mercoledì 26 maggio 2010

Kindle, iPad e studio

Siamo sempre a livello di aneddoti, ma un articolo recente mostra ancora una volta i limiti pratici di Kindle e assimilabili quando non si tratta di leggere romanzi, ma di studiare: Amazon.com's Kindle fails first college test di Amy Martinez, pubblicato dal Seattle Times, riferisce di problemi ben noti. Con il Kindle non ci si muove facilmente all'interno di un testo, e non si possono prendere facilmente appunti, eccetera.

Le cose andranno meglio con l'iPad? Forse marginalmente meglio, vista l'interfaccia più sofisticata. Ma dubito che il cambiamento sia tale da non far rimpiangere la carta.

martedì 25 maggio 2010

Beda il Venerabile salverà il Tibet?


Oggi, 25 maggio, sia la Chiesa cattolica sia quella anglicana festeggiano Beda il Venerabile - uno dei punti di riferimento per il cristianesimo britannico in età altomedievale. A volte Beda viene ricordato come "padre della nota a piè di pagina" (affermazione che richiede un bel po' di precisazioni); il suo ruolo nell'affermazione della divisione delle parole secondo lo standard moderno sembra invece più limitato. Tuttavia, essendo uno dei massimi letterati nel luogo e nel momento in cui sembra affermarsi la divisione moderna delle parole, il suo nome compare spesso anche nel libro di Saenger che sto finendo in questi giorni di leggere e schedare.

Che cosa c'entra il Tibet? Beh, uno degli aspetti più curiosi della storia della scrittura è la riciclabilità dei modelli. Facendo una ricerca in rete sul modo in cui è stato recensito il libro di Saenger, ho scoperto che Space between words viene indicato come punto di riferimento per una riforma della scrittura tibetana. Una studentessa tibetana di Harvard, Tenzin Dickyi, lo cita infatti ampiamente, come ispirazione, in un recente contributo intitolato Breathing Space: How Word Separation Can Save the Tibetan Language in cui si propone una riforma della scrittura tibetana:

Tibetans of our generation do almost all of our reading and writing in a foreign language and almost none in Tibetan. When young Tibetans trained outside the monastic system – who constitute the majority – cannot write a decent letter in Tibetan or read a sentence without tripping over at least three words, we have a crisis at hand. What’s to be done? The root of the problem is quite simple: we cannot write Tibetan well because we almost never read Tibetan, and we almost never read Tibetan because it is so difficult to read it. And there’s one very simple way to immediately ease the difficulty of reading Tibetan: word separation. Adding a space between words so that we can see each word as an immediate discrete unit having visual meaning will simplify the daunting task of reading Tibetan script overnight.

Insomma, rendere più facile la lettura aggiungendo gli spazi tra le parole aiuterebbe a salvare la cultura tradizionale tibetana. Qualche applicazione pratica del principio si trova poi su un altro blog, apparentemente curato dal fratello di Tenzin Dickyi. Ma il meccanismo può servire davvero?

La risposta è complicata, perché i tibetani hanno scelto secoli fa un percorso in salita: pur avendo una lingua molto vicina al cinese, hanno adottato un sistema di scrittura ripreso dall'India. Molti osservatori, incluso Fosco Maraini, sono partiti da questa nota per fare osservazioni di portata generale sulla cultura del Tibet (ne parlavo un paio d'anni fa in un altro post). La Blackwell Encyclopedia of writing systems scritta da Florian Coulmas conferma la difficile situazione. In tibetano, non solo "Syllables are written from left to right one next to another with no word division" e non c'è modo di indicare i toni, ma.

... never having been reformed since the standardization of the orthography during the reign of King Rapalcan (815-36), the spelling conventions of Tibetan are conservative with rather involved grapheme-phoneme correspondences which make for difficult reading... Tibetan exists in a situation of diglossia. Until recently, writing was largely restricted to classical Tibetan. A standard of modern literary Tibetan has emerged in the twentieth century (pp. 502-503).

Insomma, probabilmente Beda il Venerabile da solo non sarà sufficiente. Però purtroppo temevamo una cosa del genere, anche in base ad altri fattori...

venerdì 21 maggio 2010

Cut-up

Oggi ho fatto l'ultima lezione dell'ultimo corso - con un po' di dispiacere, perché quest'anno gli argomenti erano particolarmente interessanti! (Beh, almeno per me...)

Comunque l'ultima lezione di Linguaggio del web si è conclusa con alcuni esempi di cut-up classico nello stile di Brion Gysin e William Burroughs. Per l'occasione, ho anche fatto vedere una curiosa applicazione in linea: la William S. Burroughs' & Brion Gysin's Ncon-Linear Adding Machine. Il titolo rimanda obliquamente all'attività di famiglia dei Burroughs a partire dal 1886: costruire macchine addizionatrici.

Il risultato del cut-up? Non molto leggibile, in effetti. Però non è questo ciò che conta, apparentemente... E in ogni caso, spero sia stato interessante il giochino che abbiamo fatto negli ultimi minuti: prendere un po' di parole ritagliate a caso da un articolo di Cory Doctorow e provare a ricombinarle. Attività che come minimo mostra quanto sia difficile produrre un testo sensato con mezzi puramente meccanici.

E a proposito: aggiungo anche un link alle registrazioni delle poesie di Gysin. Consiglio in particolare I am.

mercoledì 19 maggio 2010

Roncaglia, La quarta rivoluzione


È appena uscito, e me lo sono comprato al volo, La quarta rivoluzione. Sei lezioni sul futuro del libro, di Gino Roncaglia.

Il libro è un ottimo testo divulgativo, e ha l'incomparabile vantaggio di essere aggiornato a questa primavera... fino all'annuncio dell'iPad, e prima della sua commercializzazione in Italia. Se si cerca un testo unico sulla questione dei libri elettronici, al momento non c'è niente di meglio in italiano - e niente di immediatamente confrontabile nemmeno in altre lingue. Quindi è una lettura assolutamente consigliata.

A livello di informazioni di contorno, il libro ha anche un sito di riferimento (e un gruppo su Facebook). Il libro è anche come e-book - cosa naturale, ma tutt'altro che scontata - e tra poco dovrebbe comparire anche nel catalogo della nuova sezione ebook di IBS.

Per quanto riguarda i contenuti, le sei "lezioni" presentano, in modo piacevolmente discorsivo, gli argomenti indispensabili. Trasformando i titoli evocativi delle lezioni (per esempio, la prima si intitola Il libro e il cucchiaio) in indicazioni più referenziali, la suddivisione grosso modo sarebbe:

1. caratteristiche delle interfacce di lettura
2. definizione del libro elettronico
3. storia dell'e-book, con molta attenzione ai problemi pragmatici di usabilità
4. codifica dei testi
5. gestione dei diritti e distribuzione
6. prospettive per il futuro

Come sintesi dello stato delle cose, sembra difficile immaginare qualcosa di meglio - o anche semplicemente di diverso (anche se qualcosa di più dirò a fine post). Semplicemente, se si vuole un orientamento intelligente sugli e-book, oggi questo è il libro da cui partire.

Anche a livello di dettaglio, la qualità del lavoro è notevole. La terza "lezione", che nell'originale si intitola Dalla carta allo schermo (e ritorno?), per esempio, rappresenta la miglior storia dell'e-book che abbia letto finora, in qualunque lingua: non solo per copertura e livello di dettaglio, ma soprattutto per la selezione delle cose da dire - quelle importanti, in sostanza!

Limiti del testo? Una volta detto che il libro è assolutamente consigliato, proprio la minima portata delle osservazioni che si possono fare rende l'idea di quanto sia ben fatto il lavoro. Per esempio, a p. 127, a proposito di codifica di testo, si parla di marcatori testuali che, si dice, "vengono convenzionalmente inseriti fra una coppia di parentesi chiuse". Vero per alcuni linguaggi, molto meno per altri - a cominciare dai formati per descrivere le pagine! Oppure a p. 151: di un programma come "Kindle for iPhone" si dice che "non è certo all'altezza di programmi come Stanza". Sicuro? Meno versatile, senz'altro, ma la qualità tipografica e di interazione mi sembra come minimo paragonabile, se non superiore. A p. 141 si parla del lettore Blio come se già fosse disponibile, e invece non lo è...

Insomma, dettagli minimi all'interno di un libro importante. Che cosa poteva esserci di più, e non c'è? Direi semplicemente una cosa - fondamentale, ma su cui in effetti la riflessione oggi è molto indietro: la descrizione dei motivi e delle tecniche per cui si legge. Qualcosa si trova, sparso nel testo, ma sono accenni che per lo più ruotano attorno a una distinzione un po' troppo schematica, quella tra fruizione lean back (rilassata) e lean forward (tipica di chi lavora con un testo, correggendo, scrivendo, etc.). Su questo punto anche le osservazioni sembrano un po' arretrate. Alle pp. 93-94 viene riportato, per criticarlo, un luogo comune legato "alla testualità elettronica":

quello secondo cui la fruizione digitale può funzionare per opere di reference, e non può invece funzionare per la letteratura e le opere che corrispondono a grandi linee alla categoria editoriale della 'varia': saggistica e divulgazione caratterizzate da un impianto fondamentalmente lineare e da una struttura comunque in qualche misura narrativa.

La critica a questo luogo comune viene fatta da Roncaglia sulla base dei prevedibili sviluppi futuri. Ma in effetti già dal 2007 il successo del Kindle ha mostrato che la narrativa e la 'varia' si leggono benissimo sui libri elettronici. È la lettura a fondo, per ragioni di studio, che crea problemi: annotazione, schematizzazione di testi, e così via. Insomma, su questo punto la realtà è già andata avanti rispetto alle nostre discussioni - e la prossima sfida del mercato, a me, sembra esattamente questa: produrre soluzioni hardware e software che si possano usare per il lavoro, non solo per la lettura rilassata.

martedì 18 maggio 2010

La data del Libro di Mulling


La paleografia è una di quelle scienze in cui i margini di incertezza sono sorprendentemente ampi. Dicevo nell'ultimo post che Paul Saenger colloca la scrittura del Libro di Mulling entro il 692, cioè immediatamente a ridosso della morte di Teodoro di Tarso in Inghilterra.

Facendo una ricerchina con JSTOR, vedo però che i contributi più recenti assegnano il Libro di Mulling a una data ben più tarda. In un articolo di Lawrence Nees (accessibile in rete, temo, solo attraveso istituzioni che hanno un abbonamento JSTOR), Reading Aldred's Colophon for the Lindisfarne Gospels, pubblicato su Speculum, 78, 2 (aprile 2003), pp. 333-377, dopo la citazione del Libro di Armagh (databile all'807), si legge a p. 362:

the Book of Mulling (Dublin, Trinity College Library, MS 60) may be earlier, perhaps mid- to later eighth century, although a later dating well into the ninth century has been pro posed, but the colophon makes the manifestly false claim that the manuscript was written by the monastery's founder, St. Moling, active several centuries earlier (fol. 94r: "nomen h. scriptoris mulling dicitur"); this manuscript also had an elaborate cumdach of later manufacture.

Come fonte di informazione, Nees rimanda al proprio articolo The Colophon Drawing in the Book of Mulling: A Supposed Irish Monastery Plan and the Tradition of Terminal Illustration in Early Medieval Manuscripts, pubblicato nei Cambridge Medieval Celtic Studies, 5 (1983), pp. 67-91, che non sono riuscito a recuperare al volo. Però sospetto che Nees si sia autocitato correttamente...

Insomma, l'affermazione di Saenger secondo cui il Libro di Mulling risale al settimo secolo non sembra universalmente condivisa. Il che cambia parecchio le cose per quanto riguarda la ricerca dei primi esempi di scrittura separata, l'influenza dei vangeli siriaci sulla cultura delle isole britanniche, e così via.

lunedì 17 maggio 2010

Gli inizi della separazione delle parole

Paul Saenger non ha dubbi: la pratica di separare sistematicamente le parole latine (in contrapposizone rispetto alla scriptura continua) è iniziata in Irlanda e in Inghilterra durante il VII secolo. Ancora più interessanti di questa constatazione sono però le cause:

The first separated Latin manuscript books in western Europe were Irish, and their text format was probably inspired by Syriac Gospel books. The first datable word-separated manuscripts are Dublin, Trinity College 60 (A.I.15), the Book of Mulling (before 692), and Schaffhausen, Stadsbibliothek Generalia I, Adomnan's Vita Columbae (before 713) (p. 83).


Da qui si è poi diffusa, molto gradualmente, nel resto d'Europa. Ma è interessante che Saenger indichi esplicitamente come fonte i vangeli siriaci. Più avanti, p. 124, dice anche che:

It seems (...) that Semitic word separation had its first direct impact on the Latin page when seventh-century Irish scribes were exposed to Syriac models. Documentation of Syriac influence on Ireland, however, is scanty (!), compared with that of the Arabic on tenth-century writing.

Indeed. Si sa peraltro che l'influenza siriaca è stata molto forte sulla chiesa inglese delle origini. Teodoro di Tarso, ottavo arcivescovo di Canterbury, grande riformatore della chiesa e dell'educazione inglese, veniva (appunto...) da Tarso - e sicuramente si portò dietro allievi e manoscritti. A Canterbury poi morì, nel 690: più o meno mentre, secondo la datazione di Saenger, veniva scritto il Libro di Mulling. La situazione era simile anche in Irlanda? Di sicuro si parla spesso di un'influenza artistica dei modelli siriaci sull'arte irlandese... ma saper leggere l'alfabeto siriaco era un altro paio di maniche! A una prima ricerca, non ho trovato molte informazioni. Però, di sicuro, l'idea che la moderna separazione delle parole derivi dall'applicazione di modelli semitici-mesopotamici nell'Irlanda medievale ha il suo fascino.

lunedì 10 maggio 2010

Un esempio poco comprensibile

Nel libro di Saenger le cose interessanti sono molte. Devo dire che però sono piuttosto perplesso sul modo in cui sono presentate. Gli esempi spesso non sono molto chiari, e a volte il rapporto tra le immagini presentate e il testo è semplicemente incomprensibile.

Per esempio, Saenger parla dell'uso della legatura sospesa (suspended ligature), e lo fa introducendo il concetto della presenza, in "some aerated scripts", di "ligatures extending across syllabic space". Queste ultime indicano che una sillaba che potrebbe essere una parola autonoma o parte di una parola più lunga è in realtà, in quel punto, appunto una parte di parola (p. 67). Per esempio cor "as in cor-de (Figure 15)".

Fin qui tutto bene. Solo che l'esempio portato in figura, proveniente da un manoscritto di Amiens, non mi sembra porti esempi di queste legature "extending across syllabic space". Le prime righe del testo, in cui compaiono le parole cor, corde e cor, mi sembrano scritte in questo modo:

...tdei vobis cor omnibus utcolatis eum. & faciatis
eius voluntatem. corde magno & animovolen
te. Adaperiat cor vestrum inlegesua & inpre[ceptis]

A parte l'ambiguo "tdei" all'inizio, in cui non sono nemmeno tanto sicuro della trascrizione, la scrittura non è ancora non conforme all'uso moderno per diversi motivi. Intanto, diversi monosillabi (congiunzioni e preposizioni) non sono separati dalle parole polisillabe seguenti: accade con utcolatis, inlegesua e inpreceptis; e nel secondo caso non viene separato nemmeno l'aggettivo possessivo dal sostantivo, così come non vengono separati sostantivo e participio in animovolente. Saenger considera "separated" in senso moderno, invece che "aerated", solo i testi in cui spazi e altri segni di divisione "fall regularly between every word, with the exception only of monosyllabic prepositions and certain other short and generally monosyllabic function words" (p. 30). Secondo la sua terminologia, quindi, questo è un testo "aerated", e siamo d'accordo.

Però, esaminando la riproduzione, la r di corde (seconda riga) non mi sembra si estenda attraverso alcuno spazio sillabico. Il tratto orizzontale termina con una riga sottile, che è decisamente più lunga di quella del cor nella prima riga; però mi sembra in pratica analoga come forma e lunghezza a quella di cor nella terza riga, cui fa seguito uno spazio bianco. Anzi, la r del cor di terza riga mi sembra più larga di quella di corde (4 mm contro 3,5). Né mi sembra diversa la r di Adaperiat. E allora? In che senso una r in corpo di parola, identica a una r in fine di parola, può essere considerata una "legatura"?

Inoltre, in questo testo non vedo "syllabic spaces" all'interno di parola - cioè proprio il tipo di spazi su cui la "legatura" si dovrebbe estendere. Tutti gli spazi che vedo corrispondono a suddivisioni di parola.

Certo, può darsi che la scarsa qualità della riproduzione renda la faccenda più misteriosa di quel che è. Però due righe di commento in più da parte di Saenger avrebbero potuto (forse) chiarire l'esempio, che invece rimane piuttosto misterioso - come diversi altri.

Oltre il vetro

Alla fine, sì: ripensandoci, direi che a leggere un libro su un Kindle o su un iPhone con emulatore di Kindle non si ha affatto la sensazione di leggere qualcosa "sotto vetro" - a differenza di quel che accade con il computer. Si ha la sensazione di leggere qualcosa che, beh, si tiene in mano... come in un libro su carta.

Per il resto, i dettagli minimi a volte fanno la differenza. Cliccare sui simboli delle note è molto facile su iPhone, ma tornare dalla nota al testo richiede di solito due tocchi (uno per attivare il menu, uno per cliccare sul tasto "indietro"). Al contrario, cliccare sui simboli delle note è un logorio sul Kindle senza touchscreen, in cui ci si deve muovere con il cursore... ma, una volta arrivati a destinazione, il tasto "back" permette di ritornare al punto di partenza - ed è molto più simpatico da usare rispetto a un libro su carta.

Insomma, al solito, vantaggi e svantaggi. E l'hardware fa la differenza.

venerdì 7 maggio 2010

The Space Between


Se fossi la Dave Matthews Band, ci farei sopra una canzone e proverei a scalare la hit. Se fossi un filosofo francese di quelli che andavano di moda qualche anno fa, scriverei qualche pensosa riga sullo spazio bianco, "ce signe qui n'est pas un signe et qui pourtant, avec ce coleur de nuage, donne à nos signes la signification..."

Ok, si è capito dove si va a parare.

Se fossi invece un bravo paleografo, scriverei un libro come Space between words. The origins of silent reading, di Paul Saenger. Pubblicato nel 1997, credo che sia ancora il testo di riferimento per problema circoscritto, ma fondamentale: da chi, come, quando e perché sono stati inventati gli spazi tra le parole nella scrittura latina?

L'introduzione, in quindici pagine, richiama alcuni punti base, spesso non così evidenti nemmeno agli addetti ai lavori:

1. le scritture mediterranee prealfabetiche dividevano le parole con spazi

2. le scritture alfabetiche, dal greco in poi, hanno fatto spesso a meno degli spazi tra le parole, che a Roma erano per esempio del tutto assenti nella scriptura continua di età imperiale - e che in effetti non sono del tutto indispensabili per decifrare un testo

3. a un certo punto, con modalità da precisare (nel corso del libro), tra il sesto e il dodicesimo secolo, anche nella scrittura latina sono comparsi gli spazi

4. l'esistenza di questi spazi permette al lettore di scorrere i testi in modo molto più rapido, evitando in pratica una fase di "interpretazione a voce" e consentendo la nascita del "reference reading" moderno.

Fermiamoci su quest'ultimo punto. Gli antichi sapevano leggere in silenzio, senza muovere la bocca? La risposta è incerta, perché il modo in cui gli autori antichi descrivono la lettura è in moltissimi casi ambiguo. Uno dei rari esempi di lettura sicuramente silenziosa viene citato da Saenger in nota , a p. 299: nelle Eroidi di Ovidio (XXI, 1-4) Cidippe scrive ad Aconzio dicendo di aver letto in silenzio l'ultima lettera ricevuta dall'amato. Ma, appunto, l'ha letta in silenzio come caso eccezionale e per precauzione:

Littera pervenit tua quo consuevit, Aconti
et paene est oculis insidiata meis.
Pertimui scriptumque tuum sine murmure legi,
iuraret ne quos inscia lingua deos.

Insomma, su questo punto Saenger si schiera lungo la linea di interpretazione, inaugurata credo da Nietzsche, che ritiene eccezionale il caso descritto da Agostino alla fine dell'età classica: Sant'Ambrogio che d'abitudine leggeva senza muovere la bocca, sorprendendo e turbando gli spettatori. Non tutti sono d'accordo con questa ricostruzione (per esempio, Mary Carruthers ne presenta una diversa in The book of memory), ma anche a me sembra la più plausibile sulla base dei dati forniti dai testi - oltre che la più suggestiva.

Il succo del discorso di Saenger è poi semplice: nel Medioevo i copisti hanno iniziato a suddividere la riga usando spazi bianchi tra caratteri. La cosa più sorprendente è però che, in una prima fase, a volte gli spazi non erano inseriti sistematicamente tra parole. Delimitavano solo blocchetti di testo, di quindici-venti caratteri. Saenger parla a questo proposito di "aerated script", e la descrizione di questo sistema, alle pp. 32-44, è interessantissima. In alcuni casi, per esempio partendo da manoscritti che presentavano una suddivisione grafica in frasi (cola e commata), il processo

... altered the composition of the written page from long word blocks roughly corresponding to grammatical units of meaning to shorter sub-blocks devoid of any but coincidental correspondence to syntactical units. While this process did not enhance the role of space as a cue to meaning, the greater frequency of space within texts must hava had direct and salutary implications for saccadic ocular movement (p. 33).

Preparare appigli per l'occhio, insomma, aiuta la decifrazione dei testi anche se si interviene in maniera casuale, senza connessione con il significato! Saenger non dimostra questo punto, ma le mie sensazioni sul modo in cui si decifra i testi sono del tutto in sintonia con questa ricostruzione.

Come poi si sia affermata la divisione moderna delle parole... questo lo racconta il resto del libro. Una ricostruzione piuttosto dettagliata, che spero di poter riassumere più avanti.

martedì 4 maggio 2010

Carruthers, The book of memory


Lo scopo di questo libro è ambizioso: mostrare che la cultura medievale in molti aspetti è stata influenzata dalle tecniche di memorizzazione.

Ci riesce? In buona parte sì. Inoltre, ho letto la prima edizione del libro (1990), non quella uscita aggiornata nel 2008, e sospetto che negli anni trascorsi l'argomentazione si sia fatta più raffinata o, perlomeno, più completa.

In sostanza, quella descritta è una situazione in cui si dava per scontato che i libri, così come le altre forme di sapere, venissero fatti propri dai lettori. Memorizzati parola per parola, o almeno assimilati profondamente nei contenuti. I libri quindi non venivano usati come contenitori passivi di dati, ma, spesso, come strumenti per facilitare la memorizzazione. Al servizio di questo obiettivo, nella svolta di fine Cento di cui parla anche Ivan Illich, venivano messi anche numerosi tratti materiali: impaginazione, immagini di supporto, note a margine e così via. Tratti che poi (anche se nel libro non se ne parla) hanno finito per consentire un tipo di lettura diversa - la nostra, moderna, basata non più solo sull'assimilazione, ma anche su skimming e scanning.

Dei dettagli spero di parlare più avanti. Resta il fatto che il libro è un lavoro molto interessante - e ancora più interessante per chi, come me, spesso si sente andar via la memoria un po' troppo in fretta...

Le basi

... e comunque, sì, sarà banale, ma ogni tanto le cose importanti occorre dirle: dirle agli altri, e dirle a sé stessi...

lunedì 3 maggio 2010

Cercare il bisnonno con Google Books

Tornando al discorso di Google Books: qualche mese fa ho fatto un po' di prove per vedere come funziona il meccanismo. Io ho la fortuna di avere un cognome che in pratica rappresenta una chiave univoca di ricerca: la sequenza di caratteri "tavosanis" non è mai stata usata, apparentemente, in alcuna lingua del mondo o in alcun sistema di scrittura, se non per indicare i miei parenti lato paterno... Quindi, una ricerca genealogica mi è sembrata un buon modo per partire.

Un vantaggio ulteriore è dato dal fatto che dal lato paterno le cognizioni sulla storia della mia famiglia si fermano incredibilmente presto. A domanda su chi fosse suo nonno, mio padre ha risposto: "Credo [sic!] che si chiamasse Osvaldo". Nient'altro. Quindi, c'era un buon margine di miglioramento. Qualche mese fa ho fatto quindi una ricerca, e ho scoperto un po' di cose interessanti. Altre le ho scoperte ripetendo la ricerca in questi giorni.

Partiamo dall'attualità. Inserire oggi "Osvaldo Tavosanis" (senza virgolette) su Google porta un sacco di link, ma sono tutti non pertinenti (due di questi riguardano un "Osvaldo Tavosanis" contemporaneo). Se però si fa la ricerca su Google Books le cose cambiano: il primo risultato è un libro di Luigi Huetter, Iscrizioni della città di Roma dal 1871 al 1920, pubblicato nel 1962 (Google Books presenta poi il libro in tre diverse versioni, nel solito modo confuso, ma il testo sembra sempre il solito). Insomma, non tutto ciò che è in Google Books salta fuori con la normale ricerca di Google.

Poi, arriva la frustrazione. Il nome viene visualizzato, ma solo come frammento di un elenco che secondo Google proviene dalla p. 263 del libro:







Di quale elenco si tratta? Non si sa, perché Google Books non permette di vedere altro. Cautele fatte per il diritto d'autore, d'accordo; ma qui la citazione senza indicazione della lista non è molto interessante. Se si cerca "Tavosanis" all'interno del libro, inoltre, al posto del brano appena indicato compare un rinvio all'indice dei nomi (pagina 575). Però la visualizzazione in questo caso mostra un frammento non pertinente, visto che è stato tagliato qualche millimetro sopra il punto giusto:







Soprattutto, qualche mese fa avevo fatto la stessa ricerca e accanto al libro di Huetter era saltato fuori un risultato che spiegava tutto, proveniente dall'Albo d'oro dei caduti della I Guerra Mondiale:

42 TAVOSANIS Osvaldo fu Leonardo 21-05-1881 soldato 2° Reggimento Fanteria 03/09/1917

Qui sì che c'era un condensato di informazioni: il nome del trisnonno, le date di nascita e di morte del bisnonno e, implicitamente, il motivo della sua prematura scomparsa (il 3 settembre del 1917 era in pieno svolgimento, tra l'altro, la battaglia di Monte San Gabriele, appena dopo la conclusione dell'undicesima battaglia dell'Isonzo). Però adesso questo testo, attraverso Google, non sembra più rintracciabile in nessun modo... Un po' frustrante, in effetti!

Riassumendo: Google Books (o "Google libri", come dice la versione italiana del sito) è uno strumento incredibilmente potente e utile. Se non ci fosse stato, ancora oggi in famiglia nessuno saprebbe nulla del bisnonno, a parte il vago ricordo del nome... Ma, proprio perché lo strumento ha possibilità incredibili, i problemi della presentazione finale sembrano ancora più fastidiosi.

Creative Commons License
Blog di Mirko Tavosanis by http://linguaggiodelweb.blogspot.com is licensed under a Creative Commons Attribuzione-Non opere derivate 2.5 Italia License.