martedì 17 agosto 2010

Carr, The shallows


La tesi di base di Nicholas Carr in The Shallows è che Internet rende le persone meno intelligenti. Tesi ben argomentata (nei limiti in cui può esserlo una cosa del genere, visto lo stato attuale delle conoscenze), e in molti punti convincente. Tesi perfino vera, forse, per quanto riguarda i singoli individui. Tesi probabilmente sbagliata per quanto riguarda l'assieme della società.

Cosa interessante, Carr si basa molto, per la ricostruzione storica, di due libri di cui ho parlato a lungo anch'io: Space between words di Paul Saenger e Proust and the squid di Maryanne Wolf. Il secondo, perché buona parte di The shallows è dedicata a spiegare l'ovvio: che il cervello di chi legge è più abituato a, ahem, leggere... e che, svolgendo spesso la stessa attività, diventiamo più bravi a farla.

Una cosa che però mi sorprende molto, in libri di questo genere, è la mancanza di riferimenti alle pressioni esterne. Se davvero Internet rende più superficiali, non dovrebbe esserci grande richiesta di persone che non sono state rovinate in questo modo? Se la nostra memoria se ne va perché la esternalizziamo, quanto dovremo pagare, per esempio, i piloti d'aereo? O i chirurghi? O, in genere, chiunque abbia bisogno di memorizzare un po' di informazioni complesse per portare a compimento il proprio lavoro.

giovedì 5 agosto 2010

Copia e remix

A Dipartimento chiuso, un po' di bilanci. Il Laboratorio di scrittura di quest'anno è stato, come al solito, interessante: gli studenti hanno prodotto molte voci di Wikipedia di buon livello, su argomenti su cui, di regola, ho parecchio da imparare.

Certo, ogni tanto qualcuno presenta voci che sembrano copiate direttamente da qualche fonte scritta. Niente di troppo allarmante, però: direi che siamo in linea con l'esperienza che ho avuto nel settore negli ultimi dieci anni. In fin dei conti, gli studenti italiani (ma non solo) arrivano spesso all'Università senza che nessuno abbia mai detto loro come funzionano le cose nella scrittura scientifica e professionale. Per citare solo i punti più importanti:
  • le informazioni non vengono dall'aria: o sono informazioni di prima mano , oppure si deve indicare da dove si sono state riprese
  • le informazioni si possono riprendere, indicando opportunamente la fonte, ma le parole esatte no (a meno che non si tratti di citazione letterale, opportunamente indicate)
  • quando si scrive qualcosa, bisogna sapere che cosa significa ciò che si sta scrivendo: copiare parole e frasi prese da qualche fonte non serve a molto.
Ora, qualche giorno fa il New York Times ha pubblicato un articolo di Trip Gabriel proprio su questo argomento: Plagiarism Lines Blur for Students in Digital Age. Secondo alcuni addetti ai lavori, infatti, gli studenti oggi hanno difficoltà a capire che scopiazzare non va bene perché sono comunque abituati a scaricare gratuitamente musica e a fare remix. È la tesi sostenuta, sembra, da Susan D. Blum in un libro intitolato My Word! Plagiarism and college culture, pubblicato l'anno scorso da Cornell. Visto che il mio secondo corso dell'ultimo semestre era dedicato proprio al remix, ho cominciato quindi a sfogliare qualche pagina del libro.

Certo, un assaggio così superficiale forse non rende ragione della complessità delle tesi esposte, ma alcune delle cose contenute nel libro mi sembrano proprio sbagliate. Che, come si dice a p. 6, gli studenti abbiano adesso un "nuovo modo" per concepire i testi e i loro autori mi sembra, semplicemente, falso. I problemi del capire chi ha scritto che cosa, e come citarlo, sono identici a quelli su cui battevo il naso io ai tempi delle ricerchine della scuola media, in tempi beatamente ignoranti di computer e remix. Il modo "giusto" per fornire informazioni non è qualcosa che si conosce intuitivamente e poi si scorda quando si comincia a lavorare con Photoshop: è una prassi convenzionale che di solito si impara attraverso un insegnamento esplicito - diciamo, attraverso corsi come il mio... E, giustamente, l'articolo del Times si conclude indicando che, nei casi reali, dietro alle scopiazzature nei lavori non sembra si trovi un "nuovo modo" di concepire i testi: si trova il fatto che gli studenti vogliono passare gli esami in fretta e con voti alti (sapendo benissimo che copiare non va bene).

Insomma, come dice una commentatrice, Sarah Wilensky, remix o non remix, "If you’re taught how to closely read sources and synthesize them into your own original argument in middle and high school, you’re not going to be tempted to plagiarize in college, and you certainly won’t do so unknowingly". In Italia, per di più, di questo genere d'insegnamento c'è ben poca traccia, quindi io non mi lamento poi troppo se mi trovo a ripetere decine di volte, come ho fatto nelle ultime settimane, che un conto è prendere informazioni, un conto copiare, eccetera eccetera. Qualcuno deve pur farlo!
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