Il titolo del contributo richiede comunque qualche precisazione. Nel senso che lo scopo essenziale dell’intervento è, dal mio punto di vista, evitare che venga sopravvalutato ciò che in linguistica si chiama “variazione diamesica”, cioè il cambiamento della lingua a seconda dei mezzi di comunicazione.
Alla base del concetto stesso di variazione diamesica c’è una constatazione elementare: scritto e parlato sono cose diverse. E questo è verissimo, al punto che alcune cose si possono fare nel parlato ma non nello scritto (per esempio, variazioni di tono e di intensità) e altre si possono fare nello scritto ma non nel parlato (per esempio, sottolineature e variazioni di carattere). Tuttavia, a Elisa e a me sembra che la linguistica contemporanea abbia avuto la tendenza a estendere indebitamente la portata di questo fatto. Per cui spesso si considera la scrittura elettronica come una novità radicale e si dà per scontato che il passaggio dalla carta allo schermo corrisponda a una “variazione” paragonabile a quella dallo scritto al parlato e si trascini dietro di necessità cambiamenti radicali nella lingua.
Beh, le cose non stanno così e l’intervento cerca di essere una prima dimostrazione sistematica di questo stato di cose. La scrittura è scrittura, e il modo in cui si scrive una lingua è determinato alla radice dal sistema di scrittura adottato (per esempio, caratteri logografici o alfabeto latino). Il resto è marginale e ricade in una vasta tipologia di vincoli pragmatici, di regola non molto rilevanti: per esempio, la disponibilità o meno di uno specifico carattere sulla tastiera permette di scrivere con maggiore facilità quel carattere, eccetera. Ben più importanti sono i vincoli imposti dal genere testuale.
Caso principe, secondo me, è quello della scrittura dei giornali. Un articolo di giornale si può scrivere allo stesso modo con macchina da scrivere e computer e si può leggere allo stesso modo su carta e su tablet. Inoltre, la struttura produttiva del giornalismo non è cambiata negli ultimi anni. Conseguenza? Oggi qualunque lettore italiano istruito può prendere un capoverso proveniente da un articolo di giornale e, leggendolo, dire “ah, questo viene da un articolo di giornale”. Ma non può capire (se non grazie a informazioni di contesto) se l’articolo è stato scritto con una macchina da scrivere tradizionale o un computer, oppure se è stato pensato in primo luogo per la pubblicazione online e solo in secondo momento per quella su carta, o viceversa. Semplicemente, né dal punto di vista del lettore né da quello dello scrittore il cambio di supporto produce effetti abbastanza forti.
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