Dicevo di testo e immagini… un genere in cui la scelta mi sembra abbastanza libera è quello delle relazioni di viaggio.
Un esempio interessante è un libro che ho ricevuto come graditissimo regalo: Sovietistan, della norvegese Erika Fatland. Pubblicato in edizione originale nel 2014, il libro è il resoconto, come dice il sottotitolo di “Un viaggio in Asia Centrale”, tra le repubbliche ex sovietiche dell’area. Area in cui ho avuto anch’io occasione di andare, anche se meno sistematicamente, e che non sono riuscito a raccontare qui... posso comunque confrontare le mie esperienze con quelle descritte nell’ultima sezione del libro, che riguarda l’Uzbekistan (Nukus, Khiva, Bukhara, Samarcanda e Tashkent: pp. 425-518), mentre l’unico posto che ho visitato in Kazakistan, Shymkent, è sì menzionato anche qui, ma senza dettagli (alle pp. 178-180).
Il libro è bello, e si legge di corsa. Strutturalmente, ha le caratteristiche di una raccolta di articoli di giornale (anche se non mi pare che i contributi siano stati inizialmente pubblicati in quella forma). I capitoli iniziano quindi spesso con un attacco in medias res senza informazioni di contesto, per disorientare il lettore e attirare la sua curiosità immediata. La tecnica funziona, a parere di molti, negli articoli di giornale o simili; io ne sono un po’ meno convinto per quanto riguarda appunto i capitoli di un libro: nel caso di classici come Kaputt di Malaparte, per esempio, le soluzioni non sono altrettanto estreme.
I temi sono di conseguenza variatissimi, dalla storia dell’allestimento del Museo Savickij di Nukus (pp. 451-461) fino alle pratiche di falconeria turistica in Kirghizistan (pp. 375-385). Le visite usbeche riguardano una successione di mete turistiche ovvie (e l’Uzbekistan che ho conosciuto io è molto diverso: decisamente più vitale e spontaneo di quello descritto qui), mentre la sezione sul Turkmenistan descrive un luogo che ben pochi visitatori hanno visto. Soprattutto, c’è molta attenzione alla vita delle donne, con tutte le difficoltà che si possono incontrare in ambienti come quelli descritti!
In un racconto del genere, che ruolo possono avere le immagini? In questo libro non ce ne sono. O meglio, ci sono diverse cartine (una dell’area e una per ognuna delle cinque repubbliche attraversate), ma il livello di dettaglio è minimo. Anzi, in alcuni casi i caratteri dei pochi nomi presenti sulle cartine sono così piccoli da essere indecifrabili – specie quelli presentati in corsivo – e la disposizione a doppia pagina rende illeggibile ciò che si trova proprio sulla cucitura. Ma se ci fossero per esempio fotografie di buona qualità, il racconto ne uscirebbe migliorato o peggiorato?
Innanzitutto, non sembra opportuno, anche per ragioni di sicurezza, pubblicare per esempio la foto di Bekdury, una guida che esprime opinioni non del tutto positive sul regime del Turkmenistan (pp. 81-82); o quelle delle donne kirghise rapite e costrette a sposarsi che raccontano la propria storia in uno dei capitoli più drammatici e dolorosi (pp. 361-373). E in generale, in molti casi scattare foto distrugge la naturalezza di un dialogo. Il libro è bello e funziona in quanto tale. Non ha bisogno di immagini per raccontare la propria storia.
Credo però comunque che vedere qualche faccia e qualche luogo farebbe bene. Le parole sono potenti, ma anche le immagini lo sono. Nei racconti di viaggio che ho fatto, anche su questo blog, io ho sempre cercato di integrare i due canali usando le immagini soprattutto per dare la percezione generale di un ambiente. Una specie di ancora per l’immaginazione, insomma. Non è l’unica soluzione possibile, ma è quella che mi sembra più naturale.
Erika Fatland, Sovietistan. Un viaggio in Asia Centrale., Marsilio, Venezia e Milano, Feltrinelli, 2019, pp. 538, ISBN 978-88-297-0282-4 (traduzione di Eva Kampmann di Sovjetistan. En reise gjennom Turkmenistan, Kasakhstan, Tadsjikistan, Kirgisistan og Usbekistan, 2014). Ricevuto in regalo.
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