domenica 27 gennaio 2019

Siedi il giornalismo linguistico?

  
 
Breve nota su un tema d’attualità. L’11 gennaio il servizio di consulenza linguistica dell’Accademia della Crusca ha pubblicato la risposta di uno dei nostri più illustri storici della lingua, Vittorio Coletti, a un dubbio linguistico. Il quesito era:
 
Molti lettori ci chiedono se è lecito costruire il verbo sedere con l’oggetto diretto di persona: siedi il bambino, siedilo lì ecc.
 
Nella sua risposta, Coletti nota che questa costruzione si trova oggi anche nei manuali tecnici ed è documentata anche da esempi remoti nel tempo. La ritiene quindi accettabile, in quanto “è stata accolta nell’uso, anche se non ha paralleli in costrutti consolidati con l’oggetto interno come li hanno salire o scendere (le scale, un pendio)”.
 
Personalmente, concordo con il criterio di Coletti. A studenti che vogliono / devono scrivere in modo formale consiglierei sempre di scrivere “prima della partenza, far sedere i passeggeri” invece di “prima della partenza, sedere i passeggeri” e così via, ma in molti contesti accetterei senza problemi l’uso con oggetto diretto.
 
Sul ragionevolissimo parere di Coletti si è però alzato uno dei soliti polveroni mediatico-linguistici. Alla base di molte osservazioni sta la semplice incomprensione di ciò che Coletti ha scritto. Ne è un esempio un articolo firmato da Katia Ricciardi e pubblicato oggi su “La Repubblica”. Nel suo testo, Coletti si è espresso solo sull’accettabilità di sedere. Altri usi, per quanto simili, hanno ovviamente un’accettabilità diversa: Coletti ne parla descrivendoli solo come forme diffuse negli “italiani regionali”. Non indica affatto la loro accettabilità nell’uso nazionale – che è molto più ridotta di quella di sedere, anche se in espansione.
 
L’autrice dell’articolo di “Repubblica” scrive invece che l’Accademia della Crusca “ha cambiato orientamento e giudicato accettabili espressioni più diffuse nel Sud Italia ma da sempre considerate errate”. Prende insomma la descrizione degli usi regionali fatta da Coletti come se fosse un’implicita accettazione di uso:
 
L'apertura riguarda infatti altre espressioni: "Una procedura sintetica che riguarda da tempo anche altri verbi di moto come salire e scendere ma anche uscire e persino, al Sud, entrare, che in molti italiani regionali (non solo meridionali) ammettono, specie all'imperativo, il complemento oggetto (sali /scendi il bambino dalla nonna, esci il cane)".
 
Il problema qui non riguarda le scelte linguistiche: il problema riguarda (ahimè) la comprensione del testo, e il capire che l’esistenza di una categoria di fenomeni non può essere implicitamente considerato un motivo per considerare tutti i fenomeni che le appartengono come se fossero sullo stesso piano da altri punti di vista.

Ultimamente, di esercizi di comprensione del testo ne ho scritti molti. Uno di questi, livello 3 nella classificazione PIAAC, avrebbe potuto essere: “dato questo intervento di Vittorio Coletti, se ne può trarre la conclusione che l’autore consideri accettabile l’uso di uscire con oggetto diretto?”. E la risposta avrebbe dovuto essere, assolutamente, no. Tutte le altre risposte sono sbagliate. Il parere di Coletti poteva essere più esplicito, ma un lettore competente non può fraintenderlo.
 
Però, evidentemente, la capacità di comprendere il senso di un testo del genere non può essere data per scontata nemmeno sulle pagine di uno dei più diffusi quotidiani italiani.
 

mercoledì 23 gennaio 2019

Potsdam!

  
 
Nightjet alla stazione di Zurigo
Oggi, e fino a venerdì, sarò a Potsdam, a due passi da Belino, per una serie di lezioni e incontri. Sono arrivato poche ore fa, grazie a un treno notturno delle ferrovie austriache.
 
Inizio stamattina con una lezione nel corso Sprache in Social Media della professoressa Annette Gerstenberg, tenuto presso l’Institut für Romanistik dell’Università di Potsdam. La lezione (in inglese) si intitola Language of the social media in Italy e prepararla mi ha richiesto un utilissimo lavoro di sintesi su tutta una serie di questioni che spero di approfondire nel corso del 2019.
 
Oggi pomeriggio alle 16 terrò invece una presentazione pubblica (vortrag) organizzata congiuntamente dall’Università e dall’ItalienZentrum della Freie Universtät di Berlino. La presentazione sarà in italiano, e il tema è uno dei miei preferiti: L’italiano e l’intelligenza artificiale (Universität Potsdam, Am Neuen Palais, Haus 8, Raum 0.56).
 
Domani ci saranno diversi altri eventi, tra cui un incontro sperimentale con un gruppo di studenti che si occupa del contatto linguistico. Tra l’altro, spero che sia una splendida occasione per portare a termine una verifica pratica sulla traduzione automatica dall’italiano in altre lingue!
 
Tutta la trasferta è stata resa possibile da un finanziamento Erasmus+ erogato dall’Università di Pisa.
 

giovedì 17 gennaio 2019

Gheno e Mastroianni, Tienilo acceso

  
 
Copertina di Gheno e Mastroianni, Tienilo acceso
Ho letto con molta soddisfazione Tienilo acceso di Vera Gheno e Bruno Mastroianni: un buon libro su come migliorare la comunicazione individuale nelle reti sociali.
 
Alla base della soddisfazione c’è il fatto che naturalmente il libro, a differenza di quel che accade di solito quando si parla di questi argomenti, ha una solida base linguistica. La proposta di educazione presentata al suo interno si basa saldamente sui principi dell’educazione linguistica democratica presentati da Tullio de Mauro e dal GISCEL (p. 12, in nota), e in generale il testo riflette ciò che si sa davvero sul linguaggio. L’idea di base consiste quindi nella necessità di collocare in modo adeguato le tecnologie informatiche nell’educazione linguistica e comunicativa, con l’obiettivo di rendere tutti i cittadini capaci di partecipare in modo adeguato e consapevole alla vita sociale.
 
La seconda parte del libro, per esempio, è dedicata al “parlare di me stesso”. All’interno di questa parte vengono dati in modo discorsivo consigli su come presentarsi online, tenendo presente che nella comunicazione su Internet e nelle reti sociali “ciò che sembra è” (p. 80), e ciò che conta è la percezione che gli altri hanno di noi. Ne seguono indicazioni non solo, per esempio, su quali reti sociali usare e quanto spesso mettere aggiornamenti, ma anche sulle ragioni per fare tutto questo.

Ho visto in libreria che la fascetta che avvolge il libro riporta questa frase di Stefano Bartezzaghi: “I social verranno insegnati a scuola e questo sarà il manuale”. Io spero bene che, all’interno dell’educazione alla scrittura, la scuola inizi anche a fornire le competenze utili per una presenza consapevole sulle reti sociali (il livello di dettaglio può variare: non è questo il problema). Va però precisato che il libro non è affatto un manuale per studenti. Piuttosto, è un testo di primo orientamento, molto utile per il grande pubblico ma particolarmente indicato per insegnanti.
 
Un taglio del genere ha diverse conseguenze. Per esempio, uno dei temi che ricorrono in diverse sezioni del libro è quello del dialogo: tra genitori e figli, tra persone che hanno idee diverse, e così via. Nella quarta parte, Parlare con gli altri, viene anche presentato il metodo della “Disputa felice”, oggetto di un libro dedicato di uno dei due autori. Questo consiste per esempio nel “cercare di vedere il mondo come lo vede [l’interlocutore], di porsi le domande così come lui stesso se le pone, per poter discutere a partire da quelle” (pp. 211-212).
 
Devo dire che questo tipo di dialogo è una proposta a cui mi piace credere, ma molto legata all'ambito scolastico o assimilabile. Cioè, la proposta è ampiamente condivisibile nel campo educativo, e puntare in questa direzione mi sembra un obiettivo importantissimo per la formazione di cittadini consapevoli. Inoltre, sul lunghissimo periodo (e in ottica Steven Pinker), spinte civilizzatrici di questo tipo possono avere un effetto cumulativo di assoluta importanza. Non c’è però alcuna dimostrazione esterna del fatto che il sistema sia migliore di altri nel campo delle dispute reali, su specifici problemi, in cui si ha a che fare con comportamenti complessi.
 
Per esempio, negli ultimi tempi si è discusso molto per esempio sul cosiddetto “metodo Burioni” di risposte taglienti agli antivaccinisti. In questo libro il “metodo Burioni” viene criticato in un paragrafo apposito (Il divulgare non b(l)asta, pp. 215-229), in cui si afferma che “Alla lunga (...), blastare non porta a risultati positivi” (p. 224). Sarà vero? Non c’è nessun dato che lo mostri. Sicuramente è verosimile che le persone che vengono criticate dagli esperti non cambino opinione, anzi, si rafforzino nella propria. Tuttavia, queste persone si contano letteralmente sulle dita delle mani. La “moltitudine silenziosa” (p. 227) che, come notano anche Gheno e Mastroianni, rappresenta la maggioranza dei lettori e “deve essere il primo e primario pubblico a cui parlare”, che cosa fa?
 
La cosa interessante è che almeno nel caso Burioni i dati sembrano finora tutti da una parte. Ne parla per esempio Andrea Grignolio in un interessante intervento dedicato a Quello che i critici di Burioni non hanno capito della divulgazione scientifica. Giudicando in base all’interessamento della politica e a quel che dicono le parti coinvolte, le polemiche di Burioni hanno avuto un ruolo diretto nell’assunzione di importanti provvedimenti legislativi nel settore. Inoltre, sono correlate a un rafforzamento di una realistica percezione della sicurezza dei vaccini all’interno della comunità, e, alla fine dei conti, a un aumento delle percentuali di vaccinazione. Si sarebbe ottenuto lo stesso con altre tecniche? Sarebbe interessante vedere se esistono casi di successo confrontabili. In fin dei conti, dati e numeri sono fondamentali per valutare l’efficacia di una proposta.
 
Vera Gheno e Bruno Mastroianni, Tienilo acceso. Posta, commenta, condividi senza spegnere il cervello, Milano, Longanesi, 2018, pp. 283, € 14,90, ISBN 978-88-304-5000-4. Copia della biblioteca ex Salesiani dell’Università di Pisa.
 

martedì 8 gennaio 2019

Intervista sull'Eco di Bergamo

  
 
La chiusura del 2018 è stata purtroppo, per varie ragioni, triste e piena di urgenze. In quei frangenti non sono riuscito ad annunciare in tempo la pubblicazione di un’intervista che mi è stata gentilmente fatta da Giulio Brotti ed è comparsa il 16 dicembre 2018 nell’inserto Domenica del Corriere di Bergamo con il titolo Politichese addio, adesso c’è il gentese (a p. 15). Come si può immaginare, si è parlato di linguaggio della politica, ma anche di trasformazioni dell’italiano in generale… e sono lieto di aver avuto l’occasione di tornare a parlare in pubblico di tutta una serie di argomenti che mi stanno molto a cuore.
 
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