lunedì 18 febbraio 2008

... e la Muwaššaha

Un'altra scoperta dalla sessione di laurea di oggi: la muwaššaha, una forma poetica usata in al-Andalus a partire più o meno dall'anno Mille (durante il califfato omayyade). I testi sono in arabo, ma con sezioni in volgare romanzo, e a volte con la mescolanza delle lingue. Per esempio:

šabeš ya mio amor
ke kaţa-me el morire
im
ši, ya imši, habībī,
non
še šin te ber dormire
(
muwaššaha XLIV).

Con questo ci avviciniamo al maltese, o a una canzone dei Radiodervish... ma sono frequenti anche casi di "ibridismo sintattico", con costruzioni ripetute in arabo e romanzo (kon bi per dire "con"). E qui siamo nella zona del Mongibello, e simili.

Ovviamente i testi sono scritti usando l'alfabeto arabo o quello ebraico, e quindi senza vocali.

1 commento:

Anonimo ha detto...

A partire dai testi di San Marziale (Saint-Martial di Limoges), sono state notate delle somiglianze formali con alcuni tipi di poesia araba.
La "muwaššaha" ('cintura') è la struttura metrica arabo-andalusa.
Alcune composizioni di questo tipo si presentano 'farcite': accanto all'arabo classico vengono inserite delle parti in volgare mozarabico; per queste composizioni viene coniata la denominazione speciale di "zagal". Questa forma sarebbe stata inventata da un poeta arabo-andaluso vissuto vicino a Cordova tra il IX e il X secolo. E' importante perchè sono poi stati riconosciuti tratti affini con certe forme strofiche di Guglielmo IX e Marcabruno.

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