Chi ha seguito uno dei miei corsi di scrittura sa che la mia risposta normale alle domande è: “Dipende”. Si può iniziare una lettera in questo modo? Dipende. Posso scrivere questa cosa in una relazione? Dipende.
D’accordo, è chiaro che poi nella risposta si passa di regola a dire qualcosa di molto più definito, perché questo “dipende” dipende da fattori ben precisi: destinatari, circostanze e obiettivi della comunicazione. Una volta determinati questi fattori, si arriva quindi quasi sempre a un sì o a un no abbastanza secco. Resta il fatto che gli interlocutori, di regola, presentano i propri dubbi in termini tanto generali (si può? / non si può?) che nella realtà dell’italiano è necessario come prima parte della risposta fare tutta una serie di puntigliose precisazioni.
È chiaro quindi che il libro di Silverio Novelli Si dice? Non si dice? Dipende (sottotitolo: L’italiano giusto per ogni situazione, Roma-Bari, Laterza, 2014, pp. XXII + 195, € 16, ISBN 978-88-581-1013-3) non può non piacermi fin dal titolo. Aggiungiamo poi che il libro mi è stato gentilmente spedito da Silverio stesso, che è un amico con cui mi capita di lavorare abbastanza regolarmente da quasi vent’anni, e si capirà che questa recensione non può essere troppo imparziale!
La base del libro è data poi dall’attività di Silverio stesso negli ultimi dieci anni all’interno della sezione Lingua italiana – domande e risposte del portale Treccani. Il corpo del testo, dopo l’introduzione, è quindi formato dalle dettagliate risposte a una gran quantità di dubbi linguistici. Dopo due capitoli iniziali su La pronuncia e la grafia e La punteggiatura, l’esposizione è articolata secondo le tradizionali parti del discorso. Restano fuori, curiosamente, solo le interiezioni; e dico “curiosamente” perché, nella mia esperienza, molti italiani hanno un bel po’ di dubbi sia sull’ammissibilità stessa delle interiezioni in certi tipi di scrittura, sia, in modo ancora più radicale, sulla grafia delle interiezioni stesse. Cioè, l’uso prescrive per esempio ehi o boh, ma molti italiani scrivono hei, hey, bho e così via.
La presentazione in sé è poi, in primo luogo, competente e dettagliata. Anche gli addetti ai lavori possono imparare molte cose leggendo il libro – o perlomeno, questo è quanto è successo a me! In secondo luogo, l’assieme è molto più leggibile di quanto sarebbe lecito aspettarsi da una serie di consigli grammaticali marcati da simboli (137 in tutto, se ho ben contato; e sui simboli dirò qualcosa di più tra poche righe). Silverio ha scelto infatti di dare al tutto un andamento narrativo, tenuto assieme da molti richiami alla narrativa di fantascienza e, soprattutto, ai film e ai telefilm di fantascienza. Altri punti a favore, nella mia prospettiva… E, in terzo luogo, i consigli sono ragionevolissimi e riflettono un ampio consenso – i casi in cui io sceglierei altre soluzioni sono molto, molto pochi. Per esempio, nella declinazione dei plurali delle parole latine, io accetterei senza problemi “curriculum” anche come plurale, in alternativa a “curricula” (p. 79); ma i casi di questo tipo sono appunto rari.
Veniamo però al discorso dei simboli. Silverio ha deciso di qualificare il “dipende” usando come sostegno anche sette simboli che individuano diverse circostanze d’uso. Eccoli (da p. 2):
In questa soluzione apprezzo particolarmente il fatto che la “lingua scritta informale” sia messa in implicito parallelo alla “lingua parlata spontanea”. La scelta è in effetti testimonianza di quanto oggi sia ragionevole descrivere il rapporto tra scritto e parlato in questo modo: due canali di comunicazione che hanno strettissimi rapporti fra di loro, ma sono anche al tempo stesso autonomi, al punto che in entrambi si può avere una contrapposizione tra il “formale” e l’“informale” (o “spontaneo”). Che lo scritto informale sia simboleggiato da uno smartphone è poi testimonianza di quanto sia stato fondamentale, per diffondere e rendere visibile ciò che in misura minore esisteva anche in precedenza, il ruolo della comunicazione elettronica in italiano.
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