mercoledì 11 settembre 2013

Correzioni di bozze e tirature cinesi

 
Stampa di testi religiosi in età Song - Tsien, p. 381
Contrariamente a quel che sostengono molte teorie, la diffusione della stampa in Cina non ha prodotto nessuna rivoluzione culturale, né ha generato qualcosa che assomigliasse alla scienza moderna. A me sembra che ciò permetta di scartare l’ipotesi che tra innovazioni tecniche di questo tipo e conseguenze culturali ci sia un forte rapporto deterministico. Tuttavia, i sostenitori dell’ipotesi hanno sempre la possibilità di appigliarsi a diversità tecniche più minute. Per esempio, si potrebbe dire che la stampa cinese differiva nell’elemento X dalla stampa occidentale, e che proprio questo dettaglio le ha impedito di esercitare appieno la sua forza rivoluzionaria…
 
Ragionamenti di questo genere si scontrano però con il fatto che in astratto la stampa cinese aveva in molti casi caratteristiche migliori rispetto a quelle della stampa occidentale, come strumento per la diffusione delle idee. Per esempio, la tecnologia occidentale obbligava gli editori a produrre i testi riducendo al minimo le correzioni: la forma di stampa composta per un fascicolo usava buona parte dei caratteri disponibili in tipografia, quindi occorreva usarla subito, senza aspettare troppi controlli, e scomporla appena terminata la stampa del fascicolo stesso. Capitava dunque che gli errori, anche se gravi, venissero lasciati nel testo e indicati solo (a volte) nelle liste degli Errata corrige preparate a fine stampa. Per usare due esempi ben noti del Cinquecento italiano, Ariosto, pur essendo fisicamente presente in tipografia, non riuscì a evitare molti errori di stampa nelle tre edizioni dell’Orlando furioso pubblicate sotto il suo controllo (1516, 1521 e 1532), e ci mise anche del suo introducendo correzioni in corso d’opera; nel 1525 Pietro Bembo, che aveva lasciato l’incarico di supervisionare la stampa delle sue Prose della volgar lingua al suo segretario Cola Bruno, notò diversi errori nel testo pubblicato e si rassegnò a correggerli solo negli Errata, tranne uno, che su sua esplicita richiesta fu corretto a penna dal segretario stesso nelle copie già stampate.
 
Viceversa, in Cina, dice Tsien Tsuen-Hsuin,

at least four proof-readings were usually required before printing, the latter occurred following transcription, correction, engraving, and the first impression. Because of this careful preparation, a well-collated and printed edition was valued above a copied manuscript, which was likely to contain unintentional errors. Textual accuracy was, therefore, an additional important reason besides its lower cost, for readers to choose a printed edition (p. 373).
 
Inoltre il mantenimento nel tempo dei testi corretti era garantito da tutta una serie di istituzioni: edizioni di riferimento su pietra, spazi per conservare le matrici di stampa… Attorno al Mille l’Accademia Nazionale cinese conservava per esempio le matrici dei classici confuciani, pronta a ristamparli su richiesta nell’edizione di riferimento. Già, perché le matrici in legno potevano durare secoli. Ancora oggi, in Corea, i Tripitaka Koreana sono una raccolta di testi canonici buddisti conservata in 81.528 matrici di tipo cinese incise a metà Duecento – e la voce di Wikipedia in lingua inglese sull’argomento dice che in questa notevole raccolta non è stato finora trovato nessun vero errore di stampa.
 
Quante copie venivano però fatte, di questi testi ben corretti? Tsien cita due volte una stima moderna di Lu Chhien, che dice che le matrici potevano venir usate per stampare fino a 15.000 copie, o 25.000 dopo esser state ritoccate, ma che la prima tiratura di un libro era tipicamente di trenta copie (p. 370). Cifre del genere sono molto basse, secondo gli standard occidentali: in Europa fin dagli inizi le tirature si attestavano tra le trecento e le mille copie, in media. In Cina, invece, perfino le opere stampate con caratteri mobili avevano tirature ridotte, come avvenne per l’enciclopedia Ku Chin Thu Shu Chi Chheng, stampata nel 1725-1726 in sole 66 copie (e riprodotta litograficamente in 100 copie nel 1890: p. 370, nota d).
 
Questo sembra in effetti un punto di divergenza un po’ più significativo. Le basse tirature cinesi da un lato rendevano i libri probabilmente più costosi rispetto alle loro controparti occidentali (anche se, dice Tsien, rimanevano comunque dieci volte meno costosi dei manoscritti equivalenti, p. 373), dall’altro rendevano meno impellente la ricerca del successo da parte degli editori. Può darsi che queste divergenze facessero la differenza tra la rivoluzione intellettuale e la conservazione? A me sembra molto, molto difficile.
 

Nessun commento:

Creative Commons License
Blog di Mirko Tavosanis by http://linguaggiodelweb.blogspot.com is licensed under a Creative Commons Attribuzione-Non opere derivate 2.5 Italia License.