martedì 16 ottobre 2012

Giacarta, prime impressioni

 
Giacarta è una città complessa.
 
Arrivando di notte dall’aeroporto si incontra un traffico intenso e una barriera di grattacieli e centri commerciali: dalla Banca di Hong Kong e Shanghai (HSBC) al Carrefour. Luci sfavillanti, eccetera eccetera.
 
La mattina invece, appena uscito dalla porta dell’albergo, ho notato subito una cosa: l’odore. A livello del suolo, Giacarta è come l’India e io mi sono subito riproiettato all’indietro, alle mie lunghe camminate attraverso Delhi o Jaipur. Perfino i marciapiedi, in ampie zone del centro, sono gli stessi, fatti con lastre di cemento in  equilibrio precario che coprono (malamente) canali di scolo, e sono comunque occupati da venditori o gente che lavora nei negozi e nelle officinette intorno. Per cui in ogni caso tocca camminare per strada, e si spera di non venir presi pieni dalle macchine o dai motorini che arrivano di corsa alle spalle.
 
Comunque, procedere in questa situazione è interessante ma lento – soprattutto se, come me, si finisce in mezzo a una dimostrazione politica piena di poliziotti, bancarelle che regalano spuntini gratis, bandiere e canti:


Comunque sono arrivato a piedi fino al Monument Nasionalsi e poi, finita la visita, mi sono rassegnato a prendere la più celebre innovazione recente di Giacarta: la Busway. Il che significa che, in mancanza di metropolitana, per una speciale classe di autobus sono state create corsie a uso esclusivo e speciali piattaforme di accesso rialzate con ingresso a pagamento (secondo un modello che penso sia stato sperimentato per la prima volta una quindicina d’anni fa a Curitiba: ricordo di averne letto qualcosa, a suo tempo, su Scientific American). L’autobus ha anche il piano rialzato, quindi non ci si può salire dal livello del suolo: per entrare occorre essere su una piattaforma.
 
Funziona? Funzionicchia, perché poi anche le corsie esclusive vengono ogni tanto intasate dal traffico (meno caotico di quello indiano, ma non molto), e in alcuni casi le fermate rialzate sono letteralmente in mezzo al traffico... per uscirne occorre attraversare alla meglio anche stradoni di scorrimento a quattro corsie, facendo segno agli automobilisti perché ti scansino. Comunque, sembra sia questo, più che l’andare a piedi o in macchina, il modo più rapido per muoversi; e io ne ho approfittato per andare fino alla zona del vecchio porto. Anzi, sono sceso alla fermata prima e ho visitato il sudicio mercato cinese di Glodok; poi sono stato nel vecchio centro coloniale, ora ribattezzato piazza Fathillah, in cui vecchie case olandesi stanno letteralmente crollando a pezzi.
 
Giusto per strafare, mi sono fermato anche a prendere un po’ di riso (e due boccali di birra San Miguel, perché qui all’Equatore si suda a litri) al pretenzioso Cafe Batavia. Una specie di semivuota reliquia dei tempi coloniali imbottita di fotografie:


Il posto, devo dire, tira fuori i miei istinti peggiori. Mi ci vedo, lì, nelle vesti di bonario e paternalista amministratore olandese del 1938, o giù di lì, ad ascoltare jazz in una specie di oasi dal caos circostante... A invitare magari qualche “indigeno” a bere una birra (non la San Miguel, magari)... e a sentirmi molto nobile per questo... molto responsabile, molto rivolto al futuro...
 
Bah. La strada per il porto prosegue da lì lungo le acque fetide del Kali Besar, il canale principale della vecchia Giacarta. Oggi è purtroppo ridotto un enorme canale di scolo, che andando al porto si può attraversare su diversi ponti, tra cui quello vecchio, olandese, del mercato dei polli:

 
Per fortuna al vecchio porto di Sunda Kelapa i barconi in legno (pinisi), ormeggiati di punta per quelli che sembrano chilometri e chilometri, ritirano su il morale:


Finita la camminata, vado all'IIC per partecipare alla presentazione del primo manuale per lo studio dell'italiano scritto in Bahasa Indonesia: Mamma mia! Italia. Mudahnya Belajar Bahasa di Tanti Susilawati (TransMedia, Giacarta, 2012; ISBN 978-979-799-207-1, 167 pp., Rp 29.000). Qui sono di nuovo di nuovo nel mio ambiente, finalmente:


 

4 commenti:

Ada ha detto...

La seguo con molto interesse fin dall'inizio del suo viaggio, complimenti per il diario di questa sua avventura in oriente. Ada

Bao lìlì ha detto...

Giakarta mi riporta alla mia adolescenza. Una delle mie migliori amiche, Matilde, vi si trasferì per un paio d'anni. Ho ancora le sue lettere esotiche che trasudavano di caldo umido e di funghi allucinogeni...

Mirko Tavosanis ha detto...

Ciao, Ada!

Grazie per i complimenti... Devo dire che, in effetti, in un viaggio come questo si vedono come minimo posti interessanti. E forse si capisce anche qualcosa di più su quello che il mondo è adesso, anche se sarebbe un filino presuntuoso pensare di avere chissà quali rivelazioni :-)

Mirko Tavosanis ha detto...

Ciao, Lìlì!

Per il caldo umido, effettivamente posso confermare... L'altro giorno poi, tornando dalla visita del centro di Giacarta, non solo ho scoperto che la mia maglietta era fradicia di sudore (ok, normale), ma che aveva anche preso un odore che decisamente non è il mio... Un lavaggio nel lavandino non è ancora riuscito ad eliminarlo del tutto!

Sui funghi allucinogeni invece non so dirti nulla - ammetto però che trovo un po' inquietanti i documenti che ti danno all'aeroporto, all'arrivo, e che attirano l'attenzione sul fatto che per il traffico di droga c'è la pena di morte...

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