martedì 1 ottobre 2024

L’intelligenza artificiale generativa a scuola e all’università


 
Genera un'immagine in bianco e nero di docenti e studenti che scrivono usando strumenti basati sull'intelligenza artificiale. L'immagine deve essere imitare lo stile di una xilografia rinascimentale e dovrebbe avere un numero di dettagli non eccessivo, per la pubblicazione online. Alcuni degli strumenti presentati nell'immagine dovrebbero essere riconoscibili come sistemi informatici moderni.
L’anno accademico 2024-2025 per me è partito con diverse esperienze interessanti: all’Università di Pisa ho iniziato il mio corso sulla valutazione delle intelligenze artificiali generative con gli studenti della laurea magistrale in Italianistica e ho parlato delle possibilità dei sistemi attuali ai docenti in formazione dei cosiddetti PF60.
 
Sottolineo un punto di particolare interesse. Nonostante da due anni a questa parte le intelligenze artificiali in generale, e le intelligenze artificiali generative in particolare, siano diventati temi di moda, la consapevolezza delle loro capacità (o incapacità) reali non mi sembra ancora diffusa. Per esempio, ho potuto constatare personalmente che, anche in un pubblico di studenti di alto livello e interessati a questioni linguistiche, pochi avevano provato ChatGPT come qualcosa di più di una curiosità. Anche tra quei pochi, poi, buona parte aveva provato a usare ChatGPT soprattutto come motore di ricerca – cioè per un compito per cui il sistema è decisamente inadatto.
 
Mettere per iscritto qualche osservazione generale sulla situazione mi sembra quindi utile. Utile per me, innanzitutto: anche se negli ultimi anni ho dedicato molto lavoro a questi temi, i contributi specifici non possono sostituire una sintesi.
 
Partirei quindi da una constatazione generale: le intelligenze artificiali generative sono una novità reale e importante. Non avranno certo l’impatto predetto da alcuni entusiasti (non sempre disinteressati), ma le loro capacità sono concrete ed effettive proprio in relazione a diversi tipi di lavoro di area umanistica. Dalla scrittura di temi scolastici alla produzione di esercizi, dalla traduzione alla didattica, in parte gli effetti sono già evidenti. In parte sono ancora solo potenziali, ma come possibilità concretissime, non astratte (non si può sapere se si manifesteranno, ma le possibilità effettive ci sono). Seguire gli sviluppi non è quindi una rincorsa di mode comunicative, ma un aggiornamento su attività importanti e che stanno prendendo una forma su cui si può ancora intervenire.
 
Faccio un esempio praticissimo. Alcuni docenti mi hanno segnalato di aver già ricevuto inviti, più o meno pressanti, a usare ChatGPT per la correzione dei compiti scolastici, in nome dell’efficienza e dell’oggettività. Non ho informazioni di prima mano, ma non ho dubbi sul fatto che inviti del genere possano diventare assai più numerosi e pressanti nei prossimi anni. Sarebbe una buona cosa? Per domande del genere, la risposta corretta è sempre “dipende dal tipo di uso che se ne fa”, ma in questa situazione specifica mi sembra indispensabile aggiungere un avviso di prudenza: “nella maggior parte dei casi, probabilmente no”.
 
Una legittima domanda successiva potrebbe poi essere: come mai, “probabilmente no”? Una risposta richiederà però molti approfondimenti puntuali. Si tratta di un viaggio lungo, ma credo che sia un viaggio che vale la pena fare. Uno dei motivi, e non il meno importante, è il fatto che l’impatto delle novità invita a vedere molte cose in una prospettiva nuova e consente di rimettere in discussione anche idee ormai fossilizzate. Nelle prossime settimane spero di presentare qui diversi esempi interessanti.
 

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