giovedì 31 ottobre 2019

Tavosanis, Variazione linguistica nei commenti su Facebook


 
Copertina di Italiano LinguaDue 11/1
Nuovo contributo pubblicato da poco: è appena uscito l’ultimo numero di “Italiano LinguaDue”, la bella rivista del Master PromoItals dell’Università di Milano. Nello specifico, si tratta del Quaderno n. 2, che raccoglie, a cura di Massimo Prada e Giuseppe Polimeni, gli Atti del Convegno di studi Uno standard variabile. Linee evolutive e modelli di lettura della lingua d’oggi, tenuto a Milano nel 2017, di cui ho parlato a suo tempo.
 
Nel Quaderno c’è appunto anche un mio intervento dedicato alla Variazione linguistica nei commenti su Facebook. L’intervento è dedicato in sostanza a illustrare la variabilità anche all’interno di un unico genere testuale, quello del commento: genere importante per la sua grande diffusione, ma anche per il modo in cui è stato al centro delle polemiche politiche negli ultimi anni.
 
Alla base dell’analisi ci sono diversi corpora recenti di commenti, realizzati per tesi di laurea. In totale, i corpora hanno una dimensione complessiva di 650.000 token, e alcuni loro sottoinsiemi sono stati esaminati andando a vedere:
 
le differenze tra commenti appartenenti a diversi sottogeneri testuali la presenza di lingue diverse dall’italiano i valori delle statistiche linguistiche di base la frequenza di alcuni tratti linguistici innovativi
 
Qualche parola su questi ultimi, che sono stati scelti tra quelli che Lorenzo Renzi ha definito (o potrebbe definire) “snobismi”: “grazie di” + infinito presente riferito al passato, anziché al presente o al futuro; la parola “tipo” usata in senso grammaticalizzato; il “piuttosto che” con valore disgiuntivo. Tutti questi tratti sono ben testimoniati nella comunicazione professionale o semiprofessionale; risultano però rarissimi all’interno dei commenti.
 
Nell’assieme, l’analisi conferma che i commenti, accanto ad alcuni caratteri condivisi, presentano un alto livello di variazione. Questo livello potrebbe avere diverse cause, ma sembra collegato più alla presenza di singoli partecipanti con abilità di scrittura diverse che a una capacità dei partecipanti stessi di adattare la propria scrittura a contesti diversi. I vincoli di privacy non permettono di fare analisi a largo raggio su questo fenomeno, ma qualche esempio fa venire il sospetto che di regola gli individui scrivano più o meno sempre allo stesso modo – perlomeno quando si tratta di lasciare traccia della propria presenza su Facebook.
 
Mirko Tavosanis, Variazione linguistica nei commenti su Facebook, “Italiano LinguaDue”, 11, 1, 2019, pp. 112-125, DOI: https://doi.org/10.13130/2037-3597/12205.
 

martedì 29 ottobre 2019

Alivernini, La grande nemica

  
 
Copertina di: Flavio Alivernini, La grande nemica
Io non credo che Facebook e le altre reti sociali siano tanto decisive quanto oggi alcuni pensano. Sono senz’altro realtà importanti e si collocano all’interno di una vita sociale complessa, in cui l’ecologia dei sistemi di comunicazione ha un ruolo di primo piano; ma non sono il fattore più importante della vita contemporanea, nemmeno in Italia. Sembro un marxista vecchio stile se ritengo che la struttura economica sia più importante delle sovrastrutture, e in buona parte (anche se in modo non meccanico) le determini?
 
Fatta questa importante precisazione, poi, è possibile vedere un po’ meglio Facebook e la sua realtà. Non come creature invincibili e dotate di una propria volontà, ma come sistemi condizionati dalle scelte dei proprietari e dalle reazioni del pubblico. In cui, in particolare, le reazioni consapevoli possono determinare ciò che il sistema può fare – indipendentemente da ogni determinismo ingenuo.
 
Partendo da qui ho letto con molto interesse il libro recente di Flavio Alivernini La grande nemica: il caso Boldrini. Il libro è infatti un’importante testimonianza dall’interno sul “caso Boldrini”, per l’appunto: cioè l’assurda situazione per cui una rispettatissima politica italiana è stata vittima di un’ondata di insulti e di odio sulle reti sociali, e in particolare su Facebook. Alivernini è stato testimone diretto degli eventi come componente dell’ufficio stampa di Laura Boldrini quando quest’ultima era presidente della Camera. Inoltre, il libro è preceduto da un’introduzione di Nicola Biondo, ex dipendente della Casaleggio Associati, che fornisce una testimonianza dall’interno basandosi sulla propria prospettiva.
 
Eletta presidente della Camera il 16 marzo 2013, Laura Boldrini è stata da subito un bersaglio dell’estrema destra. Alla base di questo odio c’erano i suoi quasi venticinque anni di lavoro con le istituzioni internazionali, il suo ruolo come portavoce dell’Alto commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati e le sue posizioni contro l’odio razziale. Tuttavia il salto qualitativo è venuto dopo: quando la Casaleggio Associati, che gestisce il blog del Movimento 5 stelle, ha deciso di prenderla come bersaglio, anche se i rappresentanti del Movimento avevano inizialmente mostrato molta simpatia e ammirazione per lei.

Alla base di questa scelta si trova una contrapposizione per una procedura parlamentare. Il 29 gennaio 2014, infatti, Laura Boldrini applicò uno strumento parlamentare per consentire alla Camera il voto sul cosiddetto decreto Imu-Bankitalia, superando l’ostruzionismo del Movimento 5 stelle (p. 33). La mossa provocò una vera e propria rissa parlamentare, e una ritorsione decisa a tavolino.
 
Nicola Biondo ha raccontato la sua versione di questa storia nel libro Supernova. La ripresenta anche qui, nella sua introduzione al libro di Alivernini, attribuendo la scelta di base a Pietro Dettori, all’epoca dipendente della Casaleggio Associati. Dettori infatti assegnò sul blog di Beppe Grillo un titolo provocatorio a un video pubblicato due giorni dopo lo scontro alla Camera:
 
Io ero lì, uomo-macchina della comunicazione 5 Stelle in posizione di vertice, e posso raccontare cosa successe. Il video, girato da un attivista, era leggero, esilarante, piacevole. (…) Un ragazzo al volante con accanto un cartonato raffigurante la presidente della Camera a cui venivano poste domande, ragionamenti, proposte. Tutto qui, tutto molto lieve. Dettori, che in quel momento gestiva i social di Grillo, lo titolò Cosa succederebbe se ti trovassi la Boldrini in macchina?. (…) E per giorni si scatenò l’inferno, sul web e nella politica. Per giorni, quegli stessi lunghissimi e pesanti giorni, io portai l’imbarazzo e la vergogna addosso (p.7).
 
Parlando della cosa con Gianroberto Casaleggio, Biondi dichiara di aver ricevuto questa cinica risposta:
 
“Delle conseguenze non ti preoccupare. Ma noi dobbiamo imparare a canalizzare il sentiment della Rete e usarlo. Oggi abbiamo sbagliato, ma il risultato che ne è venuto fuori ci dice che la Rete è dalla nostra parte. È la Rete che decide la reputazione delle persone” (p. 7).
 
Nei giorni successivi all’uscita del video, la campagna di odio sulle reti sociali, rinfocolata anche dalla televisione e da alcune incertezze comunicative di Laura Boldrini e del suo gruppo, divenne ancora più estesa e violenta. A venire allo scoperto fu un grumo vergognoso di idee sessiste, razziste e violente, documentate nel libro in un modo che non è opportuno ripetere qui.
 
Il peggio però doveva ancora venire. Anche la Lega adottò Laura Boldrini come bersaglio, coinvolgendola esplicitamente in una serie di comunicazioni mirate a incitare all’odio contro gli stranieri. È il caso per esempio di un post di Salvini del 30 gennaio 2018, a commento dell’assassinio di Pamela Mastropietro a Macerata (p. 62).
 
In definitiva, dopo l’intervento della Casaleggio Associati, la Lega e gli altri partiti politici di estrema destra hanno usato continuamente Laura Boldrini come un bersaglio, nel modo che in precedenza era stato proprio solo dei movimenti più estremi. Il tutto al di là di qualunque rapporto con le posizioni reali (ragionevolissime e umane) dell’interessata nei confronti delle migrazioni e delle relazioni internazionali. L’importante era avere a disposizione un nome e cognome, possibilmente femminili, per suscitare e incanalare odio. Ne sono risultati decine di migliaia di commenti osceni e di incitamenti alla violenza, spesso firmati con disinvoltura con nome e cognome su Facebook.
 
Dal 25 novembre 2016 però Laura Boldrini e il suo ufficio stampa hanno iniziato a pubblicare e presentare, appunto, i nomi e cognomi degli autori di questi messaggi (p. 112). Il risultato è stato, ovviamente, un gran numero di messaggi di pentimenti, di scuse, di “non pensavo”… Dal 14 agosto 2017 poi sono iniziate anche le denunce (p. 118). E il 15 gennaio 2019 la prima condanna per questi atti di diffamazione, quella del sindaco leghista di Pontinvrea, Matteo Camiciottoli (pp. 121-122).
 
Probabilmente anche grazie a questi atti, il clima di comunicazione su alcune pagine Facebook è cambiato. Studiando questo genere di comunicazione, so che è difficile dare valutazioni quantitative solide; ma la percezione di un miglioramento dei toni, di un calo della violenza verbale, è molto forte negli ultimi mesi. E, a scanso di equivoci, va detto che quella violenza non era equamente distribuita: era nella quasi totalità una violenza di destra, razzista, antifemminista, omofoba, rivolta contro chi aveva opinioni che ancora oggi si possono caratterizzare “di sinistra”, ma che forse sarebbe più semplice definire “umane e ragionevoli”.
 
Le conclusioni di Alivernini sono ottimiste:
 
Gli odiatori seriali sui social di Laura Boldrini oggi sono davvero pochi. Rumorosi, certo, ma prontamente ricacciati indietro da una comunità digitale che si è stretta attorno ai propri valori e alle proprie idee politiche. (p. 129).
 
Non so se questo ottimismo può essere condiviso fino in fondo. Io, appunto, ritengo che l’odio che è stato fatto dilagare negli ultimi anni non sia stato creato dal nulla dalle reti sociali, e che non bastino operazioni di ripulitura delle reti stesse per cancellarlo. Però, appunto, in questa ecologia di comunicazioni, occorreva senz’altro reagire in nome dell’umanità e della civiltà. Non basterà, ma va fatto e rappresenta un componente importante per la nostra vita sociale.

In fin dei conti, e in sostanza: le espressioni di odio e gli incitamenti alla violenza non sono una componente inevitabile delle piattaforme online. Ospitare messaggi del genere è una scelta dei proprietari, e contrastarli è perfettamente possibile sia dal punto di vista tecnico che da quello sociale.
 
Flavio Alivernini, La grande nemica: il caso Boldrini, Milano, People, 2019, pp. 154, € 16, ISBN 978-88-32089-09-7. Comprato su Amazon.it.
 

giovedì 24 ottobre 2019

Convegno ILPE a Messina


 
Il treno in traghetto tra Calabria e Sicilia
Sono a Messina al convegno ILPE 4 – Les idéologies linguistiques dans la presse ècrite; l’exemple des langues romanes, ottimamente organizzato da un comitato internazionale di cui è membro italiano Fabio Rossi.
 
Oggi pomeriggio parlerò di un tema a me molto caro: L’ideologia linguistica e le pratiche di Wikipedia in lingua italiana. Prenderò in esame soprattutto le pagine di aiuto di Wikipedia, tra cui il Manuale di Stile, e alcune discussioni recenti per mostrare in particolare la spinta alla normalizzazione e i fattori che la rafforzano. Tra l’altro, diversi interventi tenuti al convegno negli ultimi giorni hanno mostrato quanto la spinta alla normalizzazione sia attiva in aree molto diverse della comunicazione elettronica… e io cercherò di documentare appunto somiglianze e differenze.
 
Aggiungo però che mi ha fatto molto piacere anche solo arrivare qui in treno, con l’Intercity Notte 35551 da Roma. Ottimi letti “Confort”, e una soddisfazione particolare nel trasbordo. Sì, perché come forse non tutti sanno, i treni italiani a lunga distanza non si fermano allo stretto di Messina: vengono scomposti, caricati su un traghetto delle Ferrovie e ricomposti allo sbarco in Sicilia. Il che permette anche al passeggero volenteroso di alzarsi presto e godersi spettacoli come l’alba in mezzo allo Stretto, con Scilla e Cariddi in lontananza.
 

lunedì 21 ottobre 2019

Scòzzari, Lassù no

  
 
Una vignetta di Baghdad
Mi sembra che nel fumetto italiano ci sia un buon numero di autori sottovalutati. En cima alla mia personale classifica c’è Filippo Scòzzari, uno dei grandissimi.
 
Non è l’unico, ma è quello che è riuscito ad andare avanti con la massima costanza e capacità di rinnovamento all’interno del proprio stile. Stefano Tamburini se n’è andato troppo presto. Massimo Mattioli, da poco scomparso, ha fatto cose incredibili come Joe Galaxy e le perfide lucertole di Callisto IV ma non ha variato molto il modello. Scòzzari no: si è allargato in diverse direzioni, e con successo. I suoi libri di memorie, da soli, basterebbero per assicurargli il posto in una storia della letteratura italiana contemporanea.
 
Negli ultimi mesi sono riuscito a ritrovare un po’ di gusto per il fumetto e ho fatto diverse letture interessanti. Mi sono anche comprato l’appena uscito Lassù no, una raccolta di 20 diverse storie a fumetti di Scòzzari, da poco uscita per Coconino Press. Ottima idea.
 
L’edizione purtroppo non è impeccabile. Nella storia Un buon impiego, grande lavoro del 1977, si apprezza il fatto che, come in diversi altri casi, le scansioni siano state eseguite sugli originali, non sulla versione stampata in rivista… però, nel farlo, è saltata la tavola 13! E in un paio di casi, ammetto che le scansioni di originali forse avrebbero potuto essere sostituite dalle versioni su rivista, che piallando le caratteristiche dell’originale ne limavano anche i difetti – cosa di cui l’autore, all’epoca, era ben consapevole, direi.
 
Io poi ho avuto anche l’idea di comprare il libro, per motivi di tempo, su Amazon. Scelta con molte controindicazioni, nel caso di volumi di grande formato: il libro è arrivato con una brutta ammaccatura che rovina la parte superiore della sovracoperta. Poco per prendersi il disturbo di fare la procedura di rimborso, ma fastidioso – e non è la prima volta che mi succede.
 
Al di là di queste seccature minori, però, il libro è splendido. Scozzari riesce a combinare come pochi testi e immagini creando un mondo surreale e coerente. Le storie incluse sono 20, realizzate dal 1976 (Fango) al 2003 (Baghdad); e le più recenti sono tra le più spettacolari. Al punto che, dovessi sceglierne una, sceglierei appunto l’ultima, uscita durante la lunga attesa dell’invasione americana dell’Iraq. Sono solo sei tavole, ma contengono undici microscenette impostate sul “quanto tutto andrebbe meglio se fossimo a Baghdad”: una per ognuna delle prime cinque tavole, e poi sei (una per vignetta) nella tavola finale. Il risultato è una combinazione riuscitissima di grafica, senso del parlato, rinvii all’attualità. Giusto per avere un’idea delle battute tipiche:
 
[personaggio senza occhi e senza bocca] No! Léi, è ufficiale? Se è ufficiale, e anche se non lo è, le suggeriamo Baghdad!
Ci prendiamo cura noi del suo gelo, mentre è via! (p. 130)
 
Limiti? Beh, certo, dove porta questo surrealismo, e perché? C’è un motivo per cui alla fine mi sono dedicato alla ricerca, più che all’arte. Ma Scòzzari riesce a fare una cosa rara: far percepire la possibilità di qualcosa di diverso, che poi non esiste ma non è importante che esista. In questo momento, mi ci voleva.
 
Filippo Scòzzari, Lassù no, Roma, Coconino Press, 2019, pp. 218, € 25, ISBN 978-88-7618-426-0. Comprato su Amazon.it.
 

martedì 15 ottobre 2019

Tavosanis, Il rapporto tra le tecnologie, il cambiamento linguistico e l’educazione linguistica


 
Copertina Educazione linguistica e insegnamento
Mi è arrivato da poco un altro libro con un mio contributo: Educazione linguistica e insegnamento, a cura di Daria Coppola. Il libro è un’interessante raccolta di studi sul tema sintetizzato dal titolo, e nasce come sviluppo di un ciclo di incontri tenuti negli scorsi anni a Pisa.
 
Impossibile sintetizzare qui tutti i contributi, che, come sottolineato nell’introduzione di Daria Coppola, si basano su una “pluralità dei punti di vista, talvolta (e utilmente) non coincidenti” (p. 15). Mi limito qui a ricordarne uno: Educazione linguistica oggi: dal passato al prossimo futuro di Francesca Gallina (pp. 37-61), che fa un’ottima sintesi della storia del concetto di educazione linguistica in Italia, con particolare riferimento, naturalmente, a Tullio De Mauro e alle tesi del GISCEL.
 
Il mio contributo, Il rapporto tra le tecnologie, il cambiamento linguistico e l’educazione linguistica, ha un taglio molto diverso. Ho approfittato dell’occasione per riprendere e sintetizzare diverse riflessioni contro il determinismo tecnologico nei fatti di lingua. Alla base di questo ci sono polemiche un po’ remote, e in particolare quelle risalenti alla triste vicenda dei “nativi digitali” nel 2013. Tuttavia, per me è stato importante formalizzarle ora, ripensando a vicende e a contributi molto più recenti: le attività su Wikipedia da un lato, le riflessioni di Gino Roncaglia sull’età della frammentazione dall’altro.
 
L’idea che voglio proporre, in definitiva, è semplice – e, sarei tentato di dire, di buon senso. Le nuove tecnologie della comunicazione offrono possibilità che in precedenza non c’erano. Ciò che poi ne viene fuori non è rigidamente predeterminato, ma è il frutto di molti fattori. Economici, naturalmente, ma anche culturali. E tra questi c’è anche, com’è ovvio, la possibilità di intervenire volontariamente: di spingere perché gli strumenti vengano usati per i fini che ci sembrano positivi, e non per quelli negativi.
 
Il lavoro non è facile, ed è giusto che non lo sia. Le società umane sono ecologie complesse in cui spesso ricette semplici producono risultati non voluti. Ma per fortuna il lavoro è possibile, e credo che chi ci si impegna possa imparare molto, portandolo avanti.
 
Mirko Tavosanis, Il rapporto tra le tecnologie, il cambiamento linguistico e l’educazione linguistica, pp. 97-112, in Educazione linguistica e insegnamento, a cura di Daria Coppola, Pisa, ETS, 2019, pp. 213, € 15, ISBN 978-88-4675584-1. Copia autore ricevuta dall’editore.
 
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