Continuando la schedatura del Meridiano di Maraini, il punto chiave è naturalmente il saggio Gli ideogrammi (1965). Qui si trova una delle rare descrizioni italiane del funzionamento del sistema di scrittura giapponese:
Messi l'uno accanto all'altro i due sistemi, quello alfabetico brilla subito per semplicità. Questo è indubbiamente vero. Trenta segni, o quaranta, o anche cento, s'imparano in poche settimane; duemila, per bene che vada, in alcuni anni. D'altra parte gli ideogrammi, una volta imparati, offrono incomparabili vantaggi di chiarezza, evidenza, compattezza sintetica. Una nozione, od una serie di nozioni, trasmesse lungo l'alfabeto viaggiano per posta, trasmesse per ideogrammi si può dire che t'arrivino in testa col telegrafo (p. 1465).
Il punto viene considerato "fondamentale". E, del resto, lo è. Secondo Maraini, "Colui che scrive per segni fonetici ha dinanzi a sé un cammino lungo e tortuoso" (p. 1468). Con gli ideogrammi, invece, "la nozione viene trasmessa dal segno in maniera folgorante, saltando tutta la deviazione dell'analisi e della sintesi fonetica. Con l'ideogramma si piomba per mezzo della vista nel cuore stesso del significato" (pp. 1468-9).
Sarà vero? Oppure anche nel caso dell'ideogramma (che, in fin dei conti, è un logogramma) c'è una fase di mediazione fonetica? I libri sulla scrittura non descrivono, mi pare, studi su questo punto. Però sicuramente qualcuno se ne sarà occupato. La differenza non è di poco conto: la scrittura ideografica in questa ricostruzione si presenta tanto diversa da quella alfabetica da suggerire che, sì, in questo caso si arriva a una specie di "diverso modo di pensare". Dovrò approfondire...
Fondamentali sono anche, su un altro piano, le pagine in cui Maraini descrive il modo in cui l'uso degli ideogrammi ha modificato la lingua giapponese, spingendola al monosillabismo. "Oggi, a rigore, non esiste tanto una lingua giapponese quanto un composto sino-giapponese; un mezzo espressivo nel quale i due elementi si fondono inestricabilmente, come le componenti germanica e latina si sposano nell'inglese" (p. 1474).
E, per ultima, interessante l'osservazione sul fatto che la traduzione di una lingua "diventa più difficile, spesso quasi impossibile, ai due estremi semantici d'ogni patrimonio linguistico: quando si toccano i massimi valori dello spirito, e quando si trattano le minime vicende della vita quotidiana e domestica (p. 1467): per esempio karma, buddha, tao, jen, veritas, charitas, grazia, oppure mozzarella, flamenco, champagne, twist, gemütlich, hiraeth, sukiyaki, geisha, curry, sherpa.
Come si traduce broligarchy?
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Un neologismo usato in associazione alla futura presidenza Trump che
risulta poco trasparente senza alcune informazioni aggiuntive.
4 giorni fa
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