Sul “Magazine” del sito Treccani.it è uscito un mio nuovo contributo. Il titolo è: «...e tu pensi che un premier abbia il tempo di rispondere ai post?». La politica su Facebook.
Il contributo fa parte di uno speciale interessante e articolato: Parola di leader. Strategie del linguaggio politico in Italia. All’interno, per esempio, Michele Cortelazzo si chiede se il politichese si è davvero rinnovato. Stefania Spina esamina la comunicazione politica su Twitter. E così via.
Il mio contributo affronta un tema piuttosto ampio. Il quadro d’assieme, però, si può riassumere in poche parole: i politici italiani usano Facebook per fare una comunicazione molto tradizionale, istituzionale, “da uno a molti” e priva di dialogo. Il che si contrappone sia alle potenzialità della rete, sia a ciò che in pratica avviene su Twitter. Su Twitter infatti diversi politici commentano e rispondono pubblicamente a molte osservazioni... come nel caso, ben noto, di Maurizio Gasparri. Certo, anche su Twitter i casi del genere sono piuttosto ridotti. Però esistono, mentre su Facebook no.
Anche le probabili ragioni della differenza sono semplici da individuare. Su Facebook c’è la gente: metà della popolazione italiana (!). E, soprattutto, c’è anche la ggente: gruppi consistenti di persone che, da semiprofessionisti, intervengono, commentano e insultano pubblicamente il politico a ogni messaggio.
Questo pubblico di affezionati insultatori non è un campione rappresentativo del Paese, naturalmente, però fornisce affascinante materia di indagini al linguista. Un po’ perché porta allo scoperto tutte le varietà dell’italiano, comprese quelle in passato difficili da documentare, come l’italiano popolare. E un po’ perché mostra, al di là di torti e ragioni, come in molte situazioni il semplice volume delle urla possa cancellare ogni tentazione di dialogo.
Il mio contributo affronta un tema piuttosto ampio. Il quadro d’assieme, però, si può riassumere in poche parole: i politici italiani usano Facebook per fare una comunicazione molto tradizionale, istituzionale, “da uno a molti” e priva di dialogo. Il che si contrappone sia alle potenzialità della rete, sia a ciò che in pratica avviene su Twitter. Su Twitter infatti diversi politici commentano e rispondono pubblicamente a molte osservazioni... come nel caso, ben noto, di Maurizio Gasparri. Certo, anche su Twitter i casi del genere sono piuttosto ridotti. Però esistono, mentre su Facebook no.
Anche le probabili ragioni della differenza sono semplici da individuare. Su Facebook c’è la gente: metà della popolazione italiana (!). E, soprattutto, c’è anche la ggente: gruppi consistenti di persone che, da semiprofessionisti, intervengono, commentano e insultano pubblicamente il politico a ogni messaggio.
Questo pubblico di affezionati insultatori non è un campione rappresentativo del Paese, naturalmente, però fornisce affascinante materia di indagini al linguista. Un po’ perché porta allo scoperto tutte le varietà dell’italiano, comprese quelle in passato difficili da documentare, come l’italiano popolare. E un po’ perché mostra, al di là di torti e ragioni, come in molte situazioni il semplice volume delle urla possa cancellare ogni tentazione di dialogo.
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