giovedì 10 gennaio 2013

Il peso del fiorentinismo di Manzoni

 
Francesco Hayez, Ritratto di Alessandro Manzoni, da Wikipedia in lingua italiana
Ieri ho fatto qualche altro intervento sulla voce Lingua italiana di Wikipedia. Soprattutto ho riscritto un capoverso che, nella sezione Diffusione dell'italiano nell'uso quotidiano, diceva:
 
L'italiano rimase lingua di uso quotidiano per fasce molto ridotte della popolazione almeno fino alla seconda metà dell'Ottocento. A questo punto si deve a un altro pioniere della lingua italiana, Alessandro Manzoni, l'aver adottato il fiorentino come lingua ufficiale dell'Italia, che proprio allora stava nascendo come nazione. La sua decisione di donare una lingua comune alla nuova patria, da lui riassunta nel celebre proposito di «sciacquare i panni in Arno»,[12] fu il principale contributo di Manzoni alla causa del Risorgimento.[13]
 
Al di là dell’uso di definizioni di tipo giornalistico cui è molto difficile dare un senso preciso (tipo “pioniere della lingua italiana”), dal punto di vista scientifico in queste poche frasi ci sono molte cose che non vanno. Per esempio, Manzoni non “adottò” affatto il fiorentino “come lingua ufficiale dell’Italia”. Né si vede come un singolo cittadino, sia pure Senatore del Regno d’Italia nell’ultima parte della propria vita, avrebbe potuto farlo. E anche le date non tornano.
 
Al di là della faccenda della “lingua ufficiale”, però, la scelta fiorentina di Manzoni ha davvero lasciato un segno sull’evoluzione successiva dell’italiano?
 
Di sicuro, Manzoni ha contribuito moltissimo all’avvicinamento della lingua scritta a quella parlata. E alla fine dell’Ottocento l’imitazione del fiorentino parlato divenne di gran moda nella letteratura italiana. Tuttavia, è altrettanto evidente che molti tratti linguistici fiorentini lanciati da Manzoni e dai manzoniani non sono stati poi conservati dalla lingua: come si dice spesso, il dizionario di Giorgini e Broglio (pubblicato dal 1870 al 1897) si intitolava Novo vocabolario, alla fiorentina, ma l’italiano del Novecento ha saldamente seguito il modello dittongato degli scrittori del Trecento e della tradizione, e ha continuato a scrivere novo, buono e così via. E nei Promessi sposi un filatore lombardo può dire “La c’è la Provvidenza!”, ma oggi al telegiornale non si dice “La c’è una novità!”
 
Come bilancio sul manzonismo, per un po’ di tempo è andata del resto di moda la tesi decisa di Carlo Dionisotti, che nella sua Geografia e storia della letteratura italiana (Torino, Einaudi, 1967) diceva seccamente che “non pare che la dottrina manzoniana (…) abbia avuto alcuna efficacia sullo sviluppo della cultura italiana” (p. 101). Su questa linea, grosso modo, si collocano interventi di diversi altri, che hanno negato l’influenza delle scelte linguistiche di Manzoni, e del fiorentino in generale, sull’italiano moderno: il consenso è che Manzoni abbia dato un forte contributo all’eliminazione degli arcaismi e dei tratti letterari dell'italiano, ma che la sua spinta all’imitazione del fiorentino sia stata riassorbita presto.
 
Nel 1986 però Arrigo Castellani ha pubblicato un Consuntivo della polemica Ascoli-Manzoni (ora nei Nuovi saggi di linguistica e filologia italiana e romanza (1976-2004), a cura di Valeria Della Valle, Giovanna Frosini, Paola Manni e Luca Serianni, Roma, Salerno Editrice, 2009, tomo 1, pp. 139-162). Castellani sostiene “che l’efficacia culturale della teoria manzoniana e l’influsso linguistico toscano sono stati di notevole rilevanza” (p. 162), e basa questa sua valutazione su alcuni casi in cui la lingua italiana ha compiuto tra Otto e Novecento un “progresso verso l’uso toscano” (p. 157). I casi discussi da Castellani sono tuttavia solo quattro, e, a parte l’ultimo, molto definiti e non suscettibili di ampliamento attraverso ulteriori ricerche:
 
  • la riduzione a -o dei dittonghi in -uo- dopo consonante palatale (giuoco che è diventato gioco, e via dicendo: p. 157)
  • la diffusione della costruzione impersonale di I persona plurale nei verbi (“noi si fa” al posto di “noi facciamo”: p. 158)
  • la sostituzione della desinenza in -a della prima persona dell’imperfetto indicativo con la desinenza in -o (per cui da “io mangiava” si passa a “io mangiavo”: p. 159)
  • la fraseologia, illustrati con esempi ripresi dalle parole fiato e mano (per la diffusione di modi di dire toscani come “riprender fiato”: pp. 159-160)
 
Quattro tratti non sono poi moltissimi, rispetto per esempio ai circa 60 che oggi definiscono l’italiano neostandard. E anche in seguito, non mi sembra che nessuno abbia allungato la lista. Supponiamo quindi che oggi qualcuno mi chieda: “ma, a partire dall’Ottocento, il fiorentino quanto ha influenzato la fonetica, la morfologia e la sintassi dell’italiano?” La mia risposta, anche tenendo conto delle argomentazioni di Castellani, direi che dovrebbe essere “piuttosto poco”. E nella revisione della voce di Wikipedia ho quindi preferito non conservare riferimenti a Manzoni, né alla moda fiorentineggiante da lui inagurata: argomenti che penso sia meglio trattare solo quando si scende più nel dettaglio.
 

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