venerdì 11 novembre 2016

Tavosanis, Il linguaggio della comunicazione politica su Facebook

  
 
Copertina de L'italiano della politica e la politica per l'italiano
La settimana scorsa a Firenze ci sono stati convegno e assemblea dell’Associazione per la Storia della Lingua Italiana (ASLI). Nell’occasione ho ricevuto dall’editore Cesati anche la mia copia del volume L’italiano della politica e la politica per l’italiano (Firenze, Cesati, 2016), a cura di Rita Librandi e Rosa Piro, che presenta gli atti del precedente convegno ASLI, svoltosi a Napoli nel 2014.
 
Il volume è imponente (911 pagine!) e molti contributi non li ho ancora letti, ma all’interno c’è anche un mio intervento su Il linguaggio della comunicazione politica su Facebook (pp. 677-685). Nel mio lavoro noto in particolare la notevole importanza di Facebook nella vita comunicativa italiana… e la poca attenzione con cui è stato studiato. Gli studi sulla comunicazione politica elettronica coprono infatti di regola solo Twitter.
 
Questa preferenza anche in questo volume. Il mio intervento è collocato nella sezione Il linguaggio politico dei social network, ma in pratica tutti gli altri contributi sono dedicati al solo Twitter. Annarita Miglietta ha scritto infatti un contributo su Il dibattito politico in pochi cinguettii (un’analisi dei rapporti di conversazione in 20 tweet, pp. 633-643), Giuseppe Paternostro e Roberto Sottile hanno parlato di “In alto i cuori / L’Italia cambia verso”. Discorso politico e interazione nei social network (sulle dinamiche di comunicazione Twitter di Beppe Grillo e Matteo Renzi, pp. 645-660). Fabio Ruggiano illustra attraverso un piccolo campione di tweet Giudizi sul linguaggio dei politici e ideologia linguistica diffusa (pp. 687-696).
 
Soprattutto, Stefania Spina presenta una sintesi collegata ai suoi numerosi lavori su Twitter: La politica dei 140 caratteri: l’equivoco della brevità e l’illusione di essere social (pp. 645-659). Il suo esame, basato su un vasto corpus e sull’analisi dettagliata del lessico, mostra che il mezzo sembra aver spinto i politici italiani a scrivere “testi comprensibili, legati alla loro concreta attività di parlamentari, dai quali qualunque cittadino ha la possibilità di capire le azioni concrete che intraprendono nello svolgimento dei loro compiti e le posizioni che assumono sui temi politici in discussione” (p. 657).
 
L’autrice stessa nota poi che anche in questo contesto i politici non aprono veri dialoghi con i cittadini e puntano soprattutto all’autopromozione. Inoltre, l’abitudine alla chiarezza non sembra passare per esempio negli interventi televisivi degli stessi politici. Il contributo è un’importante messa a fuoco sulle caratteristiche della svolta comunicativa della politica italiana recente. Ma soprattutto, insisterei sul fatto che Twitter resta uno strumento di (relativamente) pochi per pochi.
 
Per quanto riguarda nello specifico Facebook, cioè uno spazio in cui gli italiani sono massicciamente presenti, nel mio contributo ho presentato come prima cosa le caratteristiche broadcast della comunicazione politica al suo interno. Su Facebook, infatti, i politici in pratica non dialogano mai: si limitano a inviare equivalenti di comunicati stampa (più o meno formali) e si astengono dall’intervenire nei commenti di risposta.
 
Il contributo era peraltro fatto in modo da permettere un confronto tra Twitter e Facebook, grazie ai dati ricavati da una tesi di laurea. I risultati mostrano che Facebook condivide per esempio la densità lessicale con Twitter, mentre su altri indicatori è più vicino al parlato televisivo. Saranno necessari ulteriori studi, ma mi sembra che la comunicazione politica di Facebook conservi molte caratteristiche che ha su Twitter, e che una parte di ciò che distingue Twitter sia dovuto, meccanicamente, ai limiti di brevità imposti dallo strumento, che obbligano a distorcere e concentrare il testo.
 
Resta il rimpianto di non aver ancora approfondito il modo in cui il pubblico commenta le comunicazioni dei politici. L’interazione del singolo cittadino è in effetti di estremo interesse; all’argomento è peraltro dedicata nello stesso volume una delle “comunicazioni”, quella di Alessandro Orfano, che ha preso in esame Lingua italiana e linguaggio politico dei forconi di Livorno e Piombino attraverso i social network (pp. 867-877). Speriamo sia solo il primo di una lunga serie di studi.
 
L’italiano della politica e la politica per l’italiano. Atti del XI Convegno ASLI Associazione per la Storia della Lingua Italiana (Napoli, 20-22 novembre 2014), a cura di Rita Librandi e Rosa Piro, Firenze, Cesati, 2016, pp. 911, ISBN 978-88-7667-609-3, € 65.
 

mercoledì 9 novembre 2016

L’intervista in Kenya

  
 

Logo KBC
Come ho raccontato a suo tempo, durante il mio viaggio in Kenya, a settembre, mi è stata fatta un’intervista. Non una cosa breve: una registrazione di un’ora per il servizio in inglese della radio pubblica, la Kenya Broadcasting Corporation. L’intervistatore era Khainga O’Okwemba, presidente della sezione locale del PEN Club, poeta e critico letterario, per il suo programma “Books Café”.
 
L’intervista è andata in onda qualche giorno fa. Da poco mi è arrivato anche il file (MP3) con la registrazione. Quindi, nel caso che qualche lettore italiano sia interessato a sentirmi ragionare per un’ora, in un inglese un po’ faticoso (ma spero migliore di quello di molti politici), su temi che vanno dalla lingua di Machiavelli alla politica universitaria italiana, eccolo qua, condiviso tramite Google Drive!
 
L’intervista è stata fatta praticamente a sorpresa, e mi ha fatto un po’ sudare. Tuttavia, è raro che si abbia occasione di parlare di questioni del genere con un interlocutore competente come Khainga O’Okwemba. Di questo ringrazio lui e Francesca Chiesa, addetta responsabile dell’Istituto Italiano di Cultura di Nairobi, che mi ha dato la possibilità di partecipare anche a questa interessante iniziativa.
 

lunedì 7 novembre 2016

La lingua della comunicazione elettronica sul sito Treccani

  
 
L'immagine di accompagnamento del mio articolo sul sito Treccani
Sul sito Treccani.it è uscito un nuovo Speciale curato da Silverio Novelli: Storia di un e-taliano. Dal PC a WhatsApp. Come il titolo fa intuire, l’argomento affrontato è l’italiano della comunicazione elettronica visto in prospettiva storica. Già, dato che ormai sono passati trent’anni dalla diffusione degli strumenti informatici. Tempo per un bilancio.
 
L’inquadramento è fornito da Gino Roncaglia, che parla di Testi, media e linguaggi nel mondo digitale. L’osservazione centrale del contributo è l’importanza accresciuta della multicodicalità, cioè “le nuove forme di integrazione fra uso della lingua e altri codici comunicativi”.
 
Poi, andando in ordine cronologico, c’è il mio contributo sull’impatto linguistico di Videoscrittura e passaggio al digitale (1985-1995). Qui, anche con rinvii ai lavori di Domenico Fiormonte e Matthew G. Kirschenbaum, presento la mia versione scettica dei fatti: “l’avvento del computer non ha avuto alcun effetto verificabile sulla lingua”.  

A questo segue un contributo di Massimo Prada su La posta elettronica e gli SMS (1995-2005), dedicato a illustrare la multicanalità e la flessibilità degli strumenti.
 
Infine, Stefania Spina presenta un profilo di alta qualità de L’era dei social network (2005-2015). Il nucleo dell’esposizione è rivolto alla “lingua aumentata”, in cui ogni enunciato, tra l’altro, è messo in stretto rapporto con tutta una rete di altri testi.
 

mercoledì 2 novembre 2016

Cignetti e Demartini, L’ortografia

  
 
Copertina di L'ortografia di Luca Cignetti e Silvia Demartini
Il libro di Cignetti e Demartini viene a colmare una lacuna. In ambito universitario l’ortografia italiana è poco studiata: assimilata nella pratica, poco nota in modo esplicito. Le questioni ortografiche sono trattate in tutte le grammatiche, ma ho il sospetto che al loro interno abbiano l’onore di essere le pagine meno lette. Di sicuro, nella mia esperienza i laureati italiani dell’area umanistica di regola scrivono correttamente sta e ma spesso non sanno spiegare perché – e a volte trovano difficoltà a risolvere dubbi anche semplici, quando li incontrano per la prima volta.
 
Questo libro rappresenta quindi un importante contributo. In particolare, è apprezzabile che contenga una ricostruzione storica dell’evoluzione dell’ortografia italiana: un ottimo mezzo per dare profondità al discorso e aiutare a comprendere la logica delle regole e la loro evoluzione.
 
Su un altro piano, mi chiedo chi possa essere il lettore ideale di questo libro. La quantità di informazioni presentate, e la presenza di indicazioni storiche, porterebbero a uno studente universitario dell’area umanistica. Il testo però non può essere facilmente usato come prontuario unico e pratico: un po’ per il carattere discorsivo, un po’ perché i dubbi grafici non sistematici (“propio” o “proprio”? “peronospera” o “peronospora”?) escono completamente dalla sua copertura. Su questo sarebbe stato senz’altro utile, in aggiunta a un inquadramento teorico, un rinvio a strumenti esterni; incluso l’invito a controllare i dizionari, accompagnato da qualche indicazione su ciò che si può consultare di valido anche in rete.
 
Per quel che mi riguarda, ho letto il libro soprattutto dal punto di vista degli insegnamenti di Laboratorio di scrittura e di Linguistica italiana che tengo regolarmente. Da qui ho ricavato le due serie di osservazioni che seguono: le prime a proposito della scelta degli argomenti da trattare (tenendo presente che un testo, e a maggior ragione un testo sintetico di presentazione, con un numero di pagine prefissato, deve sempre fare scelte), le seconde a proposito dell’angolazione con cui gli argomenti sono stati affrontati.
 
Scrivere a mano o su tastiera
 
Per la scelta degli argomenti, mi ha colpito il poco spazio dedicato ai diversi mezzi di scrittura, cioè mano o tastiera. L’ortografia italiana varia infatti un po’, a seconda dello strumento – non molto, certo, ma i punti di variazione creano molte incertezze negli scriventi e sono quindi particolarmente delicati.
 
Nel libro non c’è una discussione esplicita di questo problema ma il modello implicito è evidentemente la scrittura a mano. Solo in due casi, infatti, le indicazioni fornite sono applicabili alla scrittura su tastiera e non a quella a mano – o perlomeno, non a quella normalmente usata in Italia, in corsivo:
 
1. A livello minimo, a p. 46 si parla dell’uso della maiuscola nelle sigle, presentando anche un caso in cui la sigla è composta di tutte maiuscole, ONU. Chi volesse scrivere un testo a mano in corsivo troverebbe difficoltà a farlo in questo modo visto che i caratteri del corsivo maiuscolo non sono pensati per legarsi tra di loro. Davanti a parole del genere, chi scrive a mano tenderà quindi a separare le lettere maiuscole con punti (O.N.U.) o a scriverle in stampatello; questo, sospetto, senza nemmeno accorgersi, di aver cambiato tipo di scrittura. La stessa difficoltà, anche se il problema della legatura è meno grave, si ritrova in forme ormai in disuso come la maiuscola di rispetto all’interno di parola (comunicarLe: p. 47).
 
2. A livello un po’ più significativo, a p. 75 si parla di corsivo, grassetto e sottolineato. Ovviamente queste variazioni di carattere esistono solo per la scrittura su tastiera e non hanno equivalenti ben definiti nella scrittura a mano. In un testo scritto a mano in corsivo, un percorso di addestramento alla scrittura potrebbe invitare a usare lo stampatello minuscolo come equivalente del corsivo tipografico; ma non ho mai visto esempi di una pratica simile.
 
A parte questi due casi, tutte le indicazioni fornite nel libro riguardano l’ortografia “in generale” e sono applicabili sia alla scrittura a mano sia a quella su tastiera. Che il riferimento sia la scrittura a mano è però reso evidente dalla selezione degli argomenti. Nel libro non vengono infatti trattati i problemi ortografici più comuni con cui si trova a combattere chi lavora su tastiera: Che differenza c’è tra apice e apostrofo? Gli spazi vanno prima o dopo le parentesi tonde? Mi devo fidare dei suggerimenti del correttore ortografico? O anche, meccanicamente: come si fa a inserire la È, visto che sulla tastiera il carattere non compare? Come mai ho un solo carattere sulla tastiera per battere virgolette doppie, ma le virgolette compaiono in due forme diverse? E così via. Molte questioni che nell’ottica della scrittura a mano sono marginali (per esempio, la gestione degli spazi bianchi e in generale la paragrafematica) diventano centrali nell’ottica della scrittura su tastiera.
 
Certo, la scrittura a mano resta fondamentale all’Università per le prove d’esame, fino al dottorato; tuttavia i testi universitari più impegnativi vengono scritti su tastiera. Nella mia esperienza, diversi dubbi frequenti di chi si trova a scrivere una relazione universitaria, o la tesi di laurea, richiedono quindi un livello aggiuntivo di “ortografia per videoscrittura”.
 
Va inoltre precisato che la trattazione prende come riferimento un testo di tipo umanistico del tutto privo di numeri (a parte le date: un rapido accenno a p. 29). Restano quindi fuori anche i dubbi ortografici più comuni in materia: quando si deve scrivere un numero “in cifre” e quando “in lettere”? Si può mettere l’apostrofo davanti a una cifra araba? Ci vuole o no la lettera in esponente dopo gli ordinali espressi in numeri romani (“III” o “III°”)? E così via. Lo stesso vale per i diversi tipi di scrittura specialistica. Su questo, secondo me è sempre utile un rimando di approfondimento al classico manuale di Roberto Lesina.
 
La fonetica
 
Per quanto riguarda l’angolazione con cui sono affrontati gli argomenti, va preso in esame il ruolo della fonetica. Gli autori presentano a p. 10 una tabella “L’alfabeto italiano e i suoni corrispondenti”, scelta ragionevolissima. La tabella parte però dai grafemi e presenta i fonemi, mentre manca una tabella inversa, con la presentazione del modo in cui i fonemi vengono rappresentati dall’ortografia. Se il pubblico di questo libro ha una buona conoscenza del modo in cui si pronunciano le parole in italiano, il percorso più naturale sembrerebbe invece proprio quello: partire dalla fonetica per sciogliere dubbi ortografici.
 
Nel testo, in effetti, gli autori non parlano della pronuncia anche in alcuni casi in cui sembrerebbe naturale farlo. Per esempio, nelle spiegazioni sull’uso di -z- si dice che la lettera “deve essere doppia quando compare all’interno di una parola” (p. 37) e poi si elencano le eccezioni. Ma l’uso di -z- all’interno di parola è un problema ortografico solo perché la pronuncia regolare in parole come negozio o polizia prevede la consonante doppia, cosa evidente a moltissimi italiani, e la grafia con una -z- sola si è imposta solo per un vezzo etimologico. Gli apprendenti sarebbero quindi verosimilmente aiutati se fosse loro detto in modo esplicito che qui, eccezionalmente, non devono basarsi sul modo in cui pronunciano le parole (per chi invece non avesse sensibilità per le doppie, le stesse informazioni aiuterebbero a individuare un limite di pronuncia, cosa che non fa male).
 
Dal mio punto di vista sarebbe stato quindi preferibile integrare sistematicamente i due livelli e dare spesso priorità alla pronuncia. Non mancano però i casi in cui il libro procede comunque in questa direzione, e/o quelli in cui occorre comunque dare per scontato che chi scrive non conosca la pronuncia corretta: per esempio, gli autori trattano in questo modo il problema costituito dalle consonanti doppie e dal raddoppiamento fonosintattico per chi viene dall’Italia settentrionale.
 
Inoltre, le descrizioni fonetiche inserite nel libro ignorano quasi sempre la tabella iniziale. In sostituzione dei simboli dell’alfabeto fonetico presentati lì vengono usate invece distinzioni tradizionali come quelle tra suoni “duri” (tipo l’occlusiva velare sorda) e suoni “morbidi” (tipo l’affricata palatale sorda). È vero che etichette del genere, impressionistiche e prescientifiche, vengono ancora ampiamente usate – ahimè – nella didattica della scuola italiana; ma ormai non sono più le uniche, e mi sembra opportuno, soprattutto in un contesto di formazione superiore, evitarle del tutto e spingere nella direzione di una terminologia più solida.
 
Tutto questo non nega naturalmente il valore e l’utilità del libro. Anzi, mi sembra che gli spunti forniti dal testo possano essere un ottimo punto di partenza per andare a definire proposte didattiche future.
 
Luca Cignetti e Silvia Demartini, L’ortografia, Roma, Carocci, 2015, pp. 111, € 12, ISBN 978-88-430-8471-5. Copia ricevuta in omaggio dall’editore.
 
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