Questa settimana, approfittando della Festa della Repubblica indiana, sono andato a Goa. In particolare, ho soggiornato a Benaulim, che è un paesino nella parte meridionale dello stato di Goa. Forse l’unico paesino, tra l’altro, in cui i cristiani siano in maggioranza (nell’assieme dello stato, nonostante i cliché del cinema indiano, sono solo il 30%).
Il nord di Goa era antica zona di hippy e oggi è meta di turismo di massa. Il sud di Goa è decisamente meno affollato. A Benaulim c’è una bella spiaggia pulita e i bagnanti sono in numero ragionevole: se la spiaggia fosse più stretta, e le palme da cocco meno numerose, assomiglierebbe a una Marina di Vecchiano in bassa stagione (“si Parigi avesse lu mere…”). Quando il vento soffia da terra, il mare diventa una tavola distesa fino all’orizzonte e forse anche oltre, in direzione della Somalia. I pescatori tirano le reti, donne e bambini stendono il pesce sulla strada a seccare. I bufali tagliano la strada ai turisti in bicicletta, che tollerano, e tutto va bene.
Oltre a essere un’ottima occasione per nuotare e leggere, i miei giorni a Goa sono stati però un’altra conferma del mio modo di vedere la vita delle lingue. Goa è rimasta territorio portoghese per 451 anni, dal 1510 fino al 1961. Ora, a parte i nomi, questo mezzo millennio ha lasciato un’eredità linguistica pari grosso modo a zero… In un posto pieno di persone che si chiamano Lourenço Souza, Salvador D’Silva e così via, nessuno parla portoghese – anche se qualche anziano, a quel che leggo, l’ha imparato a scuola in età coloniale – e in giro non ci sono scritte in portoghese. La lingua della popolazione era ed è rimasta il konkani, che oggi si scrive usando il devanagari indiano (uso ufficiale) oppure l’alfabeto latino (preferito dalla Chiesa cattolica).
Per il resto, la lingua del turismo e della modernità è naturalmente l’inglese e i cartelli di ogni tipo riflettono la situazione – incluse le pubblicità rivolte ai residenti. Ma il turismo di Goa è internazionale, e in buona parte europeo: a Benaulim una buona fetta della popolazione sembra composta di atletici pensionati di lingua francese. E soprattutto, c’è una sorprendente presenza di russi, al punto che le scritte sui negozi e i menu dei ristoranti sono spesso in doppia versione, inglese e russa. In nome dell’antica alleanza, e dei bassi costi, direi, e tutto va bene.
Dal punto di vista linguistico, naturalmente, tutto questo è con ogni probabilità temporaneo. La popolazione parla konkani, impara l’inglese e resiste alle pressioni per usare hindi o marathi. Per quanto l’inglese si diffonda nell’istruzione, sospetto che le madri, i compagni di scuola e le famiglie continueranno a parlare il konkani e a usare lingue diverse solo con gli ospiti. Quando gli ospiti se ne andranno, il konkani rimarrà.
Nel frattempo però è interessante guardare questo spettacolo multilingue. Le scritte inglesi in lode della Madonna di Vailankanni si incrociano con gli avvisi in devanagari e le promesse di коктейль, e tutto va bene. Anche se il visitatore più attento noterà, in aeroporto, i due squadroni di MiG-29KUB della marina indiana piazzati lì. A ricordare che la storia a volte prende brutte strade, e che nell’ultimo anno sull’orizzonte sono comparse tante nuvole che non mi piacciono.
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