Su Amazon.it sono da poco disponibili come e-book due libri di Franco Ricciardiello: La rocca dei celti e Cronache dell’arabesco di pietra. Non dico che sono disponibili due “nuovi” libri di Franco perché entrambi i testi hanno in effetti una lunga storia. Il primo è stato pubblicato per la prima volta nel 1987, il secondo è una raccolta di racconti usciti tra il 1986 e il 1992. Il primo (disponibile anche attraverso il pacchetto Kindle Unlimited) racconta un conflitto che va avanti da millenni… e non parla dell’argomento che si potrebbe immaginare! Il secondo raccoglie invece tutti i racconti del “ciclo spagnolo” di Franco, cioè i suoi racconti ambientati, in un modo o nell’altro, in Spagna. Assieme, si tratta in sostanza dei suoi lavori d’esordio.
Il motivo valido e altruistico per consigliare entrambi i libri è che Franco è il migliore scrittore italiano di fantascienza della sua generazione.
Il motivo egoistico per consigliarli è che, in questa nuova veste, entrambi i libri sono aperti da mie introduzioni d’epoca. Nel caso della Rocca dei celti l’introduzione è formata da un mio profilo dell’opera di Franco che è uscito sulla fanzine Intercom nel numero 102, datato novembre-dicembre 1988. Per le Cronache, il materiale introduttivo è più variato e più tardo, ma parte comunque dal 1996 (quando scrissi l’introduzione all’antologia Racconti dal lago di Mandelbrot, pubblicata in formato elettronico da Delos Books).
A rileggere il lavoro del 1988 rabbrividisco un po’, perché è l’opera di un Mirko Tavosanis che, al momento della scrittura, non aveva probabilmente ancora compiuto vent’anni. Tempi remoti: c’erano ancora l’Unione Sovietica e il Muro di Berlino. D’accordo, c’erano Internet e i computer, in forma molto diversa da quella attuale, ma io non avevo accesso né all’una né agli altri. Il che non giustifica molte delle cose che scrivevo… ma tant’è. Alcuni modi espressivi, tipo l’uso delle abbreviazioni per i titoli, li avevo presi direttamente, se ben ricordo, dai non eccelsi lavori di Cesare Segre sulle Soledades di Machado e su Gabriel Garcia Marquez. E questa non è nemmeno la parte più imbarazzante dell’assieme!
Da un altro punto di vista, sono ancora orgoglioso del modo in cui, appena sbucato da un lungo periodo di studio e depressione, il me-stesso-più-giovane era riuscito a mettere a fuoco quelli che mi sembrano ancora oggi alcuni aspetti importanti del lavoro di Franco. A monte, soprattutto, c’era il rendersi conto che nel mondo della fantascienza italiana nessuno stava parlando di quello che pure veniva definito “autore-fenomeno del momento” e colmare la lacuna. Già: dietro, in fin dei conti c’era un progetto generale. Il lavoro comparve come seconda uscita di una mia ambiziosa rubrica su Intercom dedicata alla fantascienza italiana. E, allora come adesso, in mezzo a tanti autori irrilevanti Franco spiccava, perché era bravo e perché, soprattutto, era l’unico che avesse un suo mondo originale da raccontare.
Per questo mi ritrovai a cercare di mettere ordine al lavoro di Franco, tra libri, appunti e dattiloscritti. Battendo per ore, tap tap, sui tasti di una vecchia Olivetti Lettera 22.
Nostalgia? No, quello no... Però, tra le tante cose impresentabili del me-stesso-più-giovane, quella spinta ancora oggi mi sembra ragionevole. Anzi, forse, da recuperare.
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