giovedì 17 settembre 2015

Pistolesi, Diamesia


 
Ho già avuto occasione di esprimere in pubblico tutti i miei dubbi sulla diamesia e sul connesso concetto di “variazione diamesica”. Questa etichetta dovrebbe indicare il modo in cui varia la lingua in rapporto al mezzo di comunicazione, così come la “variazione diafasica” indica il modo in cui varia la lingua in rapporto alla situazione comunicativa, tra formale e informale.
 
L’etichetta (nata nella linguistica italiana, non nella sociolinguistica internazionale) a prima vista sembra anche ragionevole, e lo sembra ancora di più se applicata al caso italiano – che per secoli ha visto differenze molto forti tra scritto e parlato. Tuttavia, se si guarda con più attenzione, si scopre che il discorso non tiene. La variazione diamesica si rivela in buona parte variazione diafasica, e questo mi sembra stia diventando rapidamente il consenso della comunità dei linguisti.
 
Come è nata però, e come si è diffusa, l’etichetta di “variazione diamesica”? Elena Pistolesi ha da poco fornito un importante contributo storico in questa direzione. In una sua sintesi intitolata Diamesia: nascita di una dimensione viene infatti ricostruita la storia della diamesia. Il lavoro è di estremo interesse per varie ragioni; non ultima, l’evidenza con cui mostra come un concetto così traballante è riuscito a divenire di moda e ad entrare in un’intera generazione di studi e manuali.
 
Questo passo falso della linguistica ha avuto comunque un lieto fine, perché negli ultimi anni l’errore è stato individuato: Elena Pistolesi considera ormai “prevalente” la “tendenza (…) all’assorbimento della diamesia nella diafasia” (p. 29). La ricerca scientifica, per fortuna, si autocorregge… ma sorprende la facilità con cui sono state accettate definizioni che in pratica si smontano sulla base del semplice buon senso.
 
Comunque, nella sostanza, il termine “diamesia” è stato inventato da Alberto A. Mioni nel 1983. Alla sua base c’era, al tempo, la confluenza di diversi filoni di ricerca: sull’italiano popolare, sul francese contemporaneo, sul parlato comune. Soprattutto, però, le sue origini sono state condizionate dal rapporto con il dibattito allora vivo sull’italiano popolare. Ripercorro qui le sezioni in cui è diviso il lavoro di Elena Pistolesi.
 
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1. Dall’opposizione al continuum
 
Mioni definisce il rapporto scritto / parlato non come un’opposizione polare ma un continuum, con molti gradi intermedi. In realtà però gli autori portati da Mioni a sostegno di questa ricostruzione (Gregory, De Mauro e Nencioni) non descrivono un continuum, o lo descrivono riferendosi a qualcosa di diverso, facendo molte considerazioni “che difficilmente possono essere integrate nella proposta diamesica” (p. 33). La nozione di continuum si genera quasi da sola.
 
2. La diamesia come dimensione di variazione.
 
Partendo dalle considerazioni di Mioni sull’italiano popolare, che distinguono tra uso scritto e uso parlato, Elena Pistolesi nota che
 
Una volta affermata l’opportunità di considerare separatamente la relazione scritto / orale dalla diafasia, emerge quanto sia difficile definire la prima senza ricorrere alla seconda. Di fatto, come nota Voghera (…), non esiste una varietà che si possa caratterizzare solo dal punto di vista mediale, indipendentemente dalle altre (p. 34).
 
Inoltre, è interessante notare che la proposta originale della diamesia si basa sullo studio dell’italiano popolare, in cui le differenze tra diafasia e diamesia si annullano.
 
2.1. Intrecci di varietà
 
Va notato che diversi studi, italiani e no, si sono posti il problema di evitare “la confusione tra canali e fenomeni variazionali collegati o prevalentemente associati ad esso” (p. 37). Infatti, com’è ovvio, un conto è ciò che si può fare con lo scritto e ciò che si può fare con il parlato. Facendo esempi banali, nello scritto, anche quando si trascrive fedelmente una conversazione, non si può distinguere una “voce” femminile da una maschile, ed è molto difficile indicare anche l’intensità della pronuncia o altro.
 
Nella descrizione della lingua, alla differenza di strumento di comunicazione si può quindi per esempio sovrapporre quella “concezionale”, di vicinanza o distanza comunicativa, eccetera. In generale, in questi modelli la diafasia domina (p. 37) e allo strumento di comunicazione, scritto e parlato, resta un ruolo marginale.
 
2.2. La diamesia in Gaetano Berruto
 
Uno dei paragrafi più importanti del lavoro è dedicato a mostrare il modo in cui il concetto di “diamesia” è stato consacrato e diffuso da Gaetano Berruto, che già nel 1985 lo accettava per definire le dimensioni di variazione. L’inclusione del concetto nel fondamentale lavoro di Berruto Sociolinguistica dell’italiano contemporaneo (1987) fece sì che la diamesia venisse “adottata dalla comunità scientifica italiana e riprodotta nei manuali” ignorando le cautele espresse da Berruto stesso (p. 40; un’antologia delle sfumate posizioni di Berruto in materia si trova alle p. 41-42).
 
3. L’italiano trasmesso
 
Il concetto di “italiano trasmesso”, collegato a quello di “diamesia” può essere trattato rapidamente: è infatti stato evidente fin da subito che il “trasmesso” non ha caratteri linguistici propri e che non ha quindi molto senso cercare di definirlo.
 
4. Le prospettive globali
 
Lo spazio qui viene dedicato soprattutto (p. 45 e successive) a citare le numerose studiose che hanno descritto in modo più corretto il rapporto tra scritto e parlato. Carla Marco, Monica Berretta e Miriam Voghera hanno infatti riconosciuto bene la realtà dei fatti e hanno semmai contribuito a descrivere il parlato non in opposizione allo scritto, ma secondo le proprie caratteristiche.
 
5. Considerazioni conclusive
 
L’eliminazione della variazione diamesica dalla lista degli assi di variazione usati per descrivere la lingua è un passo importante. Non occorre però cadere nell’eccesso opposto, perché per esempio scindere il canale dei parametri concezionali è una semplificazione (p. 50). La scelta del canale è per esempio inscindibile dall’enunciazione.
 
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Qui termina il lavoro, e mi è difficile non concordare. Per quanto riguarda i problemi determinati dal mezzo di comunicazione, sulla base anche dell’esperienza dell’italiano del web io mi sto servendo da tempo del concetto di “vincoli pragmatici”, cioè semplicemente delle limitazioni prodotte dalla scelta non solo del canale (scritto o parlato) ma del sottocanale (lettera, e-mail, messaggio su WhatsApp…) della comunicazione. Numerose sono però le questioni che devono essere ancora gestite in modo più sofisticato.
 
Elena Pistolesi, Diamesia: la nascita di una dimensione, in Parole, gesti, interpretazioni: studi linguistici per Carla Bazzanella, a cura di Elena Pistolesi, Rosa Pugliese e Barbara Gili Fivela, Roma, Aracne, 2015, ISBN 978-88-548-8407-7, pp. 27-56, letto in estratto inviato dall’autrice.
 
 

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