venerdì 4 gennaio 2013

Quanti cittadini italiani sanno parlare italiano?

 
Proseguendo il discorso di ieri, è chiaro a tutti che il grosso delle persone capaci di parlare italiano è formato dagli italiani residenti in Italia. Qui, i dubbi sono pochi: oggi gli italiani danno per scontato di poter andare in qualunque città italiana, chiedere informazioni in italiano e ricevere risposte in italiano…
 
Cioè, d’accordo, lo dànno per scontato, ma non sempre il meccanismo funziona. A me è capitato di viaggiare in Italia, chiedere informazioni a qualche residente del posto e non riuscire a farmi intendere, o a intendere la risposta. L’ultima volta, se non sbaglio, mi è successo a Napoli, nel 2002: io e un amico (entrambi residenti in Toscana) abbiamo chiesto indicazioni a un passante sulla strada da prendere per la più vicina fermata dell’autobus – e la risposta, fornita in napoletano, è stata dettagliata, simpatetica e convinta. Al termine della spiegazione abbiamo quindi ringraziato profusamente, ci siamo avviati per la strada indicata con gesti entusiastici della mano e dopo qualche passo abbiamo fatto un controllo:
 
“Tu ci hai capito qualcosa?”
 
“No. E tu?”
 
“Nemmeno. Vabbè, chiediamo all’edicola…”
 
Succede di rado, ma insomma, succede. Quanto spesso, però? Cioè, in pratica, quanti italiani, anche di fronte a chi chiaramente proviene da tutt’altra area linguistica, oggi non sono capaci di esprimersi in italiano? La storia della lingua italiana sono famose le ricostruzioni di Tullio De Mauro, che nella sua Storia linguistica dell’Italia unita è arrivato alla conclusione che nel 1861 non più del 2,5 % della popolazione fosse in grado di esprimersi in italiano. Secondo Arrigo Castellani, la percentuale reale era invece il 10 %. Sparute minoranze, in ogni caso, mentre oggi la situazione è ben diversa. Ma se si deve fornire un numero, il dubbio resta.
 
Il problema base è dato dal fatto che nessuno va oggi in giro a controllare se gli italiani, uno per uno, sono in grado di parlare italiano. I censimenti generali, come quello che si è svolto nel 2011, nel loro questionario non rilevano direttamente informazioni pertinenti alla lingua (anche se in questo caso è stato chiesto agli interessati di segnalare, alla domanda 5.3, il titolo di studio più elevato conseguito, partendo da “Nessun titolo di studio e non so leggere o scrivere”, e questo è un dato che in passato ha avuto una forte correlazione con la conoscenza dell’italiano).
 
Tuttavia, qualche indagine in proposito viene fatta dall’ISTAT, che nel 2006 ha realizzato appunto un’indagine multiscopo su La lingua italiana, i dialetti, le lingue straniere su un campione di 24.000 famiglie residenti in Italia, corrispondenti a circa 54.000 individui. Agli intervistati è stato chiesto quale lingua parlassero in tre diverse situazioni: in famiglia, con amici e con estranei. Le possibilità erano 4:
 
  • solo o prevalentemente italiano
  • solo o prevalentemente dialetto
  • sia italiano che dialetto
  • altra lingua
 
Risultato: nella situazione in cui la spinta all’uso dell’italiano è più forte, cioè quella “con estranei”, il 91,8% dei residenti dichiara di parlare “solo o prevalentemente italiano” oppure “sia italiano che dialetto” (rispettivamente, il 72,8 e il 19%). Parla invece “solo o prevalentemente dialetto” il 5,4% dei residenti, e un’“altra lingua” l’1,5% (non mi è chiaro che cosa parli, invece, l’1,3 % che manca a queste percentuali per arrivare al 100%). Prendendo per buono questo dato, quindi, almeno il 91,8% dei residenti ritiene di essere in grado di parlare italiano – e, poiché l’analisi non distingue chi ritiene di parlare “solo” dialetto da chi ritiene di parlare dialetto solo “prevalentemente”, il 5,4% dei residenti potrebbe essere collocato a un estremo o a un altro. Nel caso pessimo si ha quindi un 91,8% di residenti in grado di parlare italiano. Il che non è male, se si considera che i dati del censimento 2011 stimano che il 9 ottobre 2011 in Italia ci fossero in totale 59.433.744 residenti (p. 2), di cui 4.029.145, cioè il 6,8% circa, cittadini stranieri (p. 16; la differenza, cioè il numero di cittadini italiani residenti in Italia, è quindi di 55.404.599).
 
Naturalmente, non tutti gli stranieri ignorano l’italiano e non tutti gli italiani residenti in Italia lo conoscono. E nel 2006 la percentuale di stranieri residenti era senz’altro inferiore a quella del 2011. Però, in sostanza, non si va lontani dal vero se si stima che oggi quasi tutti i cittadini italiani si sentano in grado di parlare italiano – e l’esperienza quotidiana conferma questa convinzione, con uno scarto che al massimo può essere di pochi punti percentuali.
 
Mi ha colpito invece che la Premessa alla recente Enciclopedia dell’italiano Treccani il direttore, Raffaele Simone, dichiarasse che “è ancora molto alto il numero degli italiani che parlano solo dialetto, o perché non hanno mai imparato l’italiano o perché nel dialetto sono tornati a scivolare. Ciò significa che decenni e decenni di istruzione obbligatoria non hanno avuto il risultato che ci si aspettava” (p. VIII). Di sicuro, queste considerazioni si conciliano poco con il citato dato ISTAT secondo cui la somma degli italiani che parlano “solo” o “prevalentemente” dialetto è pari al 5,4 % del totale. Anche ammettendo che lo parlino tutti “solo” (anziché “prevalentemente”), e che lo facciano perché incapaci di fare altrimenti e non per scelta, il 5,4 del totale non sembra un numero “molto alto”. Né un fallimento del sistema di istruzione obbligatoria, visto che, come dice Gaetano Berruto nella stessa Enciclopedia, nel bell’articolo Sociolinguistica, partendo proprio dai dati ISTAT del 2006, si può stimare che in Italia esista:
 
una piccola minoranza (di entità difficile da quantificare, forse attorno al 5%, e da cercare prevalentemente fra coloro che sono privi di qualunque titolo di studio), soprattutto nelle generazioni più vecchie e in Italia meridionale, di persone che parlano solo dialetto (p. 1372).
 
Persone su cui, appunto, l’istruzione obbligatoria non ha avuto effetti: non perché fosse incapace di averli, ma perché gli individui le sono sfuggiti, come è accaduto per fasce di popolazione tanto più ampie quanto più si va indietro nel tempo o si scende verso sud. E forse oggi in parte identificabili con gli immigrati, tra cui è possibile che ce ne siano alcuni (quanti?) che oggi sanno parlare un dialetto italiano, ma non l’italiano standard.
 
Del resto, tutta la Premessa di Simone all’Enciclopedia contiene diversi altri punti discutibili. Per esempio, a p. VII si dice che Ariosto, Alfieri, Goldoni, Manzoni e Svevo “non parlavano italiano!” (con punto esclamativo finale). Cioè, in che senso? A parte Ariosto, che visse prima che si potesse parlare di italiano vero e proprio, tutti i letterati citati arrivarono nel corso delle loro vite a parlare tranquillamente italiano, pur non avendolo come lingua madre. No, su questo penso si possa stare tranquilli: così come i letterati italiani degli ultimi secoli sono stati di regola in grado di parlare italiano, oggi quasi tutti gli italiani sono in grado di fare altrettanto (così come molti stranieri). Ci si può chiedere semmai con quanta disinvoltura e proprietà lo parlino, ma questo è un altro discorso.
 

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