Ho letto con molto interesse l’ultimo libro di Massimo Palermo, Italiano scritto 2.0. Il tema è centrale per il mio lavoro ed è comunque molto stimolante: in che modo affrontare i nuovi testi prodotti dalla comunicazione elettronica?
Massimo Palermo ha deciso di farlo in primo luogo attraverso gli strumenti della linguistica testuale. Oggi (per fortuna) sembra ormai intuitivo che non esista un “italiano della rete” (p. 77), ma per approfondimenti occorre entrare un po’ più nel dettaglio.
Procedendo in ordine di lettura, il primo capitolo del libro, Breve storia delle tecnologie della parola (pp. 15-49), sintetizza nella sua prima parte una visione ancora molto diffusa sui rapporti tra scrittura e oralità, secondo l’impostazione di Walter Ong. Nella seconda, affronta vari tipi di testo digitale e le modalità con cui questi testi sono fruiti.
Il secondo capitolo, Il testo, i testi (pp. 50-76), presenta le basi dell’esame linguistico dei testi: importanza dell’interpretazione, ruolo dei contenuti impliciti, coerenza, coesione, ruolo del canale, intertestualità, tipi e, appunto, generi testuali.
L’ultimo argomento mi sembra quello centrale (valutazione non sorprendente, visto che i miei lavori propongono come chiave dello studio proprio i generi testuali e i vincoli pragmatici a essi collegati). Qui Palermo propone una separazione netta tra “testi nativi digitali, cioè concepiti per una fruizione esclusivamente telematica e ipertestuale e testi e-migrati, concepiti come testi tipografici e che vivono solo per una parte della loro vita nel computer” (p. 74). È senz’altro vero che per molti generi la distinzione è valida, e la presento in questo senso anche nel mio libro su L’italiano del web. Tuttavia, va notato che una contrapposizione netta non è facile: per esempio, l’articolo di giornale oggi spesso non viene mai stampato ma è un genere testuale che nasce per la carta stampata; lo stesso avviene per l’articolo di enciclopedia o la definizione di dizionario. In tutti questi casi la continuità è molto forte, al di là di qualche piccolo adattamento in rapporto al cambiamento dei vincoli pragmatici quando si passa dalla carta allo schermo.
Il terzo capitolo, I testi nella rete: verso una destrutturazione?, esordisce con un paragrafo il cui titolo mi trova molto in sintonia: Perché non esiste un italiano della rete. La motivazione è naturalmente in linea con quanto detto poco sopra: la natura eterogenea dei testi presenti in rete, che vanno esaminati non nel loro assieme ma in rapporto ai “singoli tipi di scrittura” (p. 77; io vedrei appunto come centrali, oltre ai tipi di scrittura, direttamente i generi). I punti di maggior interesse di questi tipi di scrittura, secondo l’autore, sono rappresentati dalla suddivisione in campi, dalla dialogicità, dalla brevità e dalla frammentarietà.
Il quarto capitolo, Il ruolo della scuola (pp. 99-126), propone una visione decisa per il rapporto tra scuola e tecnologie della comunicazione. Secondo Palermo, sono illusorie sia l’idea “di tener fuori la rete dal processo educativo” (p. 99) sia quella di trasferire in classe “le tecnologie e l’apprendimento informale” (p. 100). Importante, invece, è conservare le abitudini “tipografiche” sviluppando, in parallelo, quelle legate ai testi digitali. Particolarmente importante, in quest’ottica, viene vista la capacità di discutere criticamente le fonti e di aggirare i vincoli della brevità eccessiva.
Gli argomenti sono tutti appassionanti, ma, a proposito di brevità, va detto che Italiano scritto 2.0 risulta davvero molto sintetico: in pratica, ogni singolo paragrafo meriterebbe un’espansione in forma di libro. Speriamo che ci sia modo di averla, nel prossimo futuro!
Massimo Palermo, Italiano scritto 2.0. Testi e ipertesti, Roma, Carocci, 2017, pp. 141, € 12, ISBN 978-88-430-8874-4. Copia ricevuta in omaggio dall’editore.
Massimo Palermo, Italiano scritto 2.0. Testi e ipertesti, Roma, Carocci, 2017, pp. 141, € 12, ISBN 978-88-430-8874-4. Copia ricevuta in omaggio dall’editore.
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