martedì 3 settembre 2013

Antichità e stabilità del linguaggio

 
Schema riassuntivo di Dediu e Levinson
Poche settimane fa è stato pubblicato un interessante articolo sull’antichità del linguaggio umano. On the antiquity of language: the reinterpretation of Neandertal linguistic capacities and its consequences, di Dan Dediu e Stephen C. Levinson (Frontiers of Psychology, 5 luglio 2013; doi: 10.3389/fpsyg.2013.00397), non presenta nuove scoperte. Fa però il punto in modo molto intelligente su ciò che si sa. E, personalmente, credo che questa sia la cosa migliore che potesse fare, in un settore che da qualche decennio mi sembra molto sclerotizzato.
 
Contesto: nessuno oggi è in grado di dimostrare quando gli esseri umani, o le specie intelligenti che li hanno preceduti, abbiano iniziato a parlare. Però la tendenza dominante sembra quella a fornire date incredibilmente recenti, che cozzano con ciò che sappiamo della storia umana. Spesso proposte del genere sono opera di persone prive di competenze nell’argomento (come è successo di recente per Maurizio Ferraris); anche gli addetti ai lavori, però, tendono a fornire stime che, per una ragione o per l’altra, non sono molto verosimili.
 
Certo, il linguaggio parlato non può essere antichissimo. Tra le proposte a me note, la più estrema è quella di Mario Alinei, che ritiene possibile che non solo il linguaggio in sé, ma le stesse famiglie linguistiche contemporanee risalgano all’Homo erectus, e quindi potenzialmente a oltre due milioni di anni fa. Gli argomenti per sostenerla, oggi, sono molto deboli… ma non sarei troppo sorpreso se in futuro questa ipotesi estrema venisse rafforzata da qualche nuova scoperta!
 
All’altra estremità cronologica, invece, ho pochi dubbi sul fatto che le date più citate dai linguisti (tra i 30 e i 150.000 anni fa) siano decisamente troppo recenti. Si basano infatti sull’idea che solo l’homo sapiens sapiens moderno abbia sviluppato non solo la capacità di parlare, ma anche tutta una serie di attività culturali, dall’arte alla religione. Le date più recenti fornite per questo sviluppo sono però, appunto, assurdamente recenti, e non spiegano come praticamente tutti i gruppi umani, compresi quelli più isolati, abbiano sviluppato lingua, arte, religione…
 
Dediu e Levinson passano in rassegna acquisizioni provenienti da campi diversi, per mostrare come la frattura, se c’è stata, risalga almeno allo sviluppo dell’Homo sapiens heidelbergensis, mezzo milione di anni fa. Le novità recenti vengono soprattutto dallo studio genetico e da quello anatomico, che suggeriscono che già in questo periodo gli esseri umani avessero tutte le strutture fisiche necessarie a produrre linguaggio parlato in senso moderno. La revisione delle testimonianze archeologiche fa inoltre pensare che le attività simboliche da un lato siano molto più antiche del previsto, dall’altro lascino tracce solo in circostanze particolari. Secondo gli autori, tutto questo spinge a ritenere
 
that essentially modern language is phylogenetically quite old, being already present in the common ancestor of these two lineages [Sapiens sapiens e Neanderthal] about half a million years ago (that is, five to ten times older than is often assumed).
 
Questa rivalutazione ha ovviamente tutta una serie di conseguenze sugli studi linguistici in senso ampio. Dediu e Levinson la intrecciano però, giustamente, con altre considerazioni sulla stabilità e conservatività dei linguaggi, facendo notare che ciò che oggi sappiamo sulla rapidità del cambiamento linguistico – comunque, secondo me, sopravvalutata! – non si accorda bene con il quadro, oggi popolare, in cui solo pochi gruppi di sapiens sapiens sono usciti dall’Africa 50-70.000 anni fa. Possibile che quei pochi gruppi siano alla base di tutta la diversità linguistica moderna? L’ipotesi proposta è quindi che le famiglie linguistiche attuali possano in alcuni casi continuare la lingua di rami precedenti dell’umanità, come i neanderthaliani o i denisovani o i florinensi.
 
Insomma, viviamo in tempi interessanti! Per me, poi, è soprattutto incoraggiante vedere che il processo scientifico funziona, e che l’accumulo di dati incomincia a scalzare idee incrostate nei decenni (anzi, nei secoli, perché l’idea di rapido cambiamento nelle lingue risale in buona parte all’Ottocento, che ancora tentava di conciliare le scoperte archeologiche con la cronologia della Bibbia…). Un po’ alla volta, ci avviciniamo forse a una comprensione più realistica di ciò che è successo alle origini del linguaggio.
 

2 commenti:

Anonimo ha detto...

salve! mi sembra che il link a Mario ALinei non funzioni, rinviando a una ricerca: forse va corretto?

Mirko Tavosanis ha detto...

Ciao! Grazie per la segnalazione... in effetti, però, il link dovrebbe proprio puntare a una ricerca - visto che di Alinei ho parlato in modo sparso in diversi post. Purtroppo non ho trovato una soluzione migliore per richiamarli tutti assieme...

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