giovedì 9 febbraio 2012

Computer e motivazione allo studio: regole 1 e 2

 
Le ondate di entusiasmo nei confronti degli strumenti multimediali per la scuola mi sembrano sorprendentemente acritiche. Nei comunicati stampa, un sacco di gente dichiara di aver trovato “la” soluzione; ben pochi, però, ricordano le tante altre soluzioni tecnologiche che sono state proposte come “la” soluzione, e che sono rapidamente passate nell’oblio. Adesso c’è l’entusiasmo per tablet e iPad; in passato avevamo l’entusiasmo per Internet, e prima ancora quello per i computer, e prima ancora quello per i lucidi, le diapositive, le fotocopie, il ciclostile, la televisione, il cinema, il torchio tipografico in classe, eccetera...
 
Le novità tecnologiche hanno questo di bello: che, come le diete miracolose, all’inizio funzionano! Le prime classi che sperimentano un sistema ricevono attenzione, finanziamenti e apparecchi e scintillanti. Di regola si riesce anche a riscontrare un miglioramento rispetto alle tecniche “tradizionali”. Poi, passato il tempo, allargata l’esperienza, l’entusiasmo si affievolisce e alla fine ci si riadagia su qualcosa che assomiglia molto a ciò che esisteva prima.
 
In queste condizioni non è facile fare valutazioni oggettive. In Italia il sistema scolastico pubblico ha in corso un pacchetto di sperimentazioni sulle applicazioni didattiche dell’informatica: Scuola digitale. Tuttavia è molto difficile trovare spiegazioni chiare e articolate di ciò che si è imparato da queste sperimentazioni, e da quelle precedenti. A me farebbe molto piacere avere per esempio una sintesi in forma di libro che presenti in modo chiaro e articolato lo stato delle cose, soprattutto per l’insegnamento della lingua e della grammatica. Però non esiste nulla del genere, che io sappia, mentre sono molto diffusi i libri dedicati alle “potenzialità” dell’innovazione. È molto più facile e meno controverso, in fin dei conti, dire le cose che sarebbe bello succedessero, piuttosto che vedere ciò che in effetti succede, anche se ormai sono più di quarant’anni che si conducono intense sperimentazioni sull’uso didattico dei sistemi informatici.
 
Tuttavia una sintesi è necessaria: io lavoro in un ambiente ad alta densità di computer, tra studenti completamente connessi in rete, e ogni anno a ogni nuovo corso devo cercare di capire quale sia la strada migliore per raggiungere i miei obiettivi. Provo quindi a proporre, artigianalmente e un po’ impressionisticamente, ciò che mi sembra di aver imparato in questi anni dalla mia esperienza personale e dallo studio di esperienze precedenti, iniziando da due regole e un postulato quasi superfluo.
 
Regola uno: diffidare delle lune di miele
 
Ogni innovazione viene annunciata come un miracoloso passo avanti. Si introduce un programmino e subito il Ministero o l’Università fanno un comunicato stampa, si dichiara che il programma “è stato scaricato 12.345 volte nell’arco di un mese”, si vanta l’aver raggiunto in questo modo studenti che prima non si interessavano all’argomento, eccetera. Non mi pare però che questa serie regolare di successi annunciati si traduca con altrettanta regolarità in risultati concreti e duraturi. Per questo motivo, ogni dichiarazione sull’utilità di una specifica innovazione dovrebbe essere secondo me accolta con scetticismo, fino a prova contraria (cioè, qualche anno di applicazione di routine).
 
Regola due: lo studio non sarà mai “divertente” tanto quanto il gioco
 
Ogni tanto, nella discussione, sembra che sia possibile rendere tutti gli argomenti di studio ugualmente interessanti, intervenendo solo sul modo in cui sono presentati. L’apice di questo atteggiamento si è forse avuto con il terzultimo presidente degli Stati Uniti, Bill Clinton, che tra i quattro pilastri della sua Educational Technology Initiative (1996) inseriva questo come n° 3:
 
Educational software will be an integral part of the curriculum -- and as engaging as the best video game.
 
Ora, il motivo per cui nell’istruzione i giochini (ma anche le caramelle, o i premi in denaro) servono relativamente a poco è intuitivo: di regola, soddisfazioni simili non sono molto interessanti, oppure possono essere ottenute con meno sforzo in altro modo. Quindi, esattamente come nelle lezioni di matematica-con-spogliarello cui assiste la professoressa marziana, anche il più interessante dei giochini superficiali dopo un po’ stanca. Un videogioco è una cosa pensata per intrattenere, ed è difficile pensare che si possa raggiungere lo stesso coinvolgimento con un prodotto che all’intrattenimento deve aggiungere un obiettivo formativo.
 
Certo, nei giochi per bambini di cinque anni si possono mettere lettere dell’alfabeto all’interno di fiorellini, e così via. Ma è difficile credere che un programma per lo studio di funzioni possa essere equivalente a uno sparatutto. Gli esseri umani sembrano in grado di entusiasmarsi sia per gli studi di funzioni sia per gli sparatutto, ma il secondo genere di entusiasmo sembra assai più comune. Forse si può combinare lo studio di funzioni con uno sparatutto... ma è molto probabile che il prodotto risultante produca un apprendimento tanto lento da essere improponibile a scopi pratici.
 
Questo non vuol dire che non si possano trovare modi più intelligenti e coinvolgenti per insegnare (anzi, su questo c’è molto lavoro da fare). Vuol dire però che è inutile sperare che un programma sia in grado di insegnare cose complesse “divertendo” tanto quanto uno sparatutto.
 
Postulato quasi superfluo: la motivazione estrinseca può agire solo se esiste
 
Il postulato è lapalissiano ma, incredibilmente, spesso dimenticato. Nel mondo reale spesso le ricompense dell’istruzione, o della formazione, o non sono affatto evidenti allo studente, o non esistono proprio – o, se esistono, hanno un peso più basso di quello che si attribusce loro. Io mi sono fatto l’idea (e non sono isolato in questo) che una causa importante della stagnazione formativa dei paesi sviluppati negli ultimi decenni sia la scarsa utilità competitiva della formazione. Se i laureati guadagnano in media poco meno dei diplomati, o se la punizione per l’insuccesso formativo non è molto alta, gli studenti hanno meno motivazione estrinseca per studiare. E un atteggiamento del genere è perfettamente razionale da un punto di vista, diciamo così, economico.
 
 

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