiornamento che comprenderà il passaggio al mondo dell’HTML 5 e delle piattaforme mobili. Non mi aspetto però di lavorare a contributi scientifici o didattici in questi settori. Non per tutto il 2014, perlomeno!
 
Il grosso della ricerca del 2014 dovrà invece essere dedicato al tema dei corpora nell’apprendimento dell’italiano. Fa parte di un PRIN sulle “Scritture brevi” in cui gestisco un’unità di ricerca e sarà anche l’argomento del mio prossimo corso di Linguistica italiana II per la Magistrale di Informatica umanistica, che inizierò a febbraio.
 
Se ce la farò, spero poi di approfittare dello stesso PRIN per approfondire il discorso sui fumetti, che sono una delle aree di ricerca del progetto (anche se non la mia). Dato il cumulo di impegni non penso proprio di riuscire a chiudere il mio libro sull’italiano dei fumetti entro il 2014: il 2015 potrebbe essere una scadenza più realistica.
 
Dopodiché, spero di tornare a qualche lavoro più tradizionale di linguistica italiana. I progetti abbozzati sono due: un’analisi della sintassi dei giornali e l’edizione del testo italiano della Storia do Mogor di Niccolò Manucci. Se ne parlerà nel 2015, spero. E qui si passa alla programmazione a lunga scadenza. 
 

venerdì 17 gennaio 2014

Intervista su RAI Radio 3

 
 
Nei giorni scorsi sono stato intervistato da RAI Radio 3 per La lingua batte, trasmissione settimanale condotta da Giuseppe Antonelli e dedicata alla lingua italiana. L’intervista dovrebbe andare in onda durante la puntata di domani, sabato 18 gennaio 2014, a partire dalle 14 – per i ritardatari, inoltre, il podcast della trasmissione dovrebbe essere disponibile a partire dalla sera di sabato. Tema, naturalmente, l’italiano del web.
 

giovedì 16 gennaio 2014

Abilitato per associato

 
 
Dopo lunga attesa, oggi sono finalmente usciti i risultati dell’Abilitazione scientifica nazionale per il settore 10/F3 – Linguistica e filologia italiana. Io ho ricevuto l’abilitazione per la seconda fascia, quella di professore associato, mentre non l’ho avuta per la prima fascia, quella di professore ordinario (cosa ragionevole – diciamo che anch’io mi sento ancora giovane!).

Giudizio complessivo di abilitazione:

Le attività di ricerca sono state svolte con buona continuità anche negli ultimi 5 anni; sono state condotte con rigore metodologico e, con particolare riferimento a tematiche legate all’italiano contemporaneo e, in prospettiva diacronica, alle Prose bembiane, hanno consentito di raggiungere risultati innovativi. Il contributo del candidato risulta complessivamente significativo e documenta la sua maturità scientifica. (...) La qualità della produzione scientifica è di buon livello, come la collocazione editoriale, per cui la valutazione è positiva.

Naturalmente un’abilitazione non comporta automaticamente un passaggio di ruolo. Anzi, ne è solo la precondizione. Però, stasera, stappo lo spumante…
 
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