Tra le curiose passioni che mi sono venute negli ultimi anni c’è anche quella per il nuoto in piscina. Nata a Hong Kong, consolidatasi con le nuotate di gruppo ICoN, al momento sembra piuttosto stabile. Il teatro degli eventi è la Piscina comunale di Pisa, dove vado di solito poco dopo le 8, nell’ora meno frequentata: tra la ressa dell’apertura alle 7 e il graduale affollamento più tardi.
All’uscita, prima di iniziare la giornata lavorativa vado poi spesso a prendere brioche e cappuccino al bar Enrico sull’Aurelia. Locale che ha il suo interesse di per sé, ma dove una delle mie soddisfazioni fondamentali è sistemarmi a leggere il New York Times sul telefono mentre faccio colazione. E il lunedì e il venerdì, per fortuna, questo coincide con l’uscita della rubrica di Paul Krugman, che se ben vedo viene regolarmente aggiornata alle 9 ora italiana.
Forse non è inutile spiegare chi è Paul Krugman. Economista, premio Nobel, le sue posizioni politiche sono quelle del liberal americano, con cui mi trovo in discreta consonanza; inoltre è un esperto di fantascienza, il che non guasta mai. Da oltre quindici anni scrive la sua rubrica bisettimanale per il New York Times, che quasi da altrettanto tempo mi assiste e mi conforta.
La cosa interessante di Krugman è che la sua rubrica (in inglese, ovviamente) è un’impressionante fusione di ricerca e di scrittura. I testi presentano argomenti economici complessi in forma accessibile anche al lettore generico. Esempi e riferimenti richiedono, evidentemente, un grande lavoro di ricerca e verifica delle fonti anche solo per poche righe – e in alcuni casi, con ogni evidenza, uno staff di collaboratori. Al confronto con i tanti opinionisti venditori di fumo, negli USA o in Italia o altrove, è un gradevolissimo cambiamento.
Inoltre i testi sono scritti con ammirevole sofisticazione retorica: Krugman bilancia l’autonomia di ogni singolo articolo con il suo inserimento in un discorso più complesso, dosa rimandi esterni e approfondimenti interni, tiene un tono brillante ma non eccessivamente colloquiale… insomma, una lezione di professionismo che ha pochi equivalenti nel giornalismo mondiale. E nessuno a me noto, temo, in quello italiano.
Tuttavia l’aspetto che più mi colpisce non è la forma ma il contenuto. Una buona parte degli interventi di Krugman negli ultimi anni è dedicata infatti a dire l’ovvio. Cioè a far notare, per esempio, l’inconsistenza delle proposte economiche e di bilancio sostenute da molti politici; il fatto che predizioni che puntualmente non si realizzano vengano ripresentate ciclicamente, con motivazioni diverse, dalle stesse persone; il tornar fuori nel dibattito economico di idee che sono state smentite più volte dall’esperienza; e così via. In particolare, Krugman nota che spesso quando c’è un dibattito tra due parti i mezzi di comunicazione riferiscono a pari titolo le opinioni dell’una e quelle dell’altra… anche quando quelle di una parte sono con ogni evidenza assurde.
La credibilità degli esperti è spesso data dal conoscere e saper realizzare cose difficili. Queste conoscenze e queste capacità sono indispensabili per il mondo moderno, ma non è detto che coincidano con la comprensione di altre cose, magari semplici ma da vedere con chiarezza. E in parallelo, c’è una certa reticenza nei mezzi di comunicazione (e nella ricerca) a criticare le opinioni di chi si presenta, a qualunque titolo, come “esperto” o “persona seria”. Krugman è una delle poche persone che riescono a uscire da questo meccanismo e dire pane al pane e vino al vino basandosi su una conoscenza di prima mano dei dati; per questo mi leggo i suoi articoli e ne ricavo un po’ di sostentamento, al volo, prima che il cappuccino si raffreddi.
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