mercoledì 9 giugno 2010

Sassetti, Lettere dall'India


Mi sono preso un po' di pausa da spazi e segni d'interpunzione per leggere le Lettere dall'India (1583-1588) del fiorentino Filippo Sassetti, a cura di Adele Dei, Roma, Salerno ed., 1995. Ne valeva la pena...

In fin dei conti, Filippo Sassetti è uno che a fine Cinquecento fece una scelta niente male, cioè, si mise in testa di andare in India. Per lavoro (come sovrintendente alle spedizioni di pepe di Giovan Battista Rovellasco), ma anche e soprattutto per interesse personale: per andare a vedere il mondo. In realtà, quel che vide fu soprattutto qualche insediamento costiero portoghese (Cochin e Goa) sulla costa del Malabar, e in un periodo di crisi, perlopiù. Ma, visto che fece un figlio sul posto, Sassetti non si trovò poi troppo male; e anche a fine soggiorno progettava di tornare in patria facendo il giro del mondo - Indonesia, Cina, Giappone, America. La morte lo colse prematuramente e gli impedì di portare a compimento il viaggio; ma d'altra parte, Sassetti sapeva i rischi che correva, e non era poi che in patria la vita fosse molto più lunga. Non irragionevolmente, alla sorella che lo invitava al rientro, rispondeva quindi il 27 gennaio del 1585:

... la ragione del "ricordarmi d'essere nato a Firenze" non è buona, ché se delle due cose [cioè, evidentemente, nascere e morire] vi se ne fa una, basta. Se voi mi diceste: "A Firenze non si muore", questo sì mi farebbe tornare trottando (p. 96).

Ma, decisamente, non era così: le lettere che arrivavano (una volta all'anno, con l'arrivo delle navi da Lisbona tra settembre e novembre) gli portavano notizie di lutti continui. A Francesco Valori, che gli faceva elenchi di "Gente morta", Sassetti rispondeva dicendo: "Almeno mi aveste voi dato il contraccambio di tanti bambini nati, acciò che io non argomentassi che voi fosse costà venuti a finimondo" (p. 88). E in parallelo si rivolgeva agli appassionati di viaggi e descrizioni esotiche, come Michele Saladini a Pisa, cui scriveva nel dicembre 1585:

... ho molto contento a comprendere dal vostro scrivere che voi vi siate dato alla cosmografia. Parmi che manchi poco, per certa regola che abbiamo determinato qua il signor Pietro Grifo ed io di quello che bisogna a tirar gli uomini a India, a vedervici una volta comparire (p. 120).

Insomma, già allora il mal d'India era una malattia contagiosa... Colpisce, comunque, il modo in cui Sassetti continua a immischiarsi di faccende di casa, ricordando e consigliando dal Malabar campi e ville a Carmignano o a Campi Bisenzio. O mettendosi a paragonare le palafitte indiane agli "sporti di Santa Croce, che fanno quella bella vista quando e' si giuoca al calcio e sono le finestre piene di belle donne" (p. 98)... E il racconto non è male, anche se lo stile fiorentino ribobolaio dell'epoca, pieno di modi del parlato e di doppi sensi, spesso non rende facile la lettura (e fa venire la tentazione di correggere e semplificare ogni riga). Il commento di Adele Dei (che per il testo si basa sull'edizione di Bramanti, 1970, aggiungendo pochissimo di suo) aiuta un po', ma ogni tanto si svia - per esempio, a p. 90 probabilmente non si parla di "malattie veneree", ma di semplice elefantiasi (di cui Sassetti aveva già parlato a p. 86). Ma tant'è; nel groviglio di osservazioni e battute, qualcosa si perde per forza.

Dal punto di vista più strettamente linguistico, Sassetti è tra i primi a importare in italiano un bel po' di parole esotiche, da bambù a mango. Però, soprattutto, sembra sia stato il primo a citare in Europa l'esistenza del sanscrito:

Sono scritte le loro [= degli indù] scienze tutte in una lingua, che dimandano sanscruta, che vuol dire "bene articolata", della quale non si ha memoria quando fusse parlata, con avere (com'io dico) memorie antichissime. Imparanla come noi la greca e la latina e vi pongono molto maggior tempo, sì che in sei anni o sette se ne fanno padroni: e ha la lingua d'oggi molte cose comuni con quella, nella quale sono molti de' nostri nomi, e particularmente de' numeri el 6, 7, 8 e 9, Dio, serpe, e altri assai (lettera a Bernardo Davanzati del 22 gennaio 1586, pp. 179-180).

Insomma, Sassetti notò la somiglianza di ruolo tra il sanscrito, il latino e il greco ("parmi che noi possiamo dire che sia infermità di questo secolo che in tutte le parti del mondo le scienze sieno in lingua differente da quella che si parla", precisa altrove), ma non la stretta parentela . Nel brano citato si limita a notare la somiglianza di alcune parole con l'italiano (non con "il greco e il latino", come dice la curatrice, a p. 15), e più avanti citerà i nomi di città che finiscono in poli, per somiglianza con il greco. Stop. Per chiarire meglio la situazione ci vollero altri due secoli, ma nel contesto Sassetti non fa affatto una cattiva figura, visto che ai tempi suoi i portoghesi erano in India da un secolo e non si erano degnati di informarsi poi molto su usi e costumi locali. E in fin dei conti, difficile parlar male di uno che decise di imbarcarsi così, e che a Pier Vettori poteva raccontare con partecipazione (27 gennaio 1585, pp. 76-77) di "un uomo da bene che sta in queste parti", il quale

... avendo moglie e figli in Lisbona, e vivendosi acconciamente, si trovava una mattina su la riva del mare a veder partire le navi che vengono qua; allo sciorre delle vele delle quali, tutti i marinai, passeggieri, soldati e tutta la terra finalmente grida a voci altissime "Buon viaggio", al qual grido sentitosi quello uomo buono toccare il cuore, aperta la borsa e trovatovi drento sei portoghesi, che sono circa novanta ducati, mandò a dire a casa che non l'aspettassino a desinare...

2 commenti:

Vittorio ha detto...

Un ottimo commento sulle LETTERE di F. Sassetti.
Chiaro, sintetico e preciso, ne coglie i principali aspetti.
Lo stile ribobolaio toscano forse arricchisce la prosa che in queste lettere dall'India è già accessibile e sviluppata rispetto alle lettere giovanili dall'Italia più ardue e incomprensibili.
Congratulazioni
Vittorio Morabito

Vittorio ha detto...

Un ottimo commento sulle LETTERE di F. Sassetti.
Chiaro, sintetico e preciso, ne coglie i principali aspetti.
Lo stile ribobolaio toscano forse arricchisce la prosa che in queste lettere dall'India è già accessibile e sviluppata rispetto alle lettere giovanili dall'Italia più ardue e incomprensibili.
Congratulazioni
Vittorio Morabito

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