È appena uscito il mio nuovo libro, L’italiano sulla via dell’India! Pubblicato dal Mulino, è disponibile attraverso il sito dell’editore e sui normali canali di vendita, sia come testo a stampa sia come e-book.
L’argomento del libro può sembrare strano: l’uso dell’italiano in Asia nel Seicento, visto in particolare attraverso le testimonianze dei viaggiatori dell’epoca. Dico che può sembrare strano perché (come argomento più in dettaglio appunto nelle sezioni introduttive del libro) mi sembra che in Italia, da un lato, siano ancora diffusi i luoghi comuni sulla scarsa rilevanza internazionale dell’italiano, ora e in passato; e dall’altro, che ci sia un interesse sorprendentemente ridotto nei confronti dell’Asia. A me, invece, sembrano ci siano ottimi motivi per interessarsi tanto della lingua italiana quanto di quella vasta regione del mondo.
Sintetizzerò al massimo la tesi del volume: per tutto il Seicento, l’italiano era la lingua europea di gran lunga più nota, usata e insegnata in una vasta area che va dalle coste del Mediterraneo fino a quelle del Golfo Persico (con qualche propaggine fino in India). In termini moderni, si tratta della Siria, dell’Iraq e della Persia, cioè i paesi attraversati dai viaggiatori che per un motivo o per l’altro si recavano in India per via di terra.
La lingua italiana, naturalmente, era usata dai viaggiatori italiani… ma, soprattutto, anche da persone di tutt’altra origine, a cominciare dai mercanti e dai viaggiatori di altri paesi europei, che spesso se ne servivano anche tra di loro, in assenza di italiani. La usavano poi, in particolare, moltissimi mercanti e religiosi armeni, mediatori essenziali tra Asia ed Europa. E a volte, l’uso si collegava a un insegnamento formale e abbastanza stabile. Le testimonianze menzionano in effetti almeno tre scuole in cui nel corso del Seicento l’insegnamento dell’italiano ebbe una certa stabilità, a opera di religiosi francesi: ad Aleppo, a Baghdad e a Isfahan in Persia.
Che l’italiano fosse una lingua usata anche in assenza di italiani non è una novità assoluta. Diversi studi recenti hanno iniziato a chiarire il ruolo dell’italiano come lingua franca lungo le coste del Mediterraneo; il mio contributo si rivolge però all’interno, e a un’area geografica ancora poco esplorata in quest’ottica. Inoltre, le testimonianze dei viaggiatori presentano aspetti dell’uso reale su cui le fonti d’informazione più impiegate, cioè i documenti d’archivio, per quanto rilevanti, non possono dire molto.
Alle questioni generali si affianca poi la presentazione di una serie di viaggiatori, ognuno con le proprie particolarità e idiosincrasie, da prendere in esame per valutare le testimonianze. Lato italiano, si tratta di nobiluomini come Pietro Della Valle o Ambrogio Bembo, di religiosi come Giuseppe Sebastiani o Antonio Murchio, e di personaggi di minor rilievo sociale come Angelo Legrenzi e Niccolò Manucci. Ma anche lato francese, come vedrà il lettore, non mancano personaggi interessanti.
I casi raccontati sono di tipo assai diverso. Si va dalle prediche durante la messa (in Terrasanta e a Isfahan) fino alle battute durante ai banchetti, e dalle lezioni di italiano nel deserto alle presentazioni trionfali in India. Il quadro che ne emerge mi sembra però molto coerente: quello di una lingua che nel Seicento godeva di elevatissimo prestigio e uso comune presso alcune nazionalità. Per il resto, saranno i lettori a fornire il giudizio…
Mirko Tavosanis, L’italiano sulla via dell’India, Bologna, il Mulino, 2025 pp. 224, ISBN 978-88-15-39320-3, € 22 (a stampa) ed € 14,99 (e-book).
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