venerdì 31 ottobre 2014

Storia linguistica dell’emigrazione italiana nel mondo

 
Storia linguistica dell'emigrazione italiana nel mondo
Lo studio degli aspetti linguistici dell’emigrazione italiana nel mondo ha da qualche anno un importante punto di riferimento bibliografico: la Storia linguistica dell’emigrazione italiana nel mondo a cura di Massimo Vedovelli (Roma, Carocci, 2011, ISBN 978-88-430-6028-3, pp. 567, € 45).
 
Per la sostanza, va detto poi che alcuni degli esiti dell’emigrazione italiana rappresentano una specie di costante universale, altri variano a seconda dei contesti. Coerentemente, anche la SLEIM è divisa in due parti. La prima è un “Quadro concettuale di riferimento” (pp. 35-192); la seconda, assai più corposa, è dedicata a “Le vicende linguistiche nelle aree geografiche” (pp. 193-532).
 
Partiamo dagli elementi generali. La prima sezione include tre capitoli che illustrano altrettante “ipotesi” (ma lo stato delle conoscenze, oggi, direi che permette di parlare già di “constatazioni”):  
  • ipotesi del parallelismo: “le dinamiche linguistiche che hanno coinvolto da un lato gli immigrati italiani nel mondo e dall’altro la società italiana d’origine si sono svolte secondo vie parallele e hanno mostrato, nonostante le distanze e le separazioni, esiti simili o assimilabili” (p. 38)
  • ipotesi della discontinuità: sottolinea lo scarto tra la prima grande ondata di emigrazione (fino al 1914) e la seconda, dopo la Seconda guerra mondiale (p. 81) – più alfabetizzata, meno dialettofona, e diretta in Europa
  • ipotesi dello slittamento: con il tempo, l’italiano “slitta fuori” dallo spazio linguistico delle generazioni più giovani; per queste ultime l’italiano diventa insomma una L2, cioè “una vera e propria lingua straniera” (p. 99)
 
Tra queste la meno intuitiva è in fin dei conti la prima (che anche nella SLEIM riprende in sostanza l’impostazione data mezzo secolo fa da Tullio De Mauro). Anche all’altro capo del mondo, l’emigrazione degli italiani non ha infatti portato a nuove lingue o a nuove varietà di lingua. Le lingue, fossero dialetti o italiano standard, sono rimaste in grande misura sincronizzate con quelle della madrepatria. Formazioni autonome e quasi-pidgin come il cocoliche argentino (p. 315 e p. 324), il broccolino statunitense (cap. 13.1.11, pp. 410-413) e l’australoitaliano (cap. 14.1.10, pp. 465-467) hanno avuto vita breve e si sono esauriti con la prima generazione di parlanti.
 
Il che, ovviamente, non era scontato! Dal punto di vista linguistico, avrebbe potuto benissimo affermarsi qualche pidgin, pronto per esempio a trasformarsi in lingua creola, o almeno in qualcosa di simile all’afrikaans. Questo però non è successo, anche se in alcuni casi ci si trova quasi sul confine, come accade per il “taliàn” brasiliano (cui è dedicato il capitolo 11, di Alberto Secci, purtroppo non molto informativo; una descrizione più solida del punto di vista scientifico si trova al cap. 10.5.11, pp. 340-341): un dialetto veneto di koinè ancora oggi parlato da comunità molto ampie nello stato di Rio Grande do Sul. Anzi, se qualcuno vuole sentire una web radio in taliàn
 
Girando per il mondo, comunque, quelli che si trovano oggi sono soprattutto “oggetti” linguistici familiari immersi in un contesto esotico. Dalla conservazione del dialetto veneto ottocentesco di Segusino nella comunità messicana di Chipilo (cap. 12.1.4, pp. 372-375) alla scelta di molti soldati italiani prigionieri in Sudafrica di fermarsi sul posto anche al termine della Seconda guerra mondiale, vista come base per la numerosa colonia italiana presente nel paese (p. 481), i contesti sono a volte sorprendenti e comunque impossibili da riassumere in poche pagine. C’era bisogno di uno strumento che li descrivesse con un’ampiezza maggiore di quella delle poche sintesi già esistenti, e la SLEIM è venuta a ricoprire appunto questo ruolo.
 

giovedì 23 ottobre 2014

L'accostamento a Salé

 
L'accostamento a Salé
Tra Rabat e Salé c’è l’estuario del Bouregreg. Per attraversarlo, il modo più pratico è salire in tram. Il modo più pittoresco è prendere la piccola barca a remi che fa da traghetto all’inizio della medina di Rabat. Ci vanno due o tre persone per volta, e i passeggeri che vedo montare sono quasi tutti marocchini. Qualche turista, anche. Tra cui il sottoscritto. Ma in sostanza è gente del posto, che per la traversata paga un dirham (meno di € 0,10). Non è molto per lo sforzo del barcaiolo, che al momento del mio passaggio doveva anche combattere contro una forte corrente di marea verso l’interno.
 
Il percorso è una buona introduzione alla differenza delle due città. Dalla Ville Nouvelle di Rabat io ci sono arrivato scendendo accanto ai monumenti più illustri del luogo, cioè il marmoreo e moderno mausoleo di Mohammed V e l’incompiuta Torre di Hassan, con i resti dell’altrettanto incompiuta moschea che, nel XII secolo, avrebbe dovuto diventare il più grande luogo di culto islamico del mondo. Il lungofiume è una ben arredata distesa di cemento, con bar attivi “depuis 1998”. Sull’altra sponda c’è invece una spiaggia desolata, affollata di gabbiani. Fino a pochi anni fa era evidentemente più estesa; oggi invece è occupata da una siepe di condomini di lusso vista fiume. In buona parte incompiuti, in evidente attesa di tempi migliori dal punto di vista economico, nascondono allo sguardo le mura della vecchia medina di Salé e mi sembrano pericolosamente bassi sull’acqua. Se la città vecchia è stata costruita più in alto, un motivo forse ci sarà stato?
 
A parte questo, Salé si presenta più che altro come studio di contrasto rispetto all’ordinata Rabat. Le loro storie, a quel che leggo, sono state parallele per molti secoli, e hanno conosciuto l’ultimo momento di gloria comune nel Seicento, come “repubblica pirata del Bouregreg”. Poi Rabat è diventata la capitale del Marocco e i destini dei due insediamenti si sono nettamente separati.
 
Per le strade di Salé

Oggi la medina di Salé è decisamente più malconcia di quella della capitale e i suoi suk sono affollatissimi. Le mura sono pittoresche, e non ci vuole molta fantasia per vederne l’utilità per i pirati del Marocco! A parte quello non ci sono monumenti di particolare spicco, ma in un angolo della medina si trova una bella madrasa aperta ai visitatori. Rispetto agli standard marocchini la città è messa bene dal punto di vista economico, ma sembra già diversi scalini più in basso rispetto alla capitale. Per me è stata una meta interessante per una mezza mattinata… e poi è arrivato il momento di prendere il tram e andare all’Università Mohammed V, anche qui per un incontro con gli studenti di italiano.
 
Il tram merita una menzione a parte. Inaugurato nel 2011, scintillante e affollatissimo, scavalca di slancio il Bouregreg e passa come un’astronave accanto alle mura medievali di Salé e Rabat. Sulla linea 1 è strapieno di studenti universitari: non mi sento proprio a casa, ma quasi.
 
L’università Mohammed V invece è una serie di cancellate inaccessibili, con posti d’accesso ben sorvegliati per gli alloggi studenti. Provo a entrare in uno per chiedere informazioni, ma ben pochi tra i custodi e gli studenti parlano francese. Alla ricerca di un interprete, alla fine vengo spinto verso una cancellata che protegge gli uffici amministrativi: gruppi di studenti maschi (perché, come scoprirò, sono finito in un alloggio per maschi) si aggrappano alle sbarre e sventolano foglietti. Gli impiegati aprono un cancello di scatto, mi trascinano letteralmente dentro e richiudono tutto a chiave tra grandi urla, come se avessero a che fare con una gabbia di tigri. Mi spiegheranno poi che è una questione di assegnazione di alloggi.
 
In compenso, la Facoltà di Lettere, dove arrivo poco più tardi, è calma e tranquilla. Grazie alle gentilezza della lettrice di italiano, Jacqueline Spaccini, mi inserisco in una lezione rivolta agli studenti del terzo anno. Non sono tanti: sono sei in tutto, e stavolta prevalgono i maschi. Il livello di italiano è alto. Gli studenti parlano di Pindemonte, di Foscolo, della Restaurazione…
 
Aula 31

Ritrovo lo schema che ho già visto. Due tra i presenti sono tornati di recente dall’Italia, e una di loro è anche nata lì. Gli altri invece hanno studiato italiano nelle scuole marocchine. E qui metto a fuoco un punto importante, e cioè che nelle scuole marocchine con sezioni di italiano spesso (o sempre?) la scelta della lingua è forzata. Va nella sezione di italiano chi è obbligato ad andarci. Poi però, in alcuni casi, evidentemente c’è interesse anche per proseguire gli studi di italiano all’Università!
 
A fine pomeriggio rientro all’Istituto Italiano di Cultura e ascolto un’interessantissima presentazione (in francese) di Walter Barberis sulla digitalizzazione del mercato del libro in Italia e sul ruolo di Einaudi in questo contesto. Intervengono numerosi scrittori ed editori marocchini, e la discussione va avanti a lungo. Sono presenti anche tantissimi studenti della Scuola “Mattei” di Casablanca, che a quel che sento parlano tutti benissimo l’italiano. Il mio soggiorno, intanto, si sta avviando alla conclusione.
 

mercoledì 22 ottobre 2014

I blog di Rabat


 
Professionalità a 1000
Ieri pomeriggio ho fatto la mia presentazione all’Istituto Italiano di Cultura di Rabat. Ho fatto una breve storia dei blog italiani, e ho raccontato anche il modo in cui nel giro di pochi anni, soppiantati da Facebook, sono scomparsi i “blog diario” realizzati da adolescenti e pieni di k e abbreviazioni.
 
D’altra parte, i “blog diario” in sé non sono scomparsi, come ho notato anche qualche mese fa. Quelli che ci sono, però, sono di taglio decisamente diverso: letterario. Anche quando descrivono fatti minori della vita di tutti i giorni. La qualità di scrittura media è molto alta e, cosa decisamente interessante in una prospettiva più ampia, tutti gli esempi che conosco sono scritti da donne. Durante la presentazione ne ho citati alcuni attivi nell’ultimo anno:
 
 
Spero che i partecipanti abbiano apprezzato! Il pubblico era composto soprattutto di studenti di italiano di livello A2, ed è stato difficile per me valutare la comprensione del parlato – anche se le diapositive presentavano alcune frasi chiave del testo. Non so quanti di loro diventeranno lettori di blog italiani, ma io sono ottimista!
 
In precedenza, durante la mattina, ero invece riuscito a fare un lungo giro a piedi per Rabat. Anzi, ho attraversato tutta la città vera e propria, andata e ritorno! Partenza dalle rovine della colonia romana di Sala (e necropoli di Chellah), piazzata subito fuori dalle mura, con le sue iscrizioni latine in bella mostra nel foro. E un giardino niente male, pieno di gatti e uccelli che cantano nel caldo estivo delle rive del Bou Regreg. Anzi, qualcuno riesce a identificare gli uccellini che cantano qui?




Uscito dalla necropoli, sono rientrato in città attraverso la porta Bab Zaer e ho costeggiato le lunghissime mura esterne del palazzo reale. Poi ho attraversato la Ville Nouvelle, seguendo l’Avenue Mohammed V: altro percorso molto lungo, e in buona parte sotto portici, che passa davanti alla stazione ferroviaria e termina al confine della vecchia medina.

Porta Bab Chellah nella medina di Rabat



La medina stessa è separata dalla città da un imponente viale e dal Vallo Andaluso, che, isolato e ben tinteggiato, fa la sua bella figura. All’interno sono riuscito a passare solo dalla zona più turistica, lungo la Rue des Consuls. Ma ne valeva la pena, per arrivare fino alla kasbah degli Oudaya. In cima, la vecchia piattaforma del semaforo offre una splendida vista sull’Atlantico e sull’estuario del Bou Regreg. Provo a presentarla qui sotto forma di panorama realizzato con iPhone:

L'estuario del Bou Regreg

Sulla spiaggia di sotto, la meglio gioventù di Rabat si esercita con i surf (onde oceaniche, anche all’interno del frangiflutti…) Dall’altro lato del fiume si staglia invece la città gemella di Salé. Con un po’ di fortuna, riuscirò ad andarci oggi.

 

martedì 21 ottobre 2014

Casablanca e l’italiano di ritorno



Vicino alla moschea Hassan II
“Casablanca è un posto dove si va soprattutto per lavorare e fare soldi”. Uno dei motivi, senz’altro, è anche l’assenza di grandi attrattive turistiche. Casablanca non è una delle quasi millenarie città imperiali del Marocco: è un insediamento recente e relativamente anonimo. In compenso, però, ha l’Oceano Atlantico, grigio e minaccioso.
 
Domenica sera, al momento del mio arrivo, il professor Nassih Redouan mi ha gentilmente portato a fare un giro per Casablanca. Cominciando appunto dall’oceano, e da uno dei monumenti più discussi del paese: la moschea Hassan II, da poco realizzata in stile tradizionale ai confini del porto. Enorme e costosissima, la moschea si allunga sulle onde dell’Atlantico all’interno di un labirinto di scogli rasati a pelo d’acqua. Non ci vuole un occhio allenato per accorgersi che non siamo più sulle rive del Mediterraneo. Vicino all’ingresso della moschea, qualche ragazzino si tuffa da dieci metri nell’acqua sudicia dei fossi in cui l’oceano esaurisce la propria spinta. “Da qualche anno, gli studenti di italiano sono meno numerosi”, mi spiega intanto il professor Redouan. “Con la crisi economica dell’Italia la gente è meno interessata a imparare l’italiano”. Comprensibile.
 
Poco oltre la moschea comincia la Corniche: una lunga passeggiata, prudentemente collocata almeno cinque o sei metri al di sopra delle spiagge. Le onde di sicuro non scherzano, e a quel che ho capito le piscine, i ristoranti e i locali che si trovano “al piano di sotto” vengono spesso invasi dal mare. Ma non questa domenica sera, che è affollata da famiglie marocchine dall’aspetto molto globalizzato e bambini con occhiali e palloncini che mangiano il gelato. Il Marocco resta un paese tremendamente povero, ma da questa vetrina non si direbbe proprio. La Corniche va infatti avanti per chilometri, e si conclude con quello che è forse il più grande centro commerciale dell’Africa, il Morocco Mall, completo di cinema Imax. Accanto le scorre un viale intasato di macchine, con una gamma che va dai catorci improbabili alle Mercedes di lusso.
 
Lungo la Corniche

E questo è nulla rispetto a quel che succede il sabato sera, mi spiega il professor Redouan. Che a Perugia e Bologna ha studiato le Operette morali di Leopardi e i lavori di Michele Amari, e adesso è il capo del piccolo Dipartimento di italiano dell’Università Hassan II. Solo tre docenti, ma un discreto numero di studenti: molti di loro li incontrerò il lunedì mattina. Intanto, dopo il bagno di traffico, ci spostiamo di qualche chilometro. Il professore mi offre infatti un tè alla menta in una più tranquilla piazza all’ingresso del quartiere degli Habous.
 
Il quartiere stesso è una specie di medina occidentalizzata e addolcita, costruita dai francesi negli anni Trenta. I tavoli dei bar sono affollati di uomini che bevono tè e caffè. Ogni tanto passano ragazzini sugli skateboard. Un altro mondo? In un certo senso. Ma che cosa può interessare, dell’Italia e dell’italiano, a chi vive in Marocco? Adesso che appunto l’economia italiana è in crisi e si sono ridotti anche i finanziamenti italiani per la diffusione della lingua all’estero.
 
Ne discutiamo a lungo, ma qualche risposta in più l’avrò la mattina dopo all’interno dell’Università. Sotto il sole rovente, il campus è pieno di verde e di studenti. Nella sala professori della Faculté de Lettres et de Sciences Humaines mi accoglie anche il professor Abdelkader Mouloud; e arriva altro tè alla menta. Ci si potrebbe abituare…
 
Gli studenti che partecipano alla mia presentazione, alla fine, sono una ventina e provengono dal quinto e dal terzo semestre. Le loro competenze linguistiche si rivelano subito molto alte, e del resto nessuno di loro ha davvero iniziato lo studio dell’italiano all’Università. Molti hanno iniziato durante le scuole superiori; già, perché ho scoperto qui che a Casablanca, oltre alla ben nota scuola italiana “Enrico Mattei”, ci sono cinque scuole marocchine con sezioni in cui si insegna l’italiano. Il livello di insegnamento, mi dicono, non è altissimo – ma gli studenti che vengono di lì sono evidentemente bravi.
 
E poi, ed è la sorpresa maggiore, buona parte degli altri studenti sono marocchini che vengono dall’Italia. Sapevo che nelle aree da cui è partita l’emigrazione per l’Italia c’è stato anche un forte ritorno, anzi, ero molto curioso di vedere le conseguenze linguistiche di questo rientro. E sapevo già che tantissimi ragazzi che hanno iniziato gli studi in Italia sono conseguentemente rientrati in Marocco. Però non mi aspettavo che molti dei componenti di questa generazione decidessero di dedicarsi allo studio dell’italiano all’Università.
 
OK, che gli emigranti ritornino in grande maggioranza nel luogo da cui sono partiti è, come sto dicendo da anni in varie occasioni, cosa normale; è ciò che, al di là dei terrori degli italiani, è successo di regola in tutte le situazioni moderne. Ma quello che si sta producendo adesso in Marocco è un controesodo che sembra non desiderato dai diretti interessati. Si tratta di un puro prodotto della crisi italiana, a quel che mi dicono, ed è un pessimo segno per il paese.
 
Dal punto di vista linguistico, però, le conseguenze sono sorprendenti. Per la prima volta mi capita di sentire in un’aula universitaria studenti “stranieri” che però parlano un buon italiano, e spesso con tracce evidenti di inflessioni regionali: veneto, milanese e, credo, napoletano. Spiazzante. Nella storia linguistica italiana non si era mai visto nulla di simile. O perlomeno, non su questa scala.
 
Durante l'incontro all'Università Hassan II


Oltre ad avere questo alto livello di conoscenza, poi, gli studenti sono anche attivi! Fanno domande, intervengono, discutono. Due ore volano via in questo modo: a parlare dei destini delle lingue, dei prossimi sviluppi dell’italiano nel mondo della comunicazione elettronica, e così via. Oppure di cose più pratiche, a cominciare dalla domanda di base. E cioè, che tipo di lavoro può trovare chi si laurea oggi in Marocco in lingua italiana. Io, ahimè, non sono in grado di dare risposte definitive, e posso solo sperare che nei prossimi anni la scelta si confermi ragionevole. Tanto più che, se ho ben capito, per l’insegnamento alla Hassan II l’Italia non fornisce contributi di alcun genere, libri inclusi.
 
Finisce la mattinata. Il professor Redouan, sempre gentilissimo, mi porta di corsa alla futuristica stazione ferroviaria di Casablanca Port. Saluto, mi compro il biglietto e salgo sul treno delle 15:20 per Rabat. È un viaggio di un’ora, e si svolge su un anonimo e moderno treno pendolari a due piani, per lo più in mezzo tra case anonime e una campagna arida altrettanto anonima. All’orizzonte, però, ogni tanto si affaccia l’Atlantico. Che è sempre lì: non va da nessuna parte, per il momento.
 

lunedì 20 ottobre 2014

Trasferta in Marocco

 
In volo sull'Africa con Alitalia
Anche quest’anno è iniziata la benemerita Settimana della lingua italiana nel mondo. Il Consorzio ICoN sarà presente in forze, domani e dopodomani, agli Stati generali della lingua italiana nel mondo a Firenze. Io invece sono stato gentilmente invitato in Marocco dalla Direttrice dell’Istituto italiano di cultura di Rabat, Gabriella Fortunato. Domani alle 18:30 (ora locale) parlerò appunto all’Istituto su un tema a me molto caro – L’italiano del web: i blog.
 
Per raggiungere Rabat, però, venendo in aereo dall’Italia spesso si scende a Casablanca. È quello che ho fatto io, con un volo che ha attraversato non solo il Mediterraneo ma anche un bel tratto di spettacolari deserti del Nordafrica, tra il bianco e il marrone bruciato. Approfitterò della sosta per fare stamattina una breve presentazione agli studenti di italiano dell’Università Hassan II. Poi, sul treno per Rabat... domattina, spero, racconterò come sono andate le cose!
 

lunedì 13 ottobre 2014

Parlare italiano tra Siria e Turchia


Sebastiani, Prima speditione
I giornali italiani hanno dato spazio nel fine settimana a una testimonianza tragica ma con uno strano risvolto linguistico. All’interno di un video che mostra la combattente curda Arin Mirkan, che ha compiuto un attacco suicida contro le forze dell’ISIS a Kobanê, si sente anche un brevissimo scambio di sottofondo in italiano. Anche al mio orecchio, in effetti, sembra proprio che nel video una voce dica in modo chiaro “Eh, che ti devo dire?” in italiano, e che un’altra voce inizi a rispondere con un “Sì”.

Il coinvolgimento di italiani nel conflitto in corso in Siria e in Iraq è stato molto discusso, soprattutto per la presenza di volontari italiani nell’ISIS. Che uno scontro così tragico e distante possa coinvolgere anche italiani, apparentemente, colpisce l’opinione pubblica nazionale. Tuttavia, questa non è certo la prima occasione in cui in quei territori passano italiani che parlano, o addirittura insegnano, italiano.
 
Per caso, all’interno del mio corso di Linguistica italiana II ho mostrato giusto la settimana scorsa una testimonianza (finora, mi sembra, non notata) di uso dell’italiano in quella zona, nel Seicento. Non si tratta di un manoscritto, ma di un libro a stampa, pubblicato da Mancini a Roma nel 1666, in cui il carmelitano scalzo Giuseppe Sebastiani di Caprarola raccontò la prima delle sue due missioni in India. In quest’epoca di continui progressi, il libro di Sebastiani è oggi consultabile e scaricabile come PDF sul sito della Biblioteca Statale della Baviera e in parallelo, sia pure con una risoluzione un po’ peggiore, su Google Books. Accessibilissimo, quindi.
 
Va detto che dal Cinquecento in poi la via più comoda per andare in India era di gran lunga quella marittima, che per le navi a vela richiedeva la partenza in primavera dall’Europa e permetteva l’arrivo a destinazione in settembre, dopo aver sfiorato il Brasile e circumnavigato l’Africa. Sebastiani invece, assieme ad altri tre confratelli, prese la via di terra, più faticosa, che gli portò via più di un anno. Arrivato a San Giovanni d’Acri in Palestina il gruppo di carmelitani prese infatti la normale strada delle carovane per Baghdad, che invece di tagliare in linea retta attraverso il deserto della Siria seguiva (comprensibilmente) un ampio arco a nord, lungo l’attuale confine turco-siriano, fino ad arrivare a Mossul e al Tigri. L’episodio che mi interessa compare nel punto in cui Sebastiani parla della sosta della sua carovana a “Cocessar”, cioè l’attuale città turca di Kızıltepe, poco distante da Mardin. Sebastiani non passò direttamente da Kobanê, che ai suoi tempi non esisteva e che si trova 200 km più a est di Kızıltepe; però passò pochi chilometri più a nord, dall’attuale Birecik (Elbir) e da quelle che ora sono le rovine del caravanserraglio di Çarmelik (Ciarmelik) a Büyükhan, diretto a Şanlıurfa (Orfa). Durante il viaggio trovò modo di lamentarsi degli attacchi sia dei beduini sia dei curdi, oltre che della generale corruzione del regime ottomano.
 
Il punto che più importa della sua testimonianza, per quanto riguarda la storia dell’italiano, è costituito comunque da queste frasi (p. 47; modernizzo leggermente l’ortografia):
 
…già tenevo concertato con un armeno d’andar per acqua [cioè, lungo il Tigri]. Si chiamava l’armeno Arachel, era di Ciolfanuova, giovine d’età, e mercante ricco, quale volendo passare ad Agra nell’Indie con un altro armeno d’Aleppo, detto Amurat, s’accompagnò con noi per camino, e spesse volte il giorno veniva dal suo al nostro padiglione per imparare a parlare, e leggere italiano, il che faceva con molto frutto, e si mostrava gratissimo, avendo sempre singolarissimo pensiero di noi.
 
Il testo in sé non richiede molte spiegazioni al lettore italiano moderno, a parte, direi, “Ciolfanuova” o “Nuova Julfa”, il quartiere di Isfahan in cui lo Scià di Persia aveva da pochi anni fatto trasferire gli armeni della città di Julfa. Della presenza armena ad Agra in India, capitale dell’Impero Mogol, ho poi già scritto qualche anno fa, raccontando della mia visita al cimitero cattolico della città, che ospita anche diversi italiani di una certa fama. Una volta detto che il “padiglione” è la “tenda”, il resto dovrebbe essere ben comprensibile.

Quel che richiede forse qualche spiegazione in più è il contesto. Nel 1656, da Amsterdam fino all’Oceano Indiano passando per Venezia, la rete commerciale armena che aveva il suo centro a “Ciolfanuova” svolgeva infatti un ruolo fondamentale di intermediazione. In contemporanea, come spero di illustrare meglio prossimamente, l’italiano aveva una funzione importante di lingua franca del commercio nel Medio Oriente e nei territori ottomani. Non stupisce quindi che i mercanti armeni fossero pronti a imparare l’italiano, avendone l’occasione. Quel che stupisce è semmai che volessero farlo pur essendo diretti ad Agra. Se, appunto, il ruolo dell’italiano come lingua franca del commercio nell’impero ottomano è abbastanza noto, dalle mie letture recenti, un po’ a sorpresa, sta invece venendo fuori che questo ruolo si estendeva più a est di quanto oggi si crede, e lasciava tracce anche in Persia e in India.
 
Avrò modo di entrare nei dettagli più avanti. Per il momento, mi sembra sufficiente ricordare che da secoli viviamo in un mondo piuttosto piccolo, e che la distanza da Kobanê all’Italia, in una direzione o nell’altra, è minore di quanto gli italiani stessi a volte sembrano credere.
 

giovedì 9 ottobre 2014

Due presentazioni

 
Comunicazione di servizio... Questa settimana, all’interno dell’Internet Festival di Pisa, presenterò due libri un po’ al di fuori dei miei percorsi normali, e anche da quelli normali per il Festival.
 
Oggi (giovedì 9 ottobre) tocca al romanzo Fantasmi del passato. Un’indagine del commissario Bordelli di Marco Vichi, con la partecipazione di Leonardo Gori (Guanda).
 
Sabato 11 ottobre sarà invece il turno di Esseri umani 2.0. Transumanismo, il pensiero dopo l’uomo di Roberto Manzocco (Springer).
 
Entrambe le presentazioni si terranno presso la Libreria Feltrinelli di Pisa, in Corso Italia, alle 18:30. E, naturalmente, saranno presenti gli autori!
 

martedì 7 ottobre 2014

Tavosanis, Transmongolica


Tavosanis, Transmongolica
Giusto due anni fa sono partito per un lungo viaggio in treno… Pisa – Hong Kong, sola andata (poi sono rientrato, d’accordo, ma il viaggio di ritorno l’ho fatto, più banalmente, in aereo!). Il pezzo più lungo è strato quello sul tracciato della Transiberiana, deviando sulla Transmongolica dopo Ulan-Ude. Soste a Mosca, Ulaanbaatar e Pechino; traversata del deserto del Gobi mentre nella carrozza ristorante del treno mongolo impazzavano le canzoni di Al Bano. Eccetera.
 
Nei mesi successivi, poi, partendo da Hong Kong ho fatto anche un lungo giro per la Cina. Sempre in treno, naturalmente. Con soste a Guangzhou (cioè Canton), Pechino, Xi’an e Shanghai. Entrambe le esperienze mi hanno insegnato molto e al tempo stesso sono state una grande fonte di soddisfazioni.
 
Su questo blog ho raccontato in tempo quasi reale diversi pezzi del viaggio, a partire dalla mia visita al Museo dei Cosmonauti di Mosca. Durante le ultime vacanze di fine anno, però, ho rimesso insieme i vari appunti, li ho integrati parecchio e li ho messi in forma di libro… un po’ anche per tenermi in esercizio con le tecniche mostrate qualche anno fa nel manuale Editoria digitale. Ho quindi impaginato il testo su carta e mi sono stampato qualche copia da regalare ad amici e parenti. Esercizio costosetto, visto che assieme al testo ho inserito un discreto numero di foto e ho stampato tutto a colori! Ma ne ho approfittato anche per preparare, ovviamente, un e-book e metterlo in vendita su Amazon.
 
A questo punto, però, sommerso dal lavoro, della versione su Amazon mi sono semplicemente dimenticato. La sua esistenza mi è ritornata in mente qualche giorno fa, quando mi sono arrivati da Amazon due assegni con i pagamenti dei diritti maturati nel frattempo –così ho scoperto che in totale il libro, in aprile, ha venduto ben quattro copie. Non me lo sarei aspettato, in assenza totale di promozione… ma ora, gli € 8 e spiccioli guadagnati in questo modo mi fanno balenare davanti un futuro di scrittore di successo, tra gloria e ricchezze.
 
Beh, forse.
 
Comunque, ho approfittato dell’ondata emotiva per risistemare il testo, fare qualche miglioramento e aggiungere e ottimizzare foto. Queste ultime, ovviamente, non rendono molto su Kindle. Ma perlomeno sono leggibili, anche se per vederle a colori occorre usare un tablet o il lettore cloud di Amazon. Sono, temo, i limiti di una tecnologia agli esordi.
 
La nuova versione del libro è da oggi in vendita su Amazon al prezzo di € 3,77 (ASIN: B00IGCUBRG). Prometto che, quando raggiungerà le diecimila copie vendute, pubblicherò la notizia anche qui sopra. Però sospetto che ci vorrà, come dire, un po’ di tempo per arrivare al traguardo. Nell’attesa, potrei quindi dedicarmi a raccontare i miei viaggi in treno a Giava o in India. Una promessa oppure una minaccia?
 
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