martedì 7 febbraio 2012

Meyers, Breaking the page

 
Peter Meyers ha reso disponibile pochi giorni fa la “preview edition” di un libro dal titolo accattivante: Breaking the page: Transforming books and the reading experience. Sul sito di O’Reilly questa “preview edition” è gratis, ma per evitare tutto il fastidio della registrazione e del trasferimento manuale del file su Kindle mi sono ritrovato a spendere 80 centesimi e a scaricare il libro da Amazon. Avrei fatto meglio a risparmiare i soldi e a procurarmi il libretto in una versione ePub senza DRM, leggibile in libertà su vari supporti? Senz’altro... Ma il tempo stringeva, e la scelta era tra Amazon e rinviare la lettura a chissà quando.
 
Per quanto riguarda i contenuti, Meyers parte con il piede giusto. Nell’introduzione racconta da un lato il suo entusiasmo davanti alle possibilità del libro elettronico: “In those magical, movable pixels, I thought, had to be the makings of a future book...” (loc. 69). E dall’altro, la sua preoccupazione davanti al fatto che i libri elettronici in realtà sono da molti punti di vista peggiori di quelli su carta:
 
They had attention-breaking conversion “artifacts” (typos, odd line breaks, weirdly limited fonts). I couldn’t easily do simple things – flip between different spots in a book, check the index – that made me a more nimble, more satisfied reader. [Mentre gli esperimenti di interattività] looked like the results of an engineer run amok in the English department: videos wedged into and around prose, the two alternately ignoring each other and vying for the viewer’s attention; text puddling onto the screen’s edge as you tilted your e-reader this way or that; and links, links, links galore. Wikipedia became a kind of safety net for writers not inclined to fully explain the topic at hand (loc. 69-81).
 
In reazione a questo panorama, Meyers racconta di aver buttato giù, alla buona, un po’ di idee astratte per “migliorare” i libri elettronici. Alcune di queste idee, descritte per esempio alle loc. 102-112, lasciano piuttosto perplessi (“Play-by-play dramas”), altre sembrano utili ma non nel modo immaginato dall’autore (“The birds-eye view of a book”), altre utili ma marginali (“Change-tracking for readers”). Eccetera.
 
In ogni caso, nel primo capitolo del libro Meyers esamina diversi modi cui gli indici tradizionali potrebbero essere sostituiti e migliorati. La galleria è affascinante, anche se in molti casi i tentativi rimangono poco più che abbozzi, e qualche punto di riferimento sembra già consolidato: mi rincuora trovare in questa lista alcuni dei prodotti che ho presentato per esempio nel mio corso del 2011 sulle Interfacce di lettura e scrittura, come The elements (scarso) e Our choice (niente male, e diretto ispiratore, direi, di molte delle cose che ora si trovano negli iBooks Apple).
 
Qualche nota più di dettaglio:
 
  • sono molto interessanti i tentativi di fare “indici” migliorati e di ridurre l’inferiorità del libro elettronico dal punto di vista dell’esplorazione casuale sostituire “Start screen” a indici veri e propri mi sembra una soluzione vantaggiosa solo in alcuni casi – anche se gli esempi forniti da Meyers fanno pensare che, quando funziona, sia un’ottima scelta
  • l’uso di “gallerie” mi sembra anch’esso interessante per prodotti ben definiti, ma in generale incapace di presentare raccolte con un minimo di estensione
  • Le “timeline” sono probabilmente di uso più limitato rispetto a ciò che Meyers ipotizza
 
Il secondo capitolo è dedicato alla “ricerca” all’interno del testo. Meyers qui presenta molte proposte originali di miglioramento: nella maggior parte dei casi la portata dell’innovazione mi sembra limitata, ma non c’è dubbio che l’assieme potrebbe essere molto utile.
 
Infine, il terzo e ultimo capitolo è dedicato ai modi per navigare all’interno del libro. Molti elogi sono dedicati ai prodotti per iPad della casa editrice Inkling: mi sono scaricato subito la loro app e ho fatto un po’ di prove con il materiale gratuito messo a disposizione. Il risultato non promette male... ma i libri completi (quelli cioè per cui è utile disporre di sistemi sofisticati di navigazione) hanno costi tali da scoraggiare un esame sistematico.
 
Qualche parere personale, alla fine di questa rassegna: mi sembra probabile che i “miglioramenti” futuri nei libri elettronici saranno a macchie di leopardo, e faranno balzare agli occhi le differenze concettuali che i libri su carta, tutto sommato piuttosto simili tra loro, oggi non mettono troppo in evidenza. I romanzi rimarranno tali; la saggistica umanistica, pure; le guide pratiche, dal turismo alla cucina, saranno rivoluzionate; i manuali per la scuola e l’università si presenteranno in forme estremamente differenziate a seconda della materia. Insomma, non avremo “il” libro del futuro, ma diversi formati per “i” libri del futuro.
 
Il meccanismo in sé non è nuovo: mezzo millennio fa, i libri a stampa hanno impiegato grosso modo un secolo per prendere l’assetto moderno in molti dettagli, dai titoli correnti ai numeri di pagina e agli indici. Per compiere questo passaggio sono stati necessari innumerevoli tentativi ed errori – e oggi ci troviamo a ripetere una parte di questa storia. Meyers si chiede in una nota (loc. ) chi sia stato l’inventore della “Table of content”; a questa domanda non c’è una risposta definita, perché gli indici sono stati “inventati” gradualmente nei secoli, ma non c’è dubbio sul fatto che il singolo individuo che più ha influenzato questo processo sia stato Aldo Manuzio. Immagino che nel frattempo qualcuno gliel’abbia già detto, ma credo che scriverò comunque a Meyers, per sicurezza.

 

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