lunedì 28 gennaio 2013

Quanti italiani all’estero sanno parlare italiano?

 
Bella domanda. Alla fine della scorsa settimana ho fatto appunto qualche altro intervento sulla voce di Wikipedia Lingua italiana, in risposta a interventi di un altro utente, e rielaborando a fondo una sezione.
 
E allora, quanti italiani all’estero (includendo sia i cittadini italiani, sia le persone di discendenza italiana che però non hanno cittadinanza italiana) possono parlare italiano? Sull’argomento tace, se ho ben visto, l’Enciclopedia dell’italiano; e tace anche, il che è più sorprendente, la Storia linguistica dell’emigrazione italiana nel mondo a cura di Massimo Vedovelli (anche se in entrambi i volumi si trovano dati relativi a singole situazioni).
 
In compenso dice qualcosa di specifico il libro di Barbara Turchetta Il mondo in italiano (Roma-Bari, Laterza): che è del 2005, ma descrive una situazione che probabilmente in questi ultimi anni non è troppo cambiata. La risposta che viene fornita qui, e che ho visto spesso citata, è: “circa 4.000.000” (p. 14). Mi sembra però che le cose siano assai meno chiare di come sono descritte nel libro.
 
Il modo in cui Barbara Turchetta arriva al suo dato è abbastanza diretto. I quattro milioni sono infatti i cittadini italiani che risultano iscritti all’Anagrafe Italiana Residenti Estero. Quest’ultima includerebbe infatti solo cittadini che “provengono da residenze anagrafiche in Italia ed erano quindi precedentemente iscritti anagraficamente presso comuni italiani” (p. 13). Non includerebbe invece coloro che hanno acquisito “la cittadinanza in quanto oriundi fino alla quarta generazione” (p. 13). In altri termini, i figli (nati all’estero) di cittadini italiani, o loro discendenti, che spesso “non sono mai di fatto vissuti in Italia”.
 
La spiegazione del libro si fa qui però confusa, perché subito dopo si dice che
 
Come conseguenza di ciò [cioè, sembra di capire, del fatto che molti oriundi non sono neanche mai stati in Italia] molti iscritti all’AIRE non sono stati scolarizzati in italiano né hanno mai parlato la nostra lingua in contesti formali e non, non avendo neanche appreso l’italiano in famiglia (p. 13).
 
Il discorso non è chiaro. Ma il punto è che, contrariamente a quanto detto nel libro, l’AIRE non registra solo cittadini che “provengono da residenze anagrafiche in Italia”: il Ministero dell’Interno dice anzi esplicitamente che devono iscriversi all’AIRE sia “i cittadini nati e residenti fuori dal territorio nazionale, il cui atto di nascita è stato trascritto in Italia e la cui cittadinanza italiana è stata accertata dal competente ufficio consolare di residenza” sia “le persone che acquisiscono la cittadinanza italiana all’estero, continuando a risiedervi”.
 
Piuttosto discutibile mi sembra quindi anche la conclusione, che porta l’autrice a fornire appunto la stima dei quattro milioni: “risulta evidente che, sebbene il numero di cittadini italiani residenti all’estero si avvicini a quello degli italofoni all’estero, esso è certamente in eccesso rispetto a quest’ultimo” (p. 13). Sicuro?
 
Prescindendo dalla poco chiara frase citata sopra, le idee alla base del discorso di Barbara Turchetta mi sembrano queste:
  1. Chi è nato in Italia è in grado di parlare italiano, anche se è emigrato all’estero
  2. Chi è nato all’estero non è in grado di parlare italiano, anche se figlio di uno o due genitori italiani
 
Il primo punto sembra abbastanza realistico. Oggi gli italiani residenti all’estero ma nati in Italia rappresentano in buona parte, direi, generazioni nate dopo la guerra, quando il contatto con la lingua italiana ha cominciato a essere diffuso – sono generazioni nate da genitori che in Italia hanno avuto probabilmente un po’ di scolarizzazione, e hanno spesso visto il cinema o sentito la radio. Quindi si può dare per scontato che un rapporto con l’italiano ci sia.
 
Il secondo punto sembra confermato all’ingrosso da quel che sappiamo sull’evoluzione delle comunità italiane, ma presenza di sicuro numerose eccezioni. La mia famiglia è, credo, rappresentativa da questo punto di vista. Da un lato, infatti, esistono numerosi Tavosanis d’Argentina, emigrati dalle terre patrie a inizio secolo… e nessuno di loro è ovviamente in grado di parlare italiano. Dall’altro, visto che mia sorella è esempio di emigrazione più recente, o di ciò che oggi si chiama “fuga dei cervelli”, tre miei nipoti sono nati in Germania ma sono perfettamente capaci di parlare italiano (anche se con accento tedesco), di guardare film in italiano, eccetera.
 
Oppure: negli Stati Uniti risultano oggi residenti, secondo l’AIRE, poco più di 200.000 cittadini italiani, ma nel censimento del 2000 i cittadini americani che dichiaravano di parlare italiano in famiglia sono risultati circa un milione. In molti casi avranno parlato in realtà un dialetto, e molti di loro saranno stati molto anziani, ma sospetto che negli Stati Uniti le persone capaci di parlare italiano oggi siano comunque più numerose dei cittadini italiani residenti! Un dato relativo al 2007 fornito dall’United States Census Bureau valuta ancora i parlanti italiano a più di 700.000, cioè più del triplo rispetto ai cittadini italiani residenti nel paese.
 
Insomma, se da un lato molti iscritti all’AIRE non saranno in grado di parlare italiano, dall’altro ci sono di sicuro moltissime persone in grado di parlare italiano e non iscritte all’AIRE. Temo quindi che non ci sia scampo: per arrivare a una valutazione più credibile del numero di italiani all’estero in grado di parlare italiano, occorre fare un lavoro più di fino, e vedere di integrare meglio i dati disponibili. E magari procurarsene di nuovi!
 

6 commenti:

Anonimo ha detto...

Ma parlano veramente italiano i figli di italiani qui in Belgio che dicono 'ritornati' invece di girati, 'plafondo' invece di soffitto, 'ti attrappo' invece di acchiappo, e ti tirano i confetti a carnevale, innaffiano la pelosa, giocano il piano, inviano raccomandate con accusa di ricezione, ecc... ecc...?

Licia ha detto...

Anch'io avrei qualche dubbio sui dati AIRE. Molti italiani che vivono in paesi dell'UE non si iscrivono affatto: è la mia esperienza e di praticamente tutti i tanti colleghi italiani che ho avuto quando lavoravo all'estero (in totale 8 anni in due diversi paesi).

Mirko Tavosanis ha detto...

Bella domanda anche questa!

Il modo per classificare le lingue è molto soggettivo. Però, mi sembra prevalente l'idea per cui, sì, si può dire che una lingua è sempre la stessa quando ciò che cambia è solo il lessico (e soprattutto, uno strato superficiale del lessico). L'importante è che fonetica, morfologia e sintassi siano ancora quelle dell'italiano.

Io non conosco se non di striscio la situazione locale, ma ho letto di recente il capitolo sul Belgio inserito nella Storia linguistica dell'emigrazione italiana nel mondo (pp. 225-244). Lì si dice che il Belgio è un caso interessante per la presenza di comunità italiane con caratteristiche molto diverse: in Vallonia l'immigrazione è più antica e comprendeva all'origine soprattutto immigrati meridionali e veneti che usavano molto il dialetto; a Bruxelles invece l'immigrazione è più recente, gli immigrati hanno un livello di scolarizzazione più alto e si è diffuso l'uso dell'italiano, mentre i dialetti sono scomparsi alla terza generazione.

Mirko Tavosanis ha detto...

Ciao, Licia!

Sì, senz'altro: mi sembra molto rischioso usare i numeri AIRE come indicatori del numero di persone che conoscono l'italiano. Temo che l'unica risposta la possano dare le indagini sul campo.

In tempi recenti, d'altra parte, c'è stata una forte spinta a iscriversi all'AIRE. Da un lato, adesso questo permette di votare; dall'altro, molti argentini hanno chiesto e ottenuto la cittadinanza italiana per ragionevolissime motivazioni economiche. Probabilmente in alcuni paesi si può ritenere che l'iscrizione all'AIRE sia una garanzia di competenza linguistica; in altri... meno.

Licia ha detto...

Per caso oggi cercando altre informazioni mi sono imbattuta in questi dati:
La lingua italiana conta circa 62 milioni di parlanti nativi, il che la colloca tra le 20 lingue più parlate al mondo. 125 milioni di persone la usano come seconda lingua. Diverse comunità di ex-emigranti, ciascuna costituita da più di 500.000 persone che ancora parlano italiano, si trovano in Argentina, Brasile, Canada e Stati Uniti. Secondo un’indagine realizzata nel 2006, con i suoi 56 milioni di parlanti nativi residenti in Italia l’italiano è la seconda lingua nell’Unione Europea per numero di parlanti, dopo il tedesco e alla pari con l’inglese. Nell’ambito di vari studi condotti in anni diversi, è stato stimato che altri 280.000 parlanti di italiano come prima lingua risiedano in Belgio, 70.000 in Croazia (paese candidato a entrare a far parte dell’Unione Europea), 1.000.000 in Francia, 548.000 in Germania, 20.800 nel Lussemburgo, 27.000 a Malta (esclusi 118.000 parlanti di italiano come seconda lingua), 2.560 in Romania, 4.010 in Slovenia, 200.000 nel Regno Unito e 471.000 in Svizzera.
Sono tratti da La lingua italiana nell’era digitale; non mi pare ci siano indicazioni specifiche delle fonti ma dovrebbero essere dati abbastanza recenti, visto che si tratta di una pubblicazione del 2012.

Mirko Tavosanis ha detto...

In effeti, conosco bene quella pubblicazione, ma temo che i dati che contiene in questa sezione non siano molto affidabili... In parte, temo, che vengano dalle vecchie versioni della voce di Wikipedia!

Per esempio, è sicuramente falso che nel mondo esistano 125 milioni di persone capaci di usare l'italiano come seconda lingua, o che l'italiano sia la seconda lingua nell'UE per numero di parlanti (anche solo tra i madrelingua, usando criteri di valutazione comparabili tra le diverse lingue, nell'UE la battono, oltre al tedesco, sia l'inglese sia il francese). Purtroppo, una pubblicazione per altri versi interessante sull'italiano è stata fatta senza apparentemente consultare nessun linguista italiano...

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