martedì 26 gennaio 2010

Ma a che cosa serve l'everyware?


Prima o poi, lo sappiamo, tutti gli oggetti della nostra vita avranno un po' di capacità di calcolo e saranno collegati a reti per scambi dati. In seguito, o in parallelo, tutto questo si estenderà ai nostri corpi; e poi saremo circondati da polvere intelligente, e alla fine arriveremo con buone probabilità al quadro di Accelerando di Charles Stross: la materia della Terra trasformata integralmente in computronium.

Sarà un esito inevitabile? Di sicuro, adesso che (quasi) ogni telefono è anche computer, ci si chiede in che cosa consista il prossimo passo. Sono quasi trent'anni che in molti cercano di spiegarci che il futuro appartiene all'everyware, al computer diffuso... però nessuno capisce bene a che cosa possano servire queste cose. Perfino questo libro di Greenfield (2006), interessante su altri livelli, finisce poi per fare i soliti esempi che, come minimo, lasciano un po' freddi. Tipo gli uffici che, all'arrivo dell'occupante, regolano automaticamente temperatura e luce sulle sue preferenze.

Yawn. Scusate lo sbadiglio.

Certo, Greenfield stesso dice che questi sono luoghi comuni. D'accordo. Ma al di là dei luoghi comuni?

E viceversa, in Everyware non si dice quasi nulla su come il calcolo diffuso potrebbe aiutare i settori lavorativi in cui la manipolazione degli oggetti è un'attività marginale. Per esempio: insegnare all'Università. Che vantaggi potrebbero esserci? Quando entrerò in aula, la luce si regolerà sulle mie preferenze? Emozionante... risparmierei i dieci secondi necessari ad armeggiare con gli interruttori.

Gestire oggetti? OK, qui ci sono vantaggi evidenti. Accelerare i pagamenti? Perché no. Che ogni pacco di biscotti della Coop tra qualche anno si ritrovi con il proprio tag RFID mi va benissimo; mi andrebbe benissimo anche evitare di fermarmi alla cassa e pagare il "pedaggio supermercato" facendo passare il carrello attraverso un grande lettore di tag. Ma studiare? Correggere testi? Capire come si fa a far funzionare un programma? Sulle attività di questo tipo Greenfield non dice nulla.

Oh, beh. Forse a dare un senso all'everyware anche in questi settori basterà qualche applicazione interessante (in fin dei conti, io sono abbastanza vecchio da ricordare i tempi in cui si diceva: "Un giorno tutte le case avranno un computer e lo useranno per fare tante cose esaltanti... per esempio, tenere in ordine le ricette..."). Nell'attesa, vediamo se domani pomeriggio Steve Jobs riuscirà a stupirci con un tablet o uno strumento per leggere in modo diverso dal solito.

Aggiornamento: sul New York Times compare giusto oggi, 31 gennaio 2010, un servizio sulla "polvere intelligente"; l'articolo include diversi esempi interessanti e plausibili di quel che potrebbero fare i sensori di piccole dimensioni.

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