martedì 24 febbraio 2009

I corsi del 2009-2010

Il nuovo regolamento dell'Università di Pisa stabilisce che i ricercatori "possono" fare fino a 90 ore di didattica all'anno. A parte il fatto che probabilmente nessuno controllerà (o punirà) gli stakanovisti... volendo rispettare il limite, il combinato disposto tra questa norma e il passaggio dalla base a 5 crediti alla base a 6 e il passaggio da 6 a 7 delle ore di didattica per credito produce un risultato chiaro: prossimamente io potrò tenere solo due corsi da 6 crediti, e non di più. Oggettivamente, 6 crediti, a 7 ore di didattica per credito, danno 42 ore; e due pacchetti del genere fanno 84 ore.

Il risultato peraltro è chiaro solo a regime, perché per esempio nel 2009-2010 la specialistica di Informatica umanistica sarà ancora a base 5, e non è sicuro che passi immediatamente a 7 ore di didattica per credito. E non ho ancora chiesto se la triennale in Informatica disattiverà subito l'ex nuovo ordinamento per passare a questo sistema. Quindi l'unico corso sicuramente su 42 ore nel 2009-2010 sarà il laboratorio di Italiano scritto professionale per la triennale di Informatica umanistica, passato al II semestre. IU infatti disattiverà subito i vecchi corsi per passare ai nuovi - conservando programmi separati per gli studenti in ritardo.

Per il resto, se sia la specialistica di IU che la triennale di Informatica faranno scelte "conservative", nel prossimo anno accademico potrei ancora tenere entrambi i miei corsi abituali: Linguaggio del web (30 ore) per la specialistica di IU e Comunicazione (20 ore) per la triennale di Informatica. Certo, sommati al laboratorio di Italiano scritto professionale danno 92 ore... ma, appunto, do per scontato che nessuno avrà niente da ridire.

La cosa interessante è che tutti questi corsi si troverebbero poi nel II semestre. Cioè, avrei un autunno 2009 molto tranquillo! E una primavera 2010 un po' più complessa.

Aggiornamento

Ho visto che la triennale di Informatica si è trasformata senza ripensamenti. Nel 2009-2010 quindi non farò nessun corso di Comunicazione presso di loro: quello che inizierò domani pomeriggio sarà l'ultimo, dopo quasi dieci anni. Non mi viene esattamente una lacrimuccia, però un po' di commozione sì...

domenica 22 febbraio 2009

Pensierino: la mia libreria

Per quanto mi piacciano i libri, non vedo l'ora di poterli sostituire con qualche apparecchio elettronico. Senza fretta, beninteso: dovrà essere un apparecchio che, rispetto alla carta, non sia un arretramento in fatto di durata, backup, leggibilità, dimensioni del catalogo e via dicendo. Naturalmente, non c'è nulla del genere all'orizzonte. Ma apprezzo molto l'idea anche perché, avendo traslocato da pochi mesi, mi ritrovo ancora a fare ordine e a spostare casse di vecchia carta.

Il problema è semplice: manca lo spazio. Nella casa vecchia la situazione era già critica; nella nuova, che pure è un po' più grande, non sono ancora riuscito a rimontare tutte le librerie. E, anche se ogni tanto riesco a disfarmi di qualcosa, la tendenza è sempre a crescere... Inoltre, gli scaffali non sono adatti al tipo di materiale che ho. Tutto è in doppia o tripla fila, malamente accatastato e senza possibilità di ordine, visto che l'unico sistema pratico per disporre il materiale consiste nell'affiancare libri di dimensioni simili, senza badare al contenuto.

Se volessi, immagino, potrei disfarmi del passato. Sono quasi dieci anni che ho sepolto l'idea di lavorare da professionista nell'editoria di fantascienza o in quella del fumetto. Eppure i miei scaffali sono ancora ingombri di cose che possono interessare solo a un addetto ai lavori: vecchi cataloghi Nord e Fanucci, libri e fumetti di una bruttezza indicibile, scassatissime collane (incomplete) di riviste come Gamma e Galassia, e via dicendo.

D'altra parte, quasi ogni giorno mi tocca constatare l'incompletezza della raccolta nei settori di cui oggi dovrei occuparmi. Il mio criterio base negli acquisti è sempre stato quello di prendere ciò che non avrei potuto trovare da altre parti. Di conseguenza, le mie raccolte sono complementari a quelle di una biblioteca ben gestita: mancano i classici, mancano i testi di consultazione, e in compenso c'è molta roba effimera o di nessun valore.

Ci sono, in compenso, testi iperspecializzati, che non si possono trovare da nessun'altra parte. Mucchi di fantascienza improbabile, d'accordo. Ma anche un po' di cose che nelle biblioteche pisane non si trovano, e sono rarissime un po' in tutta Italia: dalla traduzione integrale della Storia do Mogor di Niccolò Manucci fino ai quattro libri di Tufte sulla presentazione visiva delle informazioni quantitative.

Separare il grano dal loglio non dovrebbe esser troppo difficile. Però, ogni volta che cerco di liberarmi di un po' di cartaccia, mi vengono gli scrupoli: questo non lo ritroverai da nessun'altra parte...

Non è una preoccupazione ragionevole, ovviamente. Ma al momento basta a fermarmi. Se riuscirò a risolvere i miei problemi di spazio, sarà grazie alla falegnameria, non grazie a un'accurata selezione meritocratica. In attesa di metter tutto su un aggeggetto di plastica, ovviamente.

sabato 21 febbraio 2009

Wired italiano?

L'altro giorno ho visto che è uscito il primo numero dell'edizione italiana di Wired. Mi chiedo che senso abbia l'operazione... quindici anni fa era avanguardia, e anche dieci anni fa (beh, forse fino al 2000 incluso) poteva essere una formula interessante. Ma oggi?

Comunque mi sono iscritto al loro sito, ho ricevuto e stampato il buono sconto e, vinte le resistenze dell'edicolante, mi sono preso una copia al costo di un euro. Primo impatto: la rivista è piena di pubblicità di lusso... spero che riescano a mantenere lo standard! Contenuti interessanti da leggere, però, ne ho trovati pochi.

mercoledì 11 febbraio 2009

Correzioni Wikipedia

Quest'anno ho tenuto per la prima volta il Laboratorio di italiano scritto professionale per gli studenti di Informatica umanistica a Pisa. Esperienza bellissima, e l'idea di far scrivere come prova finale delle voci per Wikipedia, al posto delle solite relazioni che poi rimangono a prendere polvere in un cassetto, mi sembra vincente.

Leggendo relazioni a tema libero, qualunque sia l'argomento, si imparano sempre un sacco di cose. Nelle ultime settimane mi sono letto trame di romanzi che non conoscevo, ho ascoltato una selezione di Notturni di Chopin, ho rimeditato su diversi settori disciplinari... e via dicendo! Insomma, non mi annoio di certo.

C'è solo una controindicazione pratica: ognuna di queste voci deve essere lunga circa 10 pagine e ho scoperto che correggerne una in prima lettura richiede almeno un'ora. Inoltre faccio anche un incontro con l'autore (più tempi per lo scambio di posta), più una seconda lettura. In media ci vogliono, a occhio, due ore di lavoro per assegnare un voto. Venti relazioni si possono quindi correggere solo lavorando a tempo pieno per una settimana intera. Per ora le relazioni sono arrivate diluite, ma non si sa mai!

Per il resto: bilanci alla fine del periodo d'esami.

lunedì 9 febbraio 2009

Jackendoff, Foundations of language


Negli ultimi mesi ho passato molto tempo a studiare Foundations of language di Ray Jackendoff. È un libro importante, e un discreto tentativo di far quadrare diversi aspetti della linguistica contemporanea in un'ottica generativista.

Al livello più alto, la proposta di Jackendoff consiste nel mostrare come la lingua sia prodotta dall'interazione di tre livelli diversi: fonologico, sintattico e semantico/concettuale. I tre livelli sono uniti da interfacce, e questo può spiegare molti tratti del linguaggio che in una visione monolitica non si spiegherebbero altrettanto bene. Inoltre, sono tutti e tre generativi.

Il rapporto con la grammatica generativa tradizionale è dato soprattutto dal mantenimento di tre punti chiave: il mentalismo (il linguaggio è nella mente), il ruolo importante dato alla combinatorialità o generatività della lingua, e l'idea che una Grammatica Universale sia innata.

Un'idea interessante, esplorata nel capitolo 6, è che tra il lessico e certi tipi di regole non ci sia poi molta differenza. Gli "oggetti lessicali" sono quindi descritti come componenti dell'interfaccia, indipendentemente dal fatto che siano composti da parole, parti di parole o regole più ampie. È forse la parte più convincente e, per me, innovativa del libro.

Un altro punto chiave è il rapporto con la semantica, e qui l'intreccio con il lavoro di Pinker è particolarmente interessante. Tutta la terza parte del libro è in effetti dedicata alla semantica, con argomenti che a volte sono un po' sconcertanti dal punto di vista filosofico ma che sembrano in buona parte ragionevoli.

Dal mio punto di vista, comunque, uno degli aspetti più interessanti è la prospettiva evoluzionistica del linguaggio. Jackendoff tenta infatti di mostrare che tipo di protolinguaggio potrebbe essersi evoluto dai sistemi di comunicazione dei primati, partendo in sostanza dai nomi. Alla base di questo tentativo c'è l'analisi del linguaggio contemporaneo, visto che "there is virtually nothing in the paleontological record that can yield strong evidence about when and in which stages the language capacity evolved" (p. 232).

Per i dettagli, Jackendoff ha come punto di partenza l'ipotesi di Bickerton: è esistita una fase di protolinguaggio simile, grosso modo, al linguaggio moderno meno la sintassi, e questa fase "riemerge" ancora in determinati tipi di afasia e nei pidgin, o nel linguaggio dei bambini. L'ipotesi viene poi sviluppata, partendo anche dalla constatazione che il linguaggio è utile all'interno di una struttura sociale sviluppata - come quella di molti primati. Primo stadio, enunciati simbolici con un solo simbolo, come le prime parole dei bambini, senza sintassi - ed è rilevante notare che alcuni primati sembrano in grado di imparare simboli di questo genere, ma non li inventano autonomamente, a differenza per esempio dei bambini sordi: "A leopard alarm call can report the sighting of a leopard, but cannot be used to ask if someone has seen a leopard lately" (p. 239).

E da qui si sviluppa il resto.

In generale: in Foundations of language non tutto è convincente, ma mi sembra che, come dice anche Pinker, questo libro sia la cosa più simile a una visione complessiva e condivisibile del linguaggio che si sia vista negli ultimi decenni.

venerdì 6 febbraio 2009

Fletto i muscoli...

... e sono sul treno! O almeno spero, perché domani mattina alle 10 devo essere a Bologna a fare lezione alla Scuola di traduzione per il fumetto e l'editoria. Buona occasione per provare uno dei nuovi (!) Frecciarossa da Firenze a Bologna, e viceversa.

In quanto alla lezione, parlerò di linguistica applicata alla traduzione del fumetto. Ovvero, i diversi livelli di lingua dell'italiano contemporaneo (sulla scia di Berruto), e l'utilità di sapersi destreggiare dall'uno all'altro per fare qualche effetto comico.

Inutile dire che, per quanto non siano traduzioni, abuserò delle battute di Rat-Man. Ho già fatto un paio di presentazioni su questo tema, e anche un pezzo lungo in collaborazione con Andrea Plazzi e Fabio Gadducci, ma continuano a farmi ridere... Oltre a essere interessanti come esempio di uno dei pochi tipi di comicità italiana in cui si gioca sì tra livelli diversi, ma tutti interni all'italiano standard o neostandard.

Assieme a Rat-Man ci saranno poi diverse altre cose. Per esempio le traduzioni classiche di Li'l Abner (di Ranieri Carano), l'esame delle diverse traduzioni Marvel e DC fatto da Francesco Vanagolli, un sacco di esercizi pratici e altre cose ancora. Insomma, promettono di essere otto ore intense!

martedì 3 febbraio 2009

Darnton e Google


Prima dell'inizio dei corsi, tra una tesi e l'altra, ho un po' di tempo per fare le letture e schedature necessarie per le mie ricerche sul linguaggio del web. In questo periodo sto quindi accumulando un bel po' di letture ad hoc... e anche qualcosa sui margini.

Per esempio, ho scoperto che di recente la New York Review of Books ha pubblicato un bell'articolo di Robert Darnton su Google & the future of books. Per gli addetti ai lavori Darnton è un nome che non ha bisogno di presentazioni: ha studiato il commercio librario nell'età dell'Illuminismo, mostrando tra le altre cose come l'Encyclopèdie di Diderot fosse anche un grosso affare dal punto di vista economico. Anche in questo articolo compaiono del resto evocazioni da applausi a scena aperta:

"The eighteenth century imagined the Republic of Letters as a realm with no police, no boundaries, and no inequalities other than those determined by talent. Anyone could join it by exercising the two main attributes of citizenship, writing and reading. Writers formulated ideas, and readers judged them. Thanks to the power of the printed word, the judgments spread in widening circles, and the strongest arguments won."
Però, soprattutto, l'articolo è un intelligente bilancio delle possibilità e dei rischi collegati al recente accordo tra Google Books e un gruppo di autori e detentori di diritti. L'accordo è complesso, ma nella ricostruzione di Darnton

"... the class action character of the settlement makes Google invulnerable to competition. Most book authors and publishers who own US copyrights are automatically covered by the settlement. They can opt out of it; but whatever they do, no new digitizing enterprise can get off the ground without winning their assent one by one, a practical impossibility, or without becoming mired down in another class action suit. If approved by the court—a process that could take as much as two years—the settlement will give Google control over the digitizing of virtually all books covered by copyright in the United States."

Dietro ci sono possibilità e rischi. Penso che chiunque abbia usato Google Books si sia trovato di fronte a entrambi... da un lato la soddisfazione di scoprire che quello che ti interessa è all'interno di un libro specifico, e che senza Google non l'avresti mai trovato. Dall'altro la frustrazione di scoprire che non puoi accedere al contenuto, non perché ci siano problemi tecnici ma a causa della protezione dei diritti; e che la copia "legittima" più vicina è inaccessibile.

lunedì 2 febbraio 2009

Palfrey and Gassner, Born Digital


At the beginning, I have to say, I was not particularly impressed by this book. I had issues with the title and with the endless chatter about "Digital Natives", that is, young people. Luckily, things got better. The book is based upon solid research and good secondary literature.

Of particular interest to me were chapters 5 ("Creators"), 6 ("Pirates") and 8 ("Overload"). Chapter 12 ("Learners") should have been useful, but it does not include interesting data; it is mainly small talk, and we already have our share of this.

As for the the creation, the word is used here in broad sense, to say the least. It covers such "creative" tasks as posting messages to bulletin boards and so on. However, it is based upon an useful - I hope - report from OECD and it gives some useful data about writing practices. I will need to take the OECD report (and some section of this book, perhaps) into account for the first chapter of my book.

The Pirates chapter deals with copyright issues and it quotes a promising monograph by Ellickson, Order without Law. It is quoted also a short study by Goodenough and Decker ("Why Do Good People Steal Intellectual Property"), and this one also looks of great interest to me... If I could work again on my study on the intellectual property in Italian Renaissance.

The Overload chapter deals instead mainly with reading. Even in this case, the studies quoted look particularly interesting.

All in all, a quick pointer to some interesting works.

domenica 1 febbraio 2009

I giornali del fine settimana

Stranamente, oggi ho un po' di tempo per leggermi con calma i giornali del fine settimana. Vale a dire, i due supplementi che acquisto regolarmente da anni: Alias per il manifesto e il Domenicale per il Sole - 24 ore.

Sulla prima pagina del Domenicale oggi c'è un articolo di Donald Sassoon, l'autore della Cultura degli europei. Libro che promette molto, ma che nelle biblioteche di Pisa non è ancora arrivato, né in originale né in traduzione... per leggerlo mi sa che dovrò aspettare un po' (o ricorrere al prestito interbibliotecario, sperando che venga riattivato). L'articolo di oggi invece tratta in modo intelligente i problemi di diritto d'autore e di proprietà intellettuale, con un'occhio all'evoluzione degli e-book.

Anche in queste poche colonne a stampa compare comunque la ben nota miopia anglosassone sulle faccende di proprietà intellettuale. Sassoon ricorda una legge veneziana del 1474 per la tutela di ciò che oggi chiameremmo "brevetti", e poi si sbriga a spiegare che "ci volle qualche secolo perché il concetto di proprietà intellettuale venisse esteso alle cose stampate". Sic! E si passa allo Statuto della Regina Anna, che nel 2009 compie giusto trecento anni.

Miopia curiosa... gli studiosi inglesi sono da sempre all'avanguardia su queste ricerche, ma apparentemente le loro scoperte non escono dal giro dei rinascimentalisti. Le tutele veneziane sui libri a stampa sono cosa già medievale, e per tutto il Cinquecento l'industria editoriale veneziana è la prima al mondo, con una produzione annuale media che sospetto sia dalle tre alle dieci volte superiore a quella inglese del 1709 (dovrei controllare ma ho pochi dubbi). E' la tradizione inglese del copyright a essere un'interessante ma quasi sempre marginale parentesi, nella storia del libro a stampa - non certo il sistema veneziano. Forse il problema è che manca una monografia recente, in inglese, su questi temi: ne parlavo a Leeds con Richardson, appunto.

Sempre nel Domenicale, Carlo Ossola recensisce L'officina linguistica del Tasso epico. Quasi nulla si dice dell'aspetto linguistico; ma alcuni dei versi citati sono effettivamente bellissimi. Poi Ossola chiude dicendo che questa "officina" ci indica "un tratto specifico del 'patrimonio' linguistico italiano. Non fioriscono da noi astratti alberi chomskiani, lingue artificiali del paradiso dell'Unità Suprema, perché la nostra lingua è un incessante sgorgare di polle, discendere di rivoli, di dialetti e sopralingue che Andrea Zanzotto ha mirabilmente cantato, lingua, via lattea che non cessa di farsi amare, piena di sogni, come una notte di San Lorenzo." Beh, forse! E forse no. E certo la cosa ha ben poco a che fare con Tasso, che pur aperto a molti stimoli è ormai, per fortuna, poeta in lingua italiana senza ulteriori precisazioni (il primo tra i grandi).

Sulla pagina di fronte, anche Fofi chiude una doppia recensione parlando di lingua. Commentando Oltre Babilonia, un romanzo di Igiaba Sciego (nata in Italia da genitori somali), scrive: "a partire da libri come questo potrebbe essere già utile riaprire la disputa antica sulla nostra lingua, di fronte alla nuova distanza tra una lingua media ufficiale, diciamo così televisivo-mediatica e una lingua nuova non più impastata di dialetti nazionali ma degli apporti di lingue straniere, delle lingue e dei dialetti degli immigrati". Bon, su questi temi la "disputa", che poi non è affatto una disputa, l'hanno già aperta da tempo e la stanno tenendo aperta parecchi studiosi di Linguistica italiana, che studiano da un pezzo l'argomento. Peccato che Fofi non se ne sia accorto... e questa, per una volta, non credo sia colpa dei colleghi!

Su Alias invece ho letto alcune osservazioni un po' impastrocchiate sulle reti materiali (dai cavi sottomarini ai gasdotti), contrapposte a quelle immateriali. E poi, soprattutto, un buon articolo di Francesco Mazzetta sulla critica dei videogiochi. Due titoli da tener presente: Marc Prensky, Mamma non rompere: sto imparando (tradotto in italiano), e soprattutto lo studio che sembra sia alla base del lavoro divulgativo di Prensky, What Video Games Have to Teach Us about Learning and Literacy, di James Paul Gee. Anche questo manca nelle biblioteche pisane, ma sembra davvero interessante!

Condivisibili anche le conclusioni di Mazzetta: Wsolo lo sviluppo di una vera e significativa critica videoludica può far sì che le sparse membra degli studi di settore possano iniziare a parlare fra di loro con una lingua comune e di conseguenza può far riconoscere al videogioco lo status culturale che merita".

Nel settore Talpa libri Ivan Tassi recensisce l'edizione recente delle Memorie italiane di Goldoni. Un altro libro che sembra interessantissimo, e che non avrò mai il tempo di leggere...
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