martedì 8 ottobre 2024

Mollick, Co-Intelligence

 
Sicuramente, una delle cose che rendono difficile comprendere il funzionamento delle “intelligenze artificiali generative” (ChatGPT è simili) è il fatto che le loro capacità sono ben poco intuitive. In particolare, sono capaci di eseguire bene compiti sorprendenti e difficili, ma non sono capaci di eseguirne altri che sembrerebbero invece semplici.
 
Questa constatazione è ovviamente centrale per molte riflessioni. È anche uno dei nuclei alla base di un libro recente, Co-Intelligence di Ethan Mollick. Una delle definizioni più interessanti contenute nel libro è infatti quella che descrive i limiti delle capacità delle intelligenze artificiali generative come una “Jagged Frontier” (p. 46): una frontiera frastagliata, con molte sporgenze e rientranze, e che oltretutto ha confini invisibili. Solo un’esplorazione attenta, a opera di molte persone diverse, può individuare questi confini con una serie di tentativi ed errori.
 
Non c’è dubbio che questa descrizione si adatti bene alle esperienze degli ultimi anni, con la scoperta graduale delle capacità dei prompt e la messa a fuoco del fatto che i sistemi generativi rispondono in modo diverso a seconda del modo in cui viene posta la domanda (cosa che ancora pochi sanno, direi). Inoltre, l’idea che il modo migliore per scoprire cose nuove in questo settore sia quello di coinvolgere tante persone, invece che limitarsi al lavoro di pochi esperti, mi trova molto in sintonia (pp. 143-146).
 
Ciò che mi differenzia invece da Mollick è la stima dei risultati ricavabili da questa attività di esplorazione. Mollick dice per esempio, con sicurezza senz’altro eccessiva, che “These advances are once-in-a-generation technologies, like steam power or the internet, that touch every industry and every aspect of life” (p. xv). Al termine di una serie di paragoni spesso discutibili, viene poi spiegato il titolo del libro: “AI works, in many ways, as a co-intelligence. It augments, or potentially replaces, human thinking to dramatic results” (p. xvi). Tutto questo sulla base di, ahimè, “early studies” che mostrano le possibilità di aumentare la produttività dal 20 all’80 per cento in settori come la programmazione.
 
Il guaio di queste stime è che, storicamente, si rivelano quasi sempre molto ottimistiche. Le menzionerò ancora nelle conclusioni e conto di parlarne più avanti nella recensione di un altro libro recente... ma la lunga sequenza storica di esagerazioni nelle possibilità delle tecnologie dovrebbe rendere ragionevolmente scettico ogni lettore informato. Così come si dovrebbe essere davvero scettici, viste le esperienze, sulla visione ottimistica che il libro presenta per l’inserimento delle IA nel mondo del lavoro (il capitolo 6 è a volte quasi imbarazzante da questo punto di vista, specie se letto in Italia).
 
Più in dettaglio, dopo una sezione dedicata a discutere i rischi legati all’uso disinvolto delle “intelligenze artificiali predittive”, Mollick articola più in dettaglio le sue posizioni nel terzo capitolo, dedicato a presentare “Four Rules for Co-Intelligence”. I principi sono:
  1. Always invite AI to the table, cioè in pratica provare a usare l’IA in tutte le attività, a parte evidentemente le situazioni in cui ci sono vincoli morali o legali (p. 46). 
  2. Be the human in the loop, cioè tenere d’occhio la produzione dei sistemi in modo da fornire un’attenta supervisione umana al lavoro delle IA (p. 51). 
  3. Treat AI like a person (but tell it what kind of person it is), cioè sfruttare il fatto che le risposte dei sistemi variano molto, anche qualitativamente, a seconda del ruolo che l’interlocutore umano assegna loro – da dilettante a specialista (p. 54). 
  4. Assume this is the worst AI you will ever use, cioè tenere conto delle possibilità di sviluppo dei sistemi (p. 59).
Io avrei alcune obiezioni al primo e al quarto principio. Per esempio, in rapporto al quarto, non sono così convinto del fatto che le intelligenze artificiali possano solo migliorare: in mancanza di grandi sviluppi tecnici, i vincoli legali, o la semplice procedura di “enshittification” di cui parla Cory Doctorow, possono benissimo rendere le IA del futuro meno capaci di quelle di oggi.
 
Soprattutto, però, in rapporto al terzo sono molto meno convinto di Mollick sulla quantità di benefici ricavabili in questo modo. Alcuni ce ne sono sicuramente, ma dopo due anni di tentativi da parte di milioni di utenti è intanto difficile immaginare che possa venire fuori qualcosa di radicalmente nuovo. Resta senz’altro la possibilità di trovare soluzioni individuali per problemi specifici – ma, appunto, non è affatto garantito che per esempio in una qualche attività lavorativa ci siano per forza di cose situazioni in cui le intelligenze artificiali generative possano aiutare. A cominciare innanzitutto dalla scuola, e da attività come linsegnamento della scrittura!
 
Come già detto, infatti, le stime dei benefici sono preliminari e in situazioni del genere l’esagerazione è la regola. Che le IA abbiano alcune capacità effettivamente utili è indubbio; altrettanto indubbio, però, è che abbiano fortissimi limiti. Prima di abbracciare un generale ottimismo, mi sembra quindi utile entrare molto più in dettaglio nella valutazione. Questo è ciò che sto facendo con diversi lavori di ricerca… e conto di parlarne presto anche qui.
 
Ethan Mollick Co-Intelligence: Living and Working with AI, Londra, Penguin, 2024, versione Kindle, € 14,99, ISBN 978-0-753-56078-5 ASIN B0CHHY2PS4.
 

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